Il mestiere del consigliere politico, a ben studiarlo, è tanto affascinante quanto determinante nel buon governo della cosa pubblica, checché si muova nell’ombra, dietro le quinte, spesso sconosciuto ai più nel migliore dei casi o, nel peggiore, guardato con sospetto da chi, come gran parte dei comuni cittadini, non frequenta i famigerati palazzi del potere.
Eppure, a ben studiarlo appunto, il consigliere politico può apparirci al suo meglio nel ruolo ideale di persona di fiducia, avveduta, preparata e competente, che aiuta il leader a prendere le decisioni migliori per la collettività anche se, come sostiene Antonio Funiciello ne Il metodo Machiavelli. Il leader e i suoi consiglieri: come servire il potere e salvarsi l’anima
«in Italia, la riflessione sulla funzione di chi consiglia i detentori della decisione è assente.»
Giornalista e saggista, laurea in filosofia alla Federico II di Napoli, capo dello staff dell’ex premier Paolo Gentiloni dal 2016 al 2018, nei giorni scorsi Antonio Funiciello, 45 anni originario di Piedimonte Matese, è stato chiamato dal nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi ad affiancarlo nel ruolo di capo di gabinetto e consigliere politico, nel difficile compito di ridare stabilità al Paese e di combattere con ogni mezzo la pandemia, dopo le turbolenze governative vissute con apprensione dagli italiani negli ultimi mesi.
Chi è Antonio Funiciello, il nuovo consigliere politico di Mario Draghi
Per Antonio Funiciello è dunque un ritorno a Palazzo Chigi, salutato con favore da molti commentatori politici, così com’è stato letto da molti con interesse il suo saggio intitolato a Machiavelli, che val la pena riprendere, anche per la chiarezza con cui l’autore non soltanto spiega il mestiere del consigliere politico ma propone una riflessione sull’importanza della leadership – «la più affascinante tra le faccende della politica» – ai fini del buon funzionamento delle istituzioni democratiche.
Oltre a spiegare le regole che disciplinano gli spazi dove si comanda, a raccontarci le abitudini più frequenti e i rituali che si ripetono nelle anticamere del potere da tanto tempo, «e quasi nella stessa maniera ovunque nel mondo», Funiciello mette al centro del libro il lavoro di chi opera intorno ai leader proprio perché, semplicemente,
«il leader e i consiglieri lavorano fianco a fianco. Le persone con le quali il leader intrattiene maggiori relazioni e trascorre più tempo sono i suoi collaboratori. Non c’è stanza dei bottoni che non abbia, a protezione di sé e al proprio servizio, un’anticamera del potere abitata dai consiglieri.»
Funiciello analizza le figure politiche dominanti nella storia recente (da Roosevelt a Trump, da Blair a Macron), stila le regole del “perfetto consigliere” (tra le quali spicca la quarta, “tenere a freno il proprio ego”), diagnostica “l’adulazione o la malattia mortale della leadership”, esamina il rapporto tra verità e potere. Soprattutto, tenta di andare al di là del «discredito diffuso di cui gode la classe dirigente in Italia» e che «diffama chiunque eserciti un qualsiasi mestiere collegato alla politica», riconosce Funiciello.
«Tornano di attualità le parole di Hannah Arendt dell’inizio degli anni Cinquanta: “Oggi la politica consiste, in effetti, nel pregiudizio verso la politica”. Tra i più tenaci preconcetti odierni, quello che riguarda l’ambiguità morale di chi lavora all’ombra di un leader è senz’altro sul podio.»
E questo è senz’altro vero com’è vero che «senza gli uomini e le donne che lavorano alla loro ombra, semplicemente non ci sarebbero i leader. E senza i leader non ci sarebbe la politica», ci ricorda Antonio Funiciello.
«Per dirla con Machiavelli, la prima idea che ci si fa “del cervello d’uno signore è vedere li uomini che lui ha d’intorno”. È improbabile che un leader in gamba collabori o si faccia rappresentare da consiglieri incapaci. Ed è altrettanto inverosimile che un bravo consigliere si accompagni a un modesto politicante.»
Funiciello si sofferma su Niccolò Machiavelli, il più noto consigliere politico di tutti i tempi, a cui dedica il titolo del libro, che in realtà propone un più ampio excursus della leadership nel percorso dell’umanità, partendo da molto lontano, dal primo staff della storia, quello dei dodici apostoli riuniti intorno alla figura di un leader-maestro unico nel suo genere, Gesù di Nazareth.
Funiciello: «Il mestiere del consigliere politico ha a che fare con la verità»
Ma tante sono le storie e le figure di consiglieri politici della contemporaneità e dei secoli andati che percorrono queste pagine e che Funiciello rilegge anche alla luce della propria esperienza istituzionale e professionale, senza nasconderne le ombre e le storture ma pure col chiaro intento di riportare alla luce il potere buono, quello che ha come soci la verità e il coraggio e come obiettivo di restare mezzo della politica e non scopo di se stesso.
«Servire il potere può essere la più nobile delle attività umane, perché il potere è lo strumento più efficace che gli uomini hanno per difendere e diffondere la libertà. Ma quando il potere strumentalizza chi dovrebbe servirsene, quello è il momento di ribellarsi. A un potente che non vuole sentire ragioni e si fa dispotico, il consigliere è chiamato a opporsi affermando la propria libertà, per difendere quella di tutti. Se vuole salvarsi l’anima, deve correre il rischio della critica. D’altronde, non gliel’ha ordinato il medico di fare il consigliere politico.»
Di sé Funiciello dice con grande onestà: «Ignoro le ragioni per le quali si trovi realizzazione professionale nel servire il potere. Conosco bene, invece, l’emozione, la dedizione e l’onore che possono contraddistinguere l’impegno nelle istituzioni repubblicane».
Il mestiere del consigliere politico ha a che fare, insomma, «con la verità, perché soltanto essa è utile al tuo leader e non potrai tradire in modo peggiore la lealtà che gli devi, se non negandogliela. Con il coraggio, perché sebbene si racconti che la verità alla fine trionfi, questa non è una verità. E la storia è piena di consiglieri finiti in disgrazia».
La sezione conclusiva del libro si concentra allora proprio sul rapporto tra potere e verità, cruciale in ogni democrazia. «I leader sbagliano – con una certa regolarità. Quale incrocio più pericoloso può così prodursi tra un politico che possiede il potere, ma non la verità, e un consigliere che conosce la verità, ma non possiede il potere?», s’interroga l’autore. «Le cattive notizie, per quanto veritiere, spiacciono ai vertici. Eppure
l’autorevolezza e la forza di un leader sono legati alla capacità di convivere con la critica che gli viene rivolta. Il consigliere, da par suo, se non vuole diventare uno strumento inanimato del potere, può scegliere di opporsi al suo capo, quando crede che si sbagli. Restando libero di criticare il potente di turno, il consigliere si pone come primo argine di un’autorità che si fa dispotica. Preservando la propria libertà di critica, ha qualche chance di salvare anche la sua anima. Il consigliere politico diviene, così, il simbolo di ogni libero cittadino che respinge la pretesa del potere di ergersi sopra ogni cosa.»
Si tratta allora, alla fin fine, di credere che coraggio e verità siano ancora qualità essenziali della politica e del potere. Se non altro perché, conclude Antonio Funiciello,
«per dirla ancora col Machiavelli delle Istorie, “in questo guasto mondo” di una politica e di un potere pavidi e fasulli non si capisce proprio cosa dovremmo farci.»