Riccardo Gazzaniga è nato a Genova nel 1976.
Dopo aver frequentato il liceo classico si è arruolato nella Polizia di Stato, dove presta servizio da ventidue anni.
Appassionato di calcio, nuoto e sport di combattimento, ha pubblicato due romanzi per Einaudi: A viso coperto (2013), con cui ha vinto il premio Calvino e il premio Massarosa, e Non devi dirlo a nessuno (2016), adottato in diverse scuole medie e superiori.
La storia del corridore australiano Peter Norman, pubblicata in rete, tradotta in dieci lingue e letta da milioni di appassionati in tutto il mondo, ha dato il via alla stesura del suo ultimo libro, Abbiamo toccato le stelle pubblicato nel 2018 per Rizzoli.
Ma quali sono i libri che hanno contribuito alla nascita e alla stesura dell’ultimo libro di Riccardo Gazzaniga?
Le letture che hanno influenzato Abbiamo toccato le stelle
Il testo che segue è scritto dall’autore
Abbiamo toccato le stelle è il mio terzo libro, eppure ha rappresentato un esordio sotto molti punti di vista.
Non è solo il mio primo lavoro pubblicato nella narrativa ragazzi (sebbene sia adatto anche a un pubblico adulto), ma è anche il mio primo libro che va oltre la fiction.
A differenza dei personaggi di un romanzo, i protagonisti di Abbiamo toccato le stelle sono persone reali e, in qualche caso, ancora viventi. Campioni e campionesse che hanno compiuto gesti straordinari non solo in termini sportivi, ma anche umani.
In questo caso, dunque, per me si trattava non tanto di raccontare le loro venti storie, ma di trovare il modo migliore per farle arrivare al lettore. Ho scelto uno stile asciutto, senza troppi fronzoli, sforzandomi di evitare la retorica per lasciare parlare vicende che sono potentissime di per sé stesse.
Ho dovuto, però, dedicarmi a letture e approfondimenti inusuali per chi scrive fiction, ma che diventavano necessari per raccontare fatti realmente accaduti.
Sono partito dalla lettura del web, visto che diverse fra le vicende di Abbiamo toccato le stelle sono state raccontate sia dai quotidiani che da molti blog a tema. La difficoltà è stata scremare i racconti che trovavo di tutto quell’alone leggendario che, talvolta, divora la verità storica.
Proprio i libri mi sono venuti in soccorso.
Prendiamo l’esempio del corridore nero Jesse Owens, vincitore di 4 ori a Berlino: la tradizione vuole che, dopo le sue vittorie, Hitler non lo avesse salutato per il colore della pelle, ma la realtà storica è differente. Hitler desiderava congratularsi con gli atleti tedeschi al momento delle loro vittorie, ma – quando gli avevano spiegato che per ragioni di protocollo avrebbe dovuto salutare anche atleti di altre nazioni – decise di non salutare nessuno, almeno pubblicamente. Però si congratulò in privato con Owens. Questo dettaglio viene raccontato dallo stesso Owens nella sua autobiografia del 1970 cui si è ispirato anche il film “Race”.
Il problema dell’esattezza delle fonti ha riguardato anche uno dei momenti cruciali di Abbiamo toccato le stelle: la finale dei 200 metri di Città del Messico 1968, al termine della quale gli atleti neri Tommie Smith e John Carlos alzarono il pugno chiuso sul podio.
Si tratta di un momento storico quanto controverso, intorno a cui sono circolate tante verità diverse e alcune bugie.
Per cercare di essere onesto mi sono letto tutte biografie dei tre uomini straordinari su quel podio: Silent gesture, l’autobiografia di Tommie Smith, The John Carlos Story e A race to remember di Damien Johnstone e Matt Norman, il nipote di Peter Norman, l’atleta bianco che era insieme ai due campioni neri. Tramite Facebook ho persino avuto modo di entrare in contatto diretto con Matt e chiedergli alcuni chiarimenti sulla vita dello zio, che lui ha raccontato anche in un bellissimo film da poco uscito anche in lingua italiana.
