«Quando io ero in liceo c’è stato un mese in cui piangevo tutte le sere perché non sarei mai stato come Beethoven, poi improvvisamente mi è venuta l’idea che obbedire alla regola del seminario, compiere con integrità e attenzione ogni mossa dettata – lo studio, i compagni, il silenzio – potevano essere, dal punto di vista cosmico, una armonia più potente che non l’Appassionata di Beethoven, e allora mi son tranquillizzato.»
Sono parole di Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione negli anni Cinquanta del secolo scorso, «il più grande educatore del Novecento», come lo definisce l’editore Rizzoli nella nota d’apertura Alle radici di una storia, l’antologia che, raccogliendo pagine scelte tra gli scritti di don Giussani, arriva in libreria in occasione del centenario della sua nascita, il 15 ottobre prossimo. «Ogni suo brano arriva dritto al cuore di noi lettori, scardina i modi di pensare abituali e innesca una scintilla nuova di conoscenza».
Dal 1993 Rizzoli pubblica con costanza le opere di Luigi Giussani, proponendo un ricco catalogo di titoli che, insieme con Bur, abbraccia l’opera di Luigi Giussani seguendone le tracce fondamentali, dalla testimonianza forse più nota e tra le più originali della produzione di Giussani, Il rischio educativo, passando attraverso la serie Bur “Cristianesimo alla prova” curata da Julián Carrón – che raccoglie in sei volumi le lezioni e i dialoghi di don Giussani durante gli Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione a partire dal 1982 – fino agli ultimi volumi appena arrivati in libreria.
L’antologia Alle radici di una storia riunisce le pagine formidabili di molti dei libri pubblicati con Rizzoli, in una selezione che restituisce le tappe principali del pensiero di Luigi Giussani. L’obiettivo, come spiega l’editore, «è di ritrovare, in questo percorso di riflessione e meditazione, una sorta di breviario indispensabile per rileggere “con integrità e attenzione” il cammino mai ovvio di un nostro importante autore, nell’anno in cui si celebra il centenario della sua nascita».
Luigi Giussani nasce a Desio, in provincia di Milano, il 15 ottobre 1922. Entrato in seminario nel 1933, compie i suoi studi presso la Facoltà Teologica di Venegono, nella quale insegna per alcuni anni. Nel 1954, dopo aver conseguito il dottorato in Teologia con il massimo dei voti, lascia l’insegnamento in seminario per quello nelle scuole superiori. Dal 1964 al 1990 è docente d’Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica di Milano. A partire dalla metà degli anni Cinquanta dà vita al movimento di Comunione e Liberazione, che prenderà ufficialmente questo nome nel 1969 e che è oggi presente in Italia e in oltre novanta Paesi in tutto il mondo. Muore il 22 febbraio 2005 a Milano. In occasione del settimo anniversario della morte, è stato avviato l’iter canonico della causa di beatificazione e canonizzazione.
«Giussani aveva una personalità dirompente», scrive Carmine Di Martino, professore ordinario di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia Piero Martinetti dell’Università degli Studi di Milano che per Bur ha curato Il cristianesimo come avvenimento. Saggi sul pensiero teologico di Luigi Giussani. È, questo, il primo di tre volumi rispettivamente dedicati al pensiero teologico, filosofico e pedagogico-sociale di Luigi Giussani di un meritorio progetto editoriale che, accogliendo il contributo di numerosi teologi, studiosi ed esponenti di spicco del cristianesimo contemporaneo, intende illuminare, ancor più di quanto non sia già stato fatto in passato, la genialità di pensiero di Giussani, quella stessa genialità che spiega anche perché ancora oggi le parole e le riflessioni del fondatore di Comunione e Liberazione conservino un tratto di originalità e di verità tali da influenzare in profondità la cultura moderna. Scrive difatti Di Martino:
«La sua testimonianza di fede è stata ed è tuttora straordinariamente contagiosa e ricca di frutti, ma non si renderebbe adeguatamente conto di essa e della sua peculiare fecondità di risultati se ci si dimenticasse che nella sua proposta generativa di affinità e di popolo si esprime – intrecciata a una fede autenticamente e intensamente vissuta – una genialità di pensiero, quella che aveva indotto i superiori del seminario di Venegono a destinarlo, alla fine del percorso formativo, a una carriera di studio e di insegnamento. Giussani era considerato una promessa della teologia».
Il giovane Luigi Giussani compirà tuttavia una scelta controcorrente. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, la licenza in Teologia nel maggio del 1945 e nel 1954 il conseguimento del dottorato con il massimo dei voti, «evento quanto mai raro nell’ambito della Facoltà Teologica milanese di allora», spiega ancora il professor Di Martino nella prefazione al volume, don Giussani «sceglierà di non percorrere la strada della ricerca scientifico-accademica, non seguirà le linee della carriera teologica auspicata dai suoi superiori, non senza provocare qualche delusione e disappunto. Che cosa motiva o aiuta a capire una decisione almeno in apparenza così controintuitiva come quella di abbandonare la prospettiva di una cattedra di Teologia di grande prestigio per quello che molti avrebbero considerato un oscuro lavoro pastorale tra gli studenti? Vi è un fermento in lui, un’incontenibile e bruciante passione di condivisione, di comunicazione della grazia ricevuta e della conseguente esperienza di fede, uno struggimento per il destino dei fratelli uomini, per usare una delle sue abituali espressioni, che preme dalle profondità del suo essere e che, sollecitata da una serie di concrete vicissitudini, lo conduce a disattendere i programmi, a rompere gli argini e a gettarsi a capofitto nell’agone educativo».
Nell’anno scolastico 1945-1946 don Giussani inizia a insegnare presso il seminario di Seveso e, nel fine settimana, presta servizio pastorale presso una parrocchia di Milano. «In conformità alla sua indole, non si risparmia né su un fronte né sull’altro e, complici le pessime condizioni abitative e ambientali in cui si trova a vivere, si riduce allo stremo delle forze e si ammala seriamente ai polmoni, perdendo permanentemente la funzionalità di uno dei due. La sosta forzata, tre lunghi anni di convalescenza trascorsi per lo più in luoghi balneari e montani di cura», scrive il professor Di Martino introducendoci al cammino verso quell’instancabile attività educativa che segnerà l’intera vita di Giussani, «acuisce l’urgenza».
Ristabilitosi in salute, a partire dall’anno scolastico 1949-1950 don Giussani inizia a insegnare nel seminario di Venegono e sul finire del 1950 riprende il servizio pastorale in una parrocchia del centro di Milano, in viale Lazio. «Agli sviluppi legati a questa circostanza si deve la definiva maturazione della sua volontà di implicarsi con l’universo giovanile», tanto quanto con l’attività pastorale: «al suo confessionale si crea la coda e quando celebra la Messa si riempie la chiesa».
Intitolato Il “bel giorno”, il primo degli scritti di don Giussani che apre l’antologia Alle radici di una storia, inizia con una delle molte domande che l’educatore ha saputo porre a se stesso e a generazioni di giovani e di adulti, tanto feconde da essere di un’attualità appassionante, riuscendo a parlare, a farsi capire da una pluralità straordinaria di platee:
«Come a me è apparsa all’orizzonte tale verità, così che improvvisamente ha abbracciato la mia vita? Ero un giovanissimo seminarista a Milano, un ragazzo probo, obbediente, esemplare. Ma – se ricordo bene quel che dice Concetto Marchesi in un suo testo di Storia della letteratura latina – “l’arte ha bisogno di uomini commossi, non di uomini riverenti”. L’arte, cioè la vita – se deve essere creativa, ovvero se deve essere “vita” –, ha bisogno di uomini commossi, non di uomini riverenti. E io ero stato un seminarista ben riverente, salvo una parentesi in cui il poeta Leopardi, per un mese, mi tenne “agganciato” più di nostro Signore.»
Rivolgendosi ai giovani con parole ed esempi che provengono dal loro sistema culturale, don Giussani ha saputo guidarli in un percorso che doveva necessariamente partire dalla piena conoscenza di se stessi: non per imporsi sull’altro, ma per poter incontrare e accogliere l’altro. Una vera e propria educazione sociale in cui i valori cattolici sono le linee guida da seguire per il conseguimento non solo della felicità personale, ma anche di quella collettiva, per dare vita a una società in cui i diritti e le esigenze del singolo siano ascoltati e rispettati.
In un altro dei capitoli iniziali di Alle radici di una storia, don Giussani pone un altro interrogativo: come vincere il panico e la paura, così che la vita sia veramente percepita come un cammino alla felicità?
«Voi avete i vostri cantautori, rock o heavy metal, i vostri insegnanti di filosofia, di italiano, i vostri compagni del bar o della strada e soprattutto l’orrenda sequenza dei giornali che dicono tutti la stessa cosa, perché comandati tutti dallo stesso potere, a cui preme che l’uomo non dica «io» con serietà; avete la televisione di cui siete perpetui dipendenti. Avete tutte queste sorgenti di consigli, di immagini da seguire, di risposte da dare, tutti questi esempi di strade da battere; e vi inoltrate nell’una, nell’altra, nell’altra… e sempre ritornate daccapo. Quando siete soli vi ritrovate da soli, cioè daccapo. Ci fosse un maestro, ci fosse un insegnante, ci fosse un compagno, un amico in cui veramente poter porre la certezza e la sicurezza! Dove? Viviamo in mezzo a un guazzabuglio di richiami e di parole: appena un giornale parla di una certa cosa, tutti parlano della stessa cosa e tutta la gente che legge pensa la stessa cosa. Che razza di mortorio, di cimitero di umanità è la vita di oggi!»
Sono pagine di una vitalità e di una vivacità travolgenti, in cui, come testimonia il brano appena citato, si può ritrovare tra le righe uno dei messaggi più potenti e rivoluzionari di don Giussani, ossia che la Chiesa possa rivendicare il proprio ruolo di guida uscendo da se stessa e continuando a incontrare l’altro.
Tra i numerosi autori che hanno proposto i loro saggi per il progetto editoriale all’origine de Il cristianesimo come avvenimento, «vi sono persone che hanno conosciuto direttamente il sacerdote milanese o hanno collaborato con lui, altre che, per ragioni anagrafiche o storiche, lo hanno conosciuto indirettamente, attraverso incontri o letture, o lo hanno appena scoperto», conclude Carmine Di Martino. «L’esito, in termini di adesioni e di consistenza dei saggi pervenuti, è andato oltre ogni aspettativa. Anche se, come sempre, l’ultima parola spetta alle lettrici e ai lettori, specialisti e comuni».
L’auspicio è insomma che libri come questi concorrano a rendere un omaggio a un uomo, qual è stato Luigi Giussani, «che ha generato e continua a generare, per la grazia ricevuta e accolta, una straordinaria sovrabbondanza di vita attorno a sé: di tanti è stato padre, maestro e amico come nessuno».