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Harold Bloom: lo sconfinato amore per il mondo di Shakespeare
Scritto da:
Redazione BookToBook
29 Ott 2019
Il 14 ottobre 2019 ci lasciava a New Haven (Connecticut) Harold Bloom, uno dei più grandi – sicuramente il più influente – critico letterario statunitense.
Con lui si è diffuso un modo di fare critica letteraria profondo, appassionato e visionario. Tutti aggettivi perfetti per rappresentare non solo il suo lavoro, ma anche la sua personalità.
Autore di testi di indiscutibile valore ed eco mediatica come L’angoscia dell’influenza, Anatomia dell’influenza, Il canone americano e Il canone occidentale, Harold Bloom ci ha raccontato la storia letteraria infondendole uno spirito critico vitale, ha collocato in un Olimpo ideale i giganti della letteratura americana, non per fissarli dogmaticamente ma per stimolarci alle domande e alla scoperta.
Ci ha fatti innamorare del suo modo di leggere e di narrare. Perché la vera critica non è solo, come suggerisce la sua etimologia, discernimento: è narrazione, interpretazione, ri-creazione.
E questo vale soprattutto nel caso del critico che ha teorizzato il paradigma dell’influenza letteraria come fitta rete di rapporti intratestuali e storici tra le opere e gli autori.
Harold Bloom amava Shakespeare
Con tutto se stesso. A lui ha regalato pagine di critica, lezioni in aula, prove attoriali (sì, sapeva anche recitare). Nel leggere il più grande dei poeti e drammaturghi inglesi, che continua a ispirare libri, film, opere teatrali, Bloom cercava compenetrazione di significati, nella vita dei suoi personaggi leggeva la sua e la nostra.
Di lui ha scritto: “Shakespeare scrive e compone come se conoscesse ogni cosa e niente. È inutile chiedersi se fosse cattolico o protestante, bisessuale, felicemente sposato o separato, umanista o nichilista. Shakespeare contiene tutto e tutti […] Le sue azioni sono diventate le nostre emozioni, i suoi sogni popolano i nostri pensieri.”
Per omaggiare quindi il suo più grande amore letterario, esce per Rizzoli Libri Il demone di Shakespeare, un volume in cui sono raccolti gli interventi critici dedicati a due dei più grandi personaggi del mondo shakespeariano: Falstaff e Cleopatra. Attraverso una selezione dei suoi contributi più appassionati e appassionanti, il libro ci porta dentro la visione che il critico aveva dei due personaggi, il cavaliere grasso e vanaglorioso e la regina enigmatica e sensuale. Sembra non esistono due caratteri più distanti, eppure Bloom stesso ci racconta che:
Falstaff e Cleopatra traboccano di vita. «Esuberanza è bellezza» è un altro Proverbio dell’inferno.
L’esuberanza dell’essere di Amleto diventa profondamente negativa. Falstaff è l’Amleto di se stesso. Amleto è il Falstaff di se stesso. Il grido dell’umano scaturisce da tutti e tre alla massima intensità. Falstaff si colloca tra Cleopatra e Amleto. La regina si rifiuta di cedere ed è trasfigurata dal suicidio. Amleto accoglie volentieri la morte. Falstaff sminuisce e muore soffrendo. Eppure l’Immortale Sir John conserva ancora intatta la sua vitalità, senza pari nell’intera letteratura immaginativa occidentale.
Traboccano di un vitalismo ognuno a suo modo estremo e per questo vengono innalzati a emblema di un’opera letteraria che come loro non muore mai.
Falstaff secondo Harold Bloom: il cavaliere vitale e infinito
M’innamorai di Sir John Falstaff da dodicenne, quasi settantacinque anni fa. Ero un ragazzino piuttosto grassoccio e malinconico e mi accostai a lui per necessità, perché ero solo. Ritrovarmi in lui mi liberò da una timidezza esasperante.
Si definiva “falstaffiano da una vita” Harold Bloom, che nel dramma del cavaliere smargiasso ha trovato la forza per uscire dal suo guscio interiore. Ce lo racconta tra i libri, le rappresentazioni teatrali (lui stesso lo portò in scena la sera del 30 ottobre 2000 con l’American Repertory Theater a Cambridge, Massachusetts) e gli adattamenti cinematografici (era perdutamente innamorato di quella di Orson Welles del 1965). Nelle pagine del libro prendono vita il comico e il tragico di Falstaff, personaggio che appare nelle due parti di Enrico IV e Le allegre comari di Windsor per poi essere nominato in Enrico V dove la sua assenza risuona più che la presenza di tutti gli altri personaggi.
Parodia i testi biblici, muore per il dolore causato dal ripudio del re, a lui Shakespeare affida il compito di pronunciare la celebre frase: “L’onore non è altro che uno stemma di quelli che si usano nei funerali.” L’onore di Falstaff era tutto suo e non aveva a che fare con la morale comune. Di lui Bloom scrive che è sconcertante quanto Amleto e infinitamente mutevole come Cleopatra.
Può essere inteso, ma non compreso fino in fondo. È un personaggio infinito e, come tale, destinato a non morire mai. Ha un linguaggio immaginifico, potente, individuale che si reinventa ogni volta che qualcuno lo legge o lo racconta. Rimane insomma talmente insuperato tra tutta l’umanità delle opere shakespeariane che in certi punti Harold Bloom lo identifica con Shakespeare stesso.
Ma dovendo lui cercare degli antenati di Falstaff per analoga grandezza, li individua nel Bastardo di Faulconbridge del Re Giovanni e Shylock del Mercante di Venezia.
Cleopatra secondo Harold Bloom: la regina più vorace e seducente
Nessun altro personaggio shakespeariano è metamorfico come Cleopatra. La regina trabocca come il Nilo. Flusso, riflusso e ritorno è il suo ciclo di fecondità e rinnovamento. Alimentare la vita in tutte le sue forme, e Antonio in particolare, non fiacca mai la sua vitalità. Il suo ardore, suprema- mente sessuale, trasfigura la sua saggezza politicamente acuta. Cleopatra seduce i conquistatori del mondo perché è sua gioia, ma anche suo disegno, proteggere l’Egitto e la dinastia tolemaica. È circondata da un’aura. Guardarla equivale a essere trasportati in un fulgore insieme terreno e celeste.
La potente sovrana, la prima e la sola regina tolemaica a parlare sia l’egiziano sia il greco, che si considerava un’incarnazione della dea Iside, viene descritta come traboccante di vita, proprio come il Nilo, da sempre generatore di vita. Il suo personaggio è un eterno mistero, la donna più mortalmente seducente dell’intera produzione shakespeariana. Antonio e Cleopatra non esisterebbe senza la sessualità e la sensualità di Cleopatra ma l’opera è molto di più del dramma di due amanti, è un capolavoro sull’essenza del potere, del comando e del possesso. Shakespeare ci racconta un Antonio preso da un furore che “passa la misura”, che per descriverlo servirebbe “un nuovo cielo e una nuova terra”. Un amore assoluto che alla fine ci porterà giù fino alle tenebre. Cleopatra ha giocato con Antonio e con tutti i lettori del suo dramma.
Il demone di Shakespeare è nella sostanza una dedica allo scrittore che Bloom ha amato sopra tutti, quello che definiva un “ineguagliato psicologo” in cui sono già presenti tutti gli aspetti essenziali di Freud. Ci dice che i drammi di Shakespeare sono intessuti di pulsioni alle quali non possiamo a resistere. E per questo non siamo noi che li leggiamo, sono loro che ci leggono fino in fondo.
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