Si chiama Il saluto e vi consiglio di guardarlo.
Più in generale, nei mesi che hanno preceduto la stesura di Abbiamo toccato le stelle, mi sono voluto avvicinare alla narrazione del reale che per me, da romanziere puro, rappresentava un territorio ancora poco battuto. L’ho fatto anche leggendo un libro ben distante dallo sport come A sangue freddo di Truman Capote, meraviglioso esempio di “non-fiction” che parte da un tragico fatto di cronaca per disegnare un potente affresco di pietas.
Splendido esempio di non-fiction, stavolta sportiva, è anche La sfida di Norman Mailer, giornalista, praticante di boxe e grande scrittore che fu nello Zaire a seguire il mitico combattimento dei pesi massimi fra Muhammad Ali e George Foreman.
Il libro di Mailer mi ha raccontato gli uomini dietro i pugili, ma – soprattutto – mi ha fatto comprendere l’enorme portata storica e politica di quell’incontro, un aspetto narrativo su cui mi sono concentrato quanto l’ho trasferita dentro Abbiamo toccato le stelle e poi quando l’ho raccontata anche nel mio podcast audio A pugni chiusi.
Fra le letture che hanno influenzato la stesura del mio libro c’è senza dubbio l’eccezionale Non dirmi che hai paura, di Giuseppe Catozzella, dedicato all’atleta somala e migrante Saamiya Yusuf Omar. Non aveva senso, però, raccontare anche in Abbiamo toccato le stelle la vicenda di Saamiya, duplicando in tono minore un libro già perfetto e vincitore di una sfilza di premi. Però, in qualche maniera, mi sono idealmente ispirato a Catozzella quando ho raccontato la vicenda della nuotatrice siriana Yusra Mardini, anche lei costretta a migrare e nuotare per la vita nel mar Egeo.
Da ultimo c’è un romanzo biografico che mette insieme sport, storia e diritti e che è stato fondamentale non solo per una delle storie inserite in Abbiamo toccato le stelle, ma anche per il mio futuro di narratore.
Si tratta di Alla fine di ogni cosa di Mauro Garofalo, dedicato al pugile sinti Johann Trollmann, campione tedesco che, durante il Reich, pagò tragicamente il suo essere uno zingaro. La vicenda di Trollmann non è solo entrata nel mio libro, facendo nascere un’amicizia personale con Mauro Garofalo, ma mi ha anche riavvicinato al tema delle persecuzioni naziste che, per lungo tempo, avevo abbandonato.
Mio nonno materno è stato prigioniero dei tedeschi e io, alle scuole medie, ho visitato i campi di concentramento, forse tropo presto per la mia reale capacità di assorbire la forza dirompente di quel viaggio. Credo sia stato questo il motivo per cui, per molti anni, mi sono quasi rifiutato di leggere ancora di nazismo. Era come se quel tema fosse per me troppo toccante, troppo vicino.
Grazie alla lettura del libro di Garofalo ho riscoperto l’interesse per quel momento storico ed è rinato con forza, in me, il desiderio di leggerne. E così mi sono divorato i premiati Tutto ciò che sono di Anna Funder, ispirato alla resistenza dei dissidenti a Hitler prima della Seconda Guerra Mondiale e La scomparsa d Josef Mengele di Oliver Guez, che narra l’assurda e lunghissima fuga in Sud America del sadico medico di Auschwitz.
Non escludo, peraltro, che questo tema entri ancora e più marcatamente nei miei libri.
Ecco, da queste poche righe credo si possa intuire come le scelte dei libri da leggere siano influenzate inevitabilmente da quanto sto scrivendo e, viceversa, come quanto scrivo sia anche il frutto dei libri che ho amato. Lettura e scrittura camminano insieme, in un continuo e costante intreccio.
Per questo il percorso che mi ha portato ad Abbiamo toccato le stelle mi ha senza dubbio accresciuto e cambiato. Mi ha portato su una strada da cui, certamente, partiranno nuove traverse e deviazioni artistiche.
Altre strade narrative, che non vedo l’ora di percorrere.