Stragisti di Lirio Abbate ripercorre le stragi mafiose degli anni Novanta

Scritto da:
Redazione BookToBook
23 Giu 2022

Tra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992, a soli 57 giorni di distanza l’uno dall’altro, muoiono uccisi dalla mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sono trascorsi trent’anni da quell’estate di sangue e di dolore, di rabbia e di paura, di sbigottimento e di incredulità. In tutti questi anni forse si è assopito il senso di impotenza, grazie ai duri colpi inflitti alla criminalità organizzata dalle istituzioni e dall’autorità giudiziaria, a partire dall’arresto del capo dei capi Totò Riina; non si sono assopiti i dubbi, gli interrogativi, le zone d’ombra su cui ancora s’indaga.

«I trent’anni che ci separano dalle stragi di mafia sono ancora pieni di misteri e ricatti», ha scritto senza mezzi termini il direttore del settimanale “L’Espresso” Lirio Abbate su “Repubblica”. Palermitano, inserito da Reporters sans frontières fra i “cento eroi dell’informazione”, negli anni Abbate ha firmato molti dossier giornalistici su corruzione e mafia, indagando su numerosi filoni d’inchiesta cui ha dedicato anche diversi libri bestseller – La lista. Il ricatto alla Repubblica di Massimo Carminati, U siccu. Matteo Messina Denaro: l’ultimo capo dei capi, Faccia da mostro e Fimmine ribelli, da cui è stato tratto il film Una femmina diretto da Francesco Costabile e presentato al Festival di Berlino lo scorso febbraio.

Da fine aprile è in libreria Stragisti. Da Giuseppe Graviano a Matteo Messina Denaro: uomini e donne delle bombe di mafia, il nuovo libro di Lirio Abbate, quasi un “romanzo nero”, come lo definisce l’autore stesso, che in queste pagine torna a indagare su una delle stagioni più nere del nostro Paese, offrendo nuove riflessioni, nuovi documenti inediti, nuove storie segrete. Un libro che ha il passo del thriller ma non l’invenzione della fiction, perché qui tutto è reale. Abbate descrive fatti e uomini e donne delle famiglie mafiose, gli stragisti, appunto, di cui ricompone e completa di nuovi dettagli i singoli ritratti, lungo questa storia vera che dura da trent’anni.

Stragisti

ACQUISTA IL LIBRO

Acquista su Mondadori StoreAcquista su AmazonAcquista su IBSAcquista su FeltrinelliAcquista su Rizzoli

Onorare la memoria di uomini coraggiosi e valorosi quali furono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tra gli altri, significa certamente e innanzi tutto non dimenticare, ma anche ammettere che qualcosa non sia ancora stato detto, svelato, provato e, dunque, onorarne la memoria e non dimenticare significa anche continuare a ricercare la verità, come fa Lirio Abbate dedicandosi da anni, da giornalista e da scrittore, alla lotta alla mafia.
Nel nuovo libro, Stragisti, Abbate riparte dagli attentati che segnarono la storia del nostro Paese nel triennio 1992-1994. Una fredda, agghiacciante cronologia di morti ammazzati dalla mafia da cui il direttore dell’“Espresso” riparte per offrirci nuove chiavi d’interpretazioni del passato e del presente degli stragisti, primi fra tutti i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, in carcere dal gennaio 1994, e Matteo Messina Denaro, latitante da trent’anni.

Trent’anni fa, il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29 all’altezza di Capaci perdono la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Il 19 luglio 1992, in via D’Amelio a Palermo, muoiono il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Fabio Li Muli e Claudio Traina.

Il 14 maggio 1993, a Roma, esplodono 70 chili di tritolo nascosti in un’auto parcheggiata in via Fauro, nei dintorni del teatro Parioli, dove Maurizio Costanzo nei mesi precedenti aveva trasmesso una maratona tv Rai-Mediaset contro la mafia insieme a Michele Santoro. La bomba esplode pochi secondi dopo il passaggio dell’auto su cui viaggiavano Costanzo e la moglie Maria de Filippi, rimasti illesi.

Il 27 maggio 1993, in via dei Georgofili a Firenze, salta in aria un Fiorino Fiat carico di esplosivo. Muoiono cinque persone: Caterina Nencioni, neonata di 50 giorni; Nadia Nencioni, 9 anni; Dario Capolicchio, 22 anni; Angela Fiume, 36 anni; Fabrizio Nencioni, 39 anni. I feriti sono 48.

Nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993, poco dopo le 23, una Fiat Uno esplode in via Palestro a Milano, nei pressi del Padiglione d’Arte Contemporanea. Muoiono cinque persone: l’agente della Polizia municipale Alessandro Ferrari, i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno e Driss Moussafir, cittadino marocchino.

Nella stessa sera, poco dopo la mezzanotte, a Roma due autobombe esplodono quasi contemporaneamente davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro. Ventidue i feriti.

Il 15 settembre 1993, a Palermo, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno viene assassinato con un colpo di pistola don Pino Puglisi, “Tre P” come lo chiamavano i ragazzi del centro di aggregazione nel quartiere Brancaccio che il parroco, noto per il suo impegno contro la mafia, aveva fondato per toglierli dalla strada e dall’influenza dei padrini. Capi mandamento di Brancaccio sono i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.

Il 23 novembre 1993 viene sequestrato Giuseppe Di Matteo, figlio dodicenne del mafioso Santino Di Matteo che dopo l’arresto, nel 1993, accetta di collaborare con la giustizia. Il corpo di Giuseppe verrà sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, dopo tre anni di prigionia.

U siccu

ACQUISTA IL LIBRO

Acquista su Mondadori StoreAcquista su AmazonAcquista su IBSAcquista su FeltrinelliAcquista su Rizzoli

Trent’anni dopo, dietro la fredda cronaca degli attentati, si nascondono ancora gli stragisti, i protagonisti di questo romanzo nero sui quali si concentra Lirio Abbate. Stragisti si apre sull’arresto di Totò Riina, il capo dei capi, il 15 gennaio 1993 nei pressi della sua villa, in via Bernini a Palermo. Insieme a Riina viene arrestato Salvatore Biondino, autista del padrino di Corleone ma soprattutto suo uomo fidato e capo del mandamento del quartiere di San Lorenzo.

Restano ancora troppe zone d’ombra, si diceva all’inizio. Una di queste sta proprio qui, a San Lorenzo, dove fa luce Abbate fin dalla prima pagina di Stragisti:

«Via Giuseppe Tranchina, civico 22. Zona San Lorenzo. Non è la Palermo che affascina i turisti, gli scrittori, gli artisti. Il Palazzo dei Normanni e i mercati popolari sono lontani da qui, in tutti i sensi […] via Tranchina è un’altra Palermo ancora, più anonima».

In quella via, di fronte alla scuola, c’è una casa con un magazzino, «anonima, anche quella. Nel 1992, del resto, l’anonimato è una grande qualità per certe persone. L’uomo che sta in quella casa non vuole dare nell’occhio. Ha un volto ordinario, tratti regolari, taglio di capelli banale, giusto un filo trasandato. Una persona qualunque. Anonima, appunto. Sarà proprio questa sua caratteristica a rappresentare la salvezza di Cosa nostra, come vedremo».

L’uomo è Salvatore Biondino ed è nella sua casa di via Tranchina che si tengono «i summit criminali di più alto livello. Giuseppe Graviano, Giovanni Brusca, Matteo Messina Denaro: quando bisogna parlare, o quando bisogna semplicemente rendere omaggio a quello che alcuni chiamano “la Belva”, ma che per i mafiosi è “il padre di tutti noi”, si va lì, a via Tranchina». Ed è lì che si sta dirigendo Totò Riina la mattina del 15 gennaio 1993, quando alle 9 viene arrestato dalla squadra guidata da Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo. La casa di Biondino verrà perquisita dai carabinieri soltanto due ore dopo l’arresto di Riina. «Un errore che si può anche comprendere, nella frenesia del momento, nell’eccitazione di aver messo le mani su un latitante che era ormai più un simbolo che un normale essere umano in carne e ossa», scrive Lirio Abbate.

«Se fossero stati arrestati a via Tranchina, gli stragisti non avrebbero potuto rovesciare sul Paese la violenza che nel corso del 1993 ha insanguinato Milano, Firenze e Roma. Forse le bombe non sarebbero scoppiate. Forse padre Puglisi non sarebbe morto. Forse il piccolo Giuseppe Di Matteo sarebbe ancora vivo. Giovanni Brusca stesso, interrogato dagli inquirenti il 9 gennaio 2018, ha rilasciato una dichiarazione che riassume alla perfezione la questione. L’italiano è sgrammaticato, ma il concetto si capisce anche troppo bene. E fa male. “Se i Carabinieri avrebbero avuto un po’ di pazienza, però capisco che non è una cosa così semplice, potevano fare veramente un bel colpaccio, perché c’era una riunione in grande stile”».

Neppure la villa di Riina verrà perquisita subito dalle forze dell’ordine. «Gli inquirenti entrano nel covo solo il 2 febbraio, due settimane dopo. Due settimane fatali. Quella che li accoglie è una casa vuota. Le carte che scottano di più sono ormai al sicuro. E la cosa più probabile è che almeno in parte siano finite in mano a Matteo Messina Denaro, che quasi trent’anni dopo è ancora latitante. Introvabile. È lui, l’ultimo depositario dei segreti inconfessabili che quella pagina oscura della storia del nostro Paese custodisce».

Lirio Abbate continua dunque a scavare in trent’anni di misteri. Tra i più fitti e cupi, la latitanza lunga trent’anni di Matteo Messina Denaro, tra i più pericolosi criminali d’Italia, “l’affarista”, come lo chiamava Riina. Tra i più insopportabili, il mistero su come sia stato possibile che i due fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, “Madre Natura”, in carcere in regime 41bis dal 1994, abbiano potuto avere entrambi un figlio durante la detenzione. Stragisti ha un epilogo e sono le ultime pagine scritte lo scorso marzo da Lirio Abbate, con le quali invita tutti noi cittadini a riflettere e a interrogarci sulla proposta di riforma del carcere ostativo di cui si dibatte proprio in questi giorni.

«Il 15 aprile 2021 la Corte Costituzionale si pronuncia sull’ergastolo ostativo. Sono trascorsi poco più di 27 anni dal momento in cui Giuseppe Graviano è stato arrestato e rinchiuso in carcere assieme a suo fratello Filippo. La Consulta crea i presupposti per ammettere i mafiosi ergastolani che non collaborano con la giustizia al beneficio della liberazione condizionale, una volta espiati 26 anni di reclusione, decurtati di 45 giorni ogni semestre di pena scontato. Dunque dopo circa un ventennio, questa scelta di fatto cancella l’ergastolo ostativo. Nella cella di Madre Natura la notizia viene accolta con grande entusiasmo. Graviano si sente già libero. Così come più volte aveva detto a sua moglie e a suo figlio durante gli incontri mensili in carcere: “Vedrete che uscirò, e staremo insieme”. La Corte rimette al legislatore l’intervento normativo. Deve essere il Parlamento a varare, entro un anno, una nuova legge che riguarda gli ergastolani mafiosi che sono rimasti duri e puri e non hanno collaborato con la giustizia, per i quali viene cancellato il “fine pena mai”. Come per Madre Natura e suo fratello».

Per approfondire