Intervista a Jeffery Deaver: “La mia più grande paura è deludere i lettori”

Scritto da:
Redazione BookToBook
13 Nov 2024

Ogni giorno, poco prima di mettersi a scrivere uno dei suoi romanzi bestseller, la più grande paura che lo assale è deludere i lettori. Con alle spalle 45 anni di carriera e un numero impressionante di libri – una cinquantina di romanzi e un centinaio di racconti –, scritti e venduti in 150 paesi e tradotti in 25 lingue, Jeffery Deaver, tra i più grandi maestri del thriller mondiale, il genio creatore di killer spietati da far tremare i polsi, ci confessa limpidamente che il suo terrore più grande è non essere all’altezza del proprio pubblico. Lo abbiamo intervistato in occasione dell’arrivo in libreria de La mano dell’Orologiaio, sedicesimo capitolo della serie con protagonista l’amatissimo Lincoln Rhyme, l’investigatore tetraplegico che sembra non invecchiare mai da quando, 27 anni fa, venne pubblicato il primo capitolo, Il collezionista di ossa, che portò Jeffery Deaver al successo internazionale.

La mano dell’Orologiaio

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Jeffery Deaver: un maestro del thriller

Deaver è considerato dalla critica, oltre che dal pubblico, un maestro nel congegnare macchine narrative micidiali e perfette, imbattibili nel tenere incollati i lettori dalla prima all’ultima pagina. Non potevamo allora che partire da qui: qual è il segreto di Jeffery Deaver nell’essere tanto prolifico quanto creativo?

«Io credo che la mia missione sia dare ai lettori l’esperienza emotiva più intensa possibile», ci ha risposto Deaver. «Quando scrivo un libro, non miro soltanto a raccontare una storia interessante, ma a qualcosa di veramente trascinante che crei una reazione emotiva forte in chi legge. Nonostante siano passati tanti anni da quando ho intrapreso questa professione, ogni mattina mi sveglio con la paura di non essere in grado di trasmettere ai lettori le sensazioni forti che io voglio che avvertano quando leggono i miei romanzi. Continuo a farlo tutti i giorni, lavorando anche dieci ore al giorno, nonostante la tensione che m’assale».

Pubblicati in Italia da Rizzoli, i thriller di Jeffery Deaver non sono soltanto puro intrattenimento letterario, seppur potentissimo. Le storie che ci racconta sono dense di riferimenti all’attualità, interpretano le paure della gente ai giorni nostri, affrontano i pericoli da cui siamo minacciati oggi, denunciano storture e corruzione delle società moderna, come ci conferma lo stesso Jeffery Deaver, che abbiamo incontrato in una delle tappe del tour italiano di presentazione de La mano dell’Orologiaio.

Ogni romanzo di Deaver ha