Fra tutte le ricette di cucina passate alla storia, quella dei pomodori verdi fritti è senz’altro una delle più leggendarie. C’è tutto in quel piatto, evocativo quanto il film che ne porta il nome, Pomodori verdi fritti (alla fermata del treno), due nomination agli Oscar del 1992, tre candidature ai Golden Globes e un successo planetario che non sfuma. Il film è tratto dal romanzo di Fannie Flagg, scrittrice, attrice e autrice teatrale prolifica e amatissima che partecipò alla sceneggiatura della pellicola diretta da Jon Avnet e che oggi, a trent’anni dal romanzo longseller Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, ne firma il seguito, Ritorno a Whistle Stop, pubblicato in Italia da Rizzoli e accolto con entusiasmo dai fan delle indimenticabili quattro donne protagoniste.
La storia è quella del caffè aperto coraggiosamente negli anni Trenta della Grande Depressione in un angolo sperduto dell’Alabama da Idgie Threadgoode, selvaggia e irriverente, e Ruth Jamison, dolce ma decisa (interpretate sul grande schermo da Mary Stuart Masterson e Mary-Luise Parker), narrata cinquant’anni dopo dall’ottantenne Ninny (Jessica Tandy) a Evelyn (Katy Bates), che troverà finalmente il coraggio di essere se stessa grazie ai racconti e all’amicizia dell’anziana signora. In Pomodori verdi fritti Fannie Flagg ce la presentò così:
«Evelyn aveva quarantotto anni e, da qualche parte lungo la strada, si era perduta.»
Abbiamo tutti riso e pianto guardando il film, ma chi ha letto il libro sa bene quanto più a fondo abbia scavato Fannie Flagg nei sentimenti, nei ricordi, nelle emozioni, nelle esperienze di vita di ciascuno di noi e di generazioni di donne, soprattutto. Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, pubblicato nel 1987 e subito diventato caso editoriale in cima alle classifiche dei bestseller del “New York Times”, è una storia da leggere ancora, perché tocca temi di un’attualità purtroppo sconcertante: la violenza sulle donne, il razzismo, i diritti civili, la libertà d’amare, l’intolleranza, la povertà, la solidarietà, le ingiustizie sociali.
Fannie Flagg e la storia di donne controcorrente
Altrettanto emblematica è la storia di Fannie Flagg (al secolo Patricia Neal), la cui notorietà travalica i milioni di copie vendute dei suoi libri. Nata il 21 settembre del 1944 proprio a Birmingham, Alabama, dove sono ambientati molti dei suoi romanzi, Fannie iniziò a scrivere a undici anni, quando mise in scena la sua prima opera, The Whoopee Girls, prodromo di una carriera tutta ispirata alle donne.
«Oh, sì, zia Idgie era proprio una sagoma, e ora che ci penso, era molto avanti rispetto ai suoi tempi. Era una donna indipendente ben prima che nascesse il movimento femminista. Gestiva un’attività, e faceva sempre tutto a modo suo. Non credo che abbia mai permesso a nessuno di dirle cosa doveva fare, a parte tua nonna Ruth. Idgie ascoltava Ruth.»
È Buddy Threadgoode a parlare alla figlia Ruthie in Ritorno a Whistle Stop. Ne è passato di tempo. Il figlio di Ruth ha oggi ottantaquattr’anni ma non ha mai dimenticato i luoghi della sua infanzia, il caffè dove è cresciuto, i volti e le voci di quella famiglia allargata del profondo Sud che aveva accolto l’amore tra Idgie e Ruth con la stessa naturalezza con cui al caffè venivano accolti quanti avevano fame e sete, indifferente alla provenienza sociale, all’identità di genere, al colore della pelle nonostante le minacce del Ku Klux Kan.
La forza delle donne controcorrente, fiere, determinate ad abbattere i muri dentro cui la cultura maschilista e bigotta vorrebbe relegarle segna la biografia di Fannie Flagg, che seppe affermarsi con autorevolezza e riconoscimenti a livello mondiale fin dagli esordi negli anni Sessanta e nei Settanta, come autrice di programmi televisivi americani di successo, dal popolare Match Game al celebre show Candid Camera di Allen Fund. Fannie Flagg ha calcato le scene di Broadway e ha recitato in numerosissimi film (fra cui Grease, per citarne uno), fino a ricevere la nomination all’Oscar per la sceneggiatura di Pomodori verdi fritti alla fermata del treno.
«Era rimasta vergine per non essere chiamata sgualdrina o puttana. Si era sposata per non essere chiamata zitella. Aveva finto gli orgasmi per non essere chiamata frigida. Aveva avuto dei figli per non essere chiamata sterile. Non era mai stata una femminista perché non voleva sentirsi dare della lesbica. Non aveva mai protestato né alzato la voce per non venire etichettata come una rompiscatole…»
Diritti lgbtq+ nei libri di Fannie Flagg
È il ritratto che l’autrice ci fa di Evelyn in una delle pagine più incisive di Pomodori verdi fritti. Fannie Flagg non ha avuto paura di essere se stessa: non ha mai nascosto la sua dislessia così come il suo orientamento sessuale. È nota la sua lunga relazione con Rita Mae Brown, femminista e attivista per i diritti civili fin dagli incandescenti anni Settanta. Non erano tempi facili. Nel 1969 i moti di Stonewall mostrarono al mondo quanto ancora lunga e dolorosa fosse la strada da percorrere per il movimento di liberazione dei gay d’America. C’è chi sostiene che gli scontri scoppiati dopo l’irruzione della polizia nello Stonewall Ill, locale newyorkese frequentato da gay e lesbiche, furono scatenati dal clima di tensione ed emozione suscitato dai funerali appena celebrati dell’attrice e cantante Judy Garland, simbolo della comunità omosessuale nel mondo. Ma, al di là delle interpretazioni di un fatto entrato nella storia dei diritti civili e commemorato appena un mese fa in occasione del Pride Month, di quegli anni ci resta la patinata ipocrisia con cui Hollywood e l’intero star system tolleravano l’omosessualità degli attori a patto che la tenessero nascosta. In tivù e al cinema, sul set così come di fronte all’opinione pubblica, le star dovevano rappresentare i più rassicuranti stereotipi di genere per buona pace dell’America puritana, da intrattenere con le favolette dei lavender marriage e far sognare con la fabbrica dei sex symbol. Salvo poi risvegliarsi increduli negli anni Ottanta con di fronte agli occhi la cruda verità dell’Aids e lo shock per le vittime celebri del contagio, su tutti Rock Hudson, il primo a dichiarare al mondo di aver contratto l’Hiv.
A metà degli anni Ottanta venne fondata a New York la Glaad, organizzazione no-profit finalizzata a promuovere l’immagine e la rappresentazione corretta e veritiera, non falsificata, delle persone LGBTQ+ in ogni ambito culturale e sociale, contro ogni tipo di discriminazione, intolleranza, violenza. Non stupisce dunque se parte della critica e del pubblico rilevarono in Pomodori verdi fritti (alla fermata del treno), arrivato nelle sale cinematografiche nel 1991, dunque ben dopo i moti di Stonewall e l’Alabama degli anni Trenta, una certa opacità nel raffigurare apertamente la storia d’amore tra le due giovani protagoniste.
Di diritti civili si continua a parlare nel mondo, in Italia con l’approvazione del Ddl Zan, e si continua a parlare dei diritti delle donne, di cui Fannie Flagg rimane un’icona per milioni di persone, e sono sempre i suoi libri a dimostrarlo. In Voli acrobatici e pattini a rotelle, il racconto tra presente e passato – altra cifra stilistica della nostra autrice, quasi a voler ripercorrere e a fermare nella memoria collettiva l’indipendenza delle donne guadagnata a fatica – si snoda attorno alle vicende della Wink’s Phillips 66, una pompa di benzina gestita da sole ragazze che si muovono su pattini a rotelle, così conquistando presto la fama. Proprio come i pomodori verdi fritti che Evelyn porterà un giorno alla casa di riposo dove vive Ninny, l’amica che forse in molti desidererebbero star seduti ad ascoltare.
Non ci resta allora che ricordare le parole che l’inimitabile Idgie dice al piccolo Buddy al quale, dopo l’incidente lungo i binari del treno e la perdita del braccio, affibbia il nomignolo di “moncherino”, per insegnarli in quel modo tutto suo, diretto e sincero, brutale ma istruttivo, a proteggersi dalle discriminazioni e dalla cattiveria.
«C’è qualcos’altro che devi sempre ricordare. Ci sono persone magnifiche su questa terra, che se ne vanno in giro travestite da normali esseri umani. Non scordarlo mai, Stump, hai capito?»