Silvia Avallone torna in libreria con “Cuore nero”
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Redazione BookToBook
25 Gen 2024
«Esiste un rimedio? All’irrimediabile?». Suona implacabile l’interrogativo, dentro di sé un destino già segnato?, una risposta senza speranza? Un accanimento crudele farsi certe domande, verrebbe da dire. Eppure. Eppure, a leggere Cuore nero, il nuovo attesissimo romanzo di Silvia Avallone, in libreria dal 23 gennaio per Rizzoli, quell’interrogativo, via via che ci si lascia trasportare dalla storia lungo pagine che s’illuminano di una luce inattesa, intensa, quell’irrimediabile pare perdere terreno, sfumare i contorni, sciogliersi al sole come la neve che nei mesi invernali ricopre Sassaia, minuscolo borgo tra le montagne dell’Alta Valle del Cervo, in provincia di Biella, dove va a vivere Emilia, la protagonista di Cuore nero. Un romanzo che gli editori stranieri hanno salutato definendolo un capolavoro, e che è già stato venduto in 12 Paesi.
Dice Niccolò Ammaniti di Cuore nero: «Silvia Avallone è una strega. Ti mostra un bosco, una casa, una ragazza, poi un uomo. E ti chiede di darle la mano e seguirla. Se lo fai, non te la lascerà fino alla fine. Questo è l’incanto della narrazione».
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Con l’incanto con cui i grandi autori danno vita ai propri personaggi, Silvia Avallone ha scritto il suo romanzo più maturo. Cuore nero è una storia di condanna e di salvezza che l’autrice biellese, i cui romanzi sono tradotti in tutto il mondo, riempie di compassione e di vita. «Per scriverlo ho vissuto esperienze potentissime, che porterò con me per sempre», racconta Silvia Avallone.
«La prima: leggere Pascoli con i ragazzi dell’istituto penale minorile di Bologna, aiutarli a studiare, ascoltarli. La seconda: camminare nei boschi del minuscolo borgo di Sassaia, il mio posto preferito sulla terra. Non sapevo, all’inizio, cosa avrebbe significato scendere negli inferi di un cuore: il cuore nero di una giovane donna. Sapevo solo che volevo provarci, capire. E alla fine, inaspettatamente, ne sono riemersa con le mani piene di luce».
Di cosa parla Cuore nero
Emilia è ancora giovane quando la incontriamo lungo le prime pagine del romanzo. Ora ha trent’anni ma ha già conosciuto il male; un male di cui ha pagato il prezzo, un reato gravissimo che non si può riparare. Ha deciso di rifugiarsi a Sassaia, nella casa della zia Iole il cui ricordo la commuove, perché quello è il luogo della sua infanzia innocente. Vi si trasferisce appena dopo aver scontato la sua pena, quindici anni di prigione per la maggior parte trascorsi in un carcere minorile. Ci è entrata a sedici anni.
«Esiste un rimedio? All’irrimediabile?» aveva pensato Emilia durante uno dei suoi colloqui con Rita, l’assistente sociale che la segue nel percorso di recupero previsto dal regime detentivo e che riuscirà a conquistare la fiducia di questa ragazzina che si porta dentro l’inferno.
«Posso dirti una cosa?», le aveva risposto Rita. «Ora ti sembrerà impossibile. Ma io ti garantisco che tutto passa. E, se non può passare, cambia».
«Non avrei potuto scrivere questo romanzo d’immaginazione senza l’incontro, profondamente incisivo, con la realtà. Ovvero, senza la fiducia e la generosità di numerose persone che mi hanno permesso di accedere all’Istituto penale minorile maschile di Bologna», scrive Silvia Avallone nei ringraziamenti in chiusura di volume. «L’opportunità di conoscere i ragazzi detenuti, ascoltarli, organizzare con loro laboratori di lettura e scrittura, è stata una delle esperienze più potenti della mia vita».
È una voce maschile (per la prima volta tra i romanzi di Avallone) a narrarci in prima persona la storia di Cuore nero, un uomo ferito dalla vita, Bruno, maestro di scuola primaria che vive a Sassaia nella casa accanto a quella di Emilia. È lui che ci racconta la storia di Emilia fin dalle prime pagine, dal suo arrivo in quel luogo dissociato dal resto del mondo. È attraverso gli occhi di Bruno, di qualche anno più vecchio, che impariamo a conoscere Emilia, il suo dolore e il suo mistero, che si svelerà soltanto sul finale, scioccante e catartico.
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Bruno la vede comparire dalla finestra di casa sua come un’invasione, in quel borgo abitato soltanto da pace e silenzio, dove la natura accoglie e culla le anime infrante, e dove pure Bruno s’è rifugiato assieme alla sua solitudine e al suo dolore. Capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, con gli anfibi viola e il giaccone verde fluo, Bruno scorge in Emilia un abisso simile al suo, ma di segno opposto. Entrambi hanno conosciuto il male: lui perché l’ha subito, lei perché l’ha compiuto, gli occhi di Emilia, ci dice Bruno, «privi di luce, come due stelle morte».
Emilia e Bruno, i protagonisti di Cuore nero
«Avevo appena staccato la punta della matita dal foglio quando udii due voci che non erano né la mia né quella del Basilio. Mi voltai di scatto verso la finestra. Erano una maschile e una femminile: si scambiavano battute, ridevano. I passi venivano nella mia direzione, si fermavano proprio sotto la mia finestra. Un rumore di chiavi, di porta. Avvertii il cuore, un organo che tenevo in scarsissima considerazione, battermi nel petto così forte – come se fossi stato preso in una tagliola. Di voci a Sassaia non se ne sentivano mai», ci racconta Bruno.
«Oltre a pernici, gufi reali, caprioli, cinghiali, cervi, nessuno si spingeva fin qui. Nemmeno il prete ci veniva più, neppure il netturbino o il postino. La corrispondenza andavi a prendertela tu all’ufficio di Alma, e di spazzatura cercavi di accumularne il meno possibile per caricartela in spalla una volta a settimana. Qualcuno che passava a controllare che le case non fossero crollate dopo un acquazzone c’era, ma saliva da solo: non parlava, non rideva».
Bruno si alza dalla scrivania su cui sta correggendo i compiti dei suoi piccoli alunni, si avvicina alla finestra e sbircia attraverso la tenda. «Non vidi nessuno. Rimasi deluso, o sollevato. Non avrei saputo deciderlo. Starmene lì impalato, con l’orecchio teso a eventuali altri rumori, mi fece intuire come avrebbero potuto giudicarmi dall’esterno: un disadattato, un asociale. Così vulnerabile sotto i vestiti macchiati, la barba ispida, l’odore di bosco, da sentirsi minacciato dalla sola presenza di due sconosciuti. Mi vergognavo a spiare in quel modo. Tuttavia scostai la tenda, mi sporsi meglio sul vicolo. Notai che il portone della casa di fronte era spalancato e che sulla soglia erano appoggiate due grosse valigie».
Cuore nero è un romanzo pieno di umanità
Cuore nero è un romanzo denso di personaggi indimenticabili, attori e testimoni del perdono e della redenzione, delle più alte forme d’amore e d’amicizia, da Bruno a Basilio, dal padre di Emilia Riccardo, profonda figura paterna, a Marta, compagna di cella in “collegio”, come chiamavano fra loro il carcere minorile, che non abbandonerà mai né Emilia né tantomeno la speranza e la possibilità di una nuova vita dopo il peccato e le sbarre. È una narrazione densa di umanità, che si interroga sul senso più profondo del bene e del male: «La colpa, negli adulti e negli adolescenti, è la stessa?». Cos’è il male? «È un errore che fai tu? Una scelta? Oppure è una falla nel tuo sistema, una colpa che c’è in ogni essere umano? È la follia? È un più, una cellula impazzita con cui nasci? Oppure è un meno?», un vuoto «che si genera da una crepa interiore, e poi ti scava, ti scava, ti annienta». Perché, come dirà uno dei personaggi più sorprendenti e amorevoli del romanzo, “il” Basilio, uomo di pochissime parole e tra i più vecchi abitanti della valle, «nessuno di noi contiene una persona soltanto».
Cuore nero è, «per me», spiega ancora l’autrice, «il primo libro di un nuovo cammino di domande, tentativi, sfide del raccontare e del comprendere».
Tra le voci più importanti della narrativa italiana, Silvia Avallone è stata finalista al premio Strega nel 2010 col romanzo che l’ha fatta conoscere al mondo, Acciaio, da cui è stato tratto l’omonimo film e che Bur Rizzoli ripropone oggi insieme agli altri suoi tre romanzi precedenti in una nuova edizione per la collana Contemporanea.
«Questi non sono, per me, cinque libri. Questo è un percorso. Di scrittura e di vita. Tutto è fantasia e finzione, eppure tutto è stato, nel desiderio di raccontare e capire, vero e reale», continua la scrittrice. «La mia adolescenza a Piombino con vista sulle acciaierie reinventata a vent’anni in uno studentato universitario, con la rabbia per il futuro, per il lavoro in forse, che è stata il carburante di Acciaio. E poi, la mia voglia di tornare dove sono nata e cresciuta, in Marina Bellezza. Il mio desiderio di mettere, insieme ad Andrea e Marina, le mani nella carne del mondo, liberandomi di tutti i miti del presente: la visibilità, il successo, il risultato, per essere presente a me stessa e a chi amo. E poi la mia prima maternità in Da dove la vita è perfetta, che mi ha portata a confrontarmi con altre maternità radicalmente diverse per capire cosa significa diventare genitore; ma è sempre nel diverso che possiamo ritrovarci, sempre nell’incontro con l’altro. E poi Un’amicizia, a chiudere un cerchio, a fare i conti con un’epoca, la nostra, a metà tra il reale e il virtuale, tra il viscerale e l’apparenza, con cui non ho mai veramente fatto pace. Un’amicizia che ha salutato in qualche misura tutte le adolescenze e le amicizie degli altri libri, per permettermi dopo di ricominciare da un’altra parte, su un altro sentiero».
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La vita non si controlla, ci dice Silvia, «non si doma: la si attraversa, la si conosce e, anche quando è difficilissima, la si ama». Cuore nero è questo, vita che risorge e risale da un passato indicibile, tentenna inciampa e si raddrizza a fatica come lungo la strada sterrata e ripidissima che porta verso Sassaia e che Emilia trentenne ripercorrerà, dopo il buio della colpa e della reclusione, prima col padre amatissimo e poi pian piano da sola e con Bruno, verso il futuro, con sempre più forza, e speranza.
«Il nuovo anno appena iniziato è già felice, per me, perché ci ritroveremo tra le pagine di una storia. Questa storia, in particolare», conclude Silvia Avallone, «mi ha insegnato che “felicità” è accorgersi di essere qui, vivi, nel mondo. E nonostante tutta la fatica, il dolore, il male, poter ancora cambiare, ancora innamorarsi».