10 cose da sapere sui cambiamenti climatici
Scritto da:
Redazione BookToBook
13 Set 2019
I cambiamenti climatici sono, purtroppo, una realtà di fatto.
E non sono solo Greta e i ragazzi a dirlo.
Mai come oggi l’atmosfera terrestre, gli oceani e i continenti sono stati tanto sorvegliati dal punto di vista meteorologico e ambientale, e ogni anno la comunità scientifica internazionale produce migliaia di ricerche che confermano la portata epocale dei danni inflitti dalle attività umane al sistema-Terra.
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Non conosciamo tutto di come funziona il clima terrestre, ma ormai da anni ne sappiamo abbastanza per comprendere la gravità della situazione, il rischio di collasso degli ecosistemi da cui dipendiamo e l’urgenza di intervenire con azioni efficaci.
Dieci domande sui cambiamenti climatici
1) Il clima sta davvero cambiando?
Sì, la crisi climatica è ormai inequivocabile, e la constatiamo soprattutto dall’aumento delle temperature medie globali (+1 °C nell’ultimo secolo), dalla maggiore frequenza delle ondate di calore inedite (in Europa: 2003, 2015, 2017, 2018…), con conseguente fusione dei ghiacciai (superficie dimezzata in 150 anni sulle Alpi), aumento dei livelli oceanici (+3,5 mm/anno), maggior frequenza di siccità e incendi boschivi, variazioni nella distribuzione geografica di piante e animali ed estinzioni di specie.
2) Però a maggio faceva ancora freddo…
Non bisogna confondere i concetti di tempo − ovvero le situazioni meteorologiche a scala locale nell’orizzonte di ore o pochi giorni, come il freddo italiano del maggio 2019 – e di clima − ovvero l’evoluzione delle condizioni medie su lunghi periodi, alla scala di decenni e secoli e a livello globale.
Anche in un pianeta che mediamente (e velocemente!) si riscalda, qua e là si possono ancora verificare brevi periodi di freddo insolito, benché più rari.
3) Di chi è la colpa dei cambiamenti climatici?
I cambiamenti climatici, in passato, sono sempre avvenuti per cause naturali (caratteristiche dell’orbita terrestre, variazioni dell’attività solare, eruzioni vulcaniche), ma il riscaldamento attuale è di sicuro dovuto alla crescente emissione di gas serra conseguente all’utilizzo di combustibili fossili e alla deforestazione (CO2, diossido di carbonio) ma anche per l’allevamento intensivo di bovini (CH4, metano).
Nel 2018 si è toccato un record di emissione di 33 miliardi di tonnellate di sola CO2, la cui concentrazione nell’aria sta aumentando di circa 2,5 ppmv (parti per milione in volume) all’anno e nel maggio 2019 è salita a 415 ppmv, massimo valore da almeno 3 milioni di anni.
Questi dati sono basati su oltre un secolo di rigorosa ricerca scientifica che inizia nel 1896 con il Nobel per la chimica svedese Svante Arrhenius e si consolida dopo il 1988 con la costituzione dell’IPCC, il Comitato Intergovernativo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici, la più autorevole fonte di conoscenza condivisa sul clima globale.
4) Chi emette più gas serra?
I Paesi più ricchi, industrializzati e con economie basate sul carbone e molti sprechi di energia e materie prime, con oltre 20 tonnellate di CO2 equivalente pro capite all’anno (Usa, Canada, Australia).
Al contrario i Paesi più poveri – Africa subsahariana, Afghanistan… dove non si raggiungono i livelli minimi di accesso a energia, cibo e servizi – contribuiscono pochissimo al riscaldamento globale (poche decine di kg di CO2 pro capite), ma ne subiscono ancora di più gli effetti.
L’Europa e l’Italia stanno nel mezzo, rispettivamente con 8,7 e 7,1 tonnellate pro capite (2016), mentre sta crescendo il contributo delle economie emergenti (Cina, India, Brasile).
5) Cosa potrà accadere in futuro?
I modelli climatici indicano che se non riduciamo subito le emissioni, entro la fine di questo secolo le temperature medie globali aumenteranno di oltre 4 °C (ma anche di 10 °C e più nell’Artico!), moltiplicando le ondate di caldo mortali e facilitando la propagazione di malattie tropicali; tempeste e nubifragi più violenti si alterneranno a siccità più lunghe penalizzando la produzione agricola, i ghiacciai fonderanno (quasi del tutto sulle Alpi) e i mari si alzeranno di almeno un metro sommergendo città e pianure costiere oggi abitate da centinaia di milioni di persone (Venezia, New York, Mumbai, Giakarta…).
6) Già è difficile prevedere che tempo farà domani, come si può prevedere il clima tra cent’anni?
Le previsioni meteorologiche forniscono dettagli sul tempo atmosferico all’orizzonte di ore-giorni e su spazi di pochi chilometri, e non possono spingersi con affidabilità oltre una settimana.
Invece le previsioni climatiche, ottenute da complessi modelli di simulazione su supercalcolatore che accoppiano atmosfera, oceani, criosfera (ghiacci) e biosfera, indicano l’evoluzione media del clima globale a scala decennale/secolare in base a scenari economici, tecnologici e sociali (popolazione, consumi energetici, emissioni serra), senza scendere nei dettagli del tempo che farà nei singoli giorni o anni in località precise.
Per questo sono affidabili, in quanto stimano uno stato climatico medio globale in base ai differenti fattori forzanti, tra cui le emissioni di gas serra.
7) Perché dobbiamo preoccuparci dei cambiamenti climatici?
Stravolgendo gli ambienti naturali da cui dipendiamo, i cambiamenti climatici minacciano la nostra civiltà che si è sviluppata negli ultimi diecimila anni di clima stabile e favorevole adatto all’agricoltura (Olocene).
Se incontrastati, insidieranno la salute umana e scateneranno migrazioni epocali e gravi tensioni geopolitiche che si sommeranno alle guerre per l’accesso alle risorse naturali, sempre più scarse in un mondo sovraffollato (acqua potabile e per l’irrigazione, terre coltivabili, petrolio e minerali rari, pesce, legname…).
8) Cosa possiamo fare per fronteggiare i cambiamenti climatici?
Dobbiamo ridurre subito la pressione umana su ambiente e clima (Antropocene), riducendo i consumi di energia e materie prime, con convergenza tra un insieme di strategie individuali e collettive (dal basso) e politiche (dall’alto) che permettano di soddisfare i bisogni primari dell’Umanità rimanendo però entro i limiti fisici planetari (“economia della ciambella”).
9) Cos’è l’Accordo di Parigi?
È un accordo internazionale faticosamente raggiunto nel dicembre 2015 alla Cop-21 di Parigi, ad oggi ratificato da 185 Paesi responsabili dell’88% delle emissioni serra globali.
Punta a decarbonizzare l’economia (zero emissioni nette a metà secolo) per contenere sotto i 2 °C, e possibilmente a 1,5 °C, il riscaldamento globale dall’era industriale al 2100.
10) Come si sta comportando l’Italia?
Come nel resto d’Europa, la consapevolezza ambientale e gli sforzi di decarbonizzazione sono un po’ aumentati negli anni recenti: l’efficienza nella produzione di energia è migliorata, le fonti rinnovabili coprono un terzo dei consumi elettrici (e siamo il quinto Paese al mondo per potenza fotovoltaica installata), le emissioni serra complessive sono diminuite del 17,4 per cento tra il 1990 e il 2017.
Tuttavia restiamo un Paese che consuma, spreca e inquina troppo (l’impronta ecologica nazionale è pari a 2,6 pianeti), e occorre fare e investire di più nella transizione energetica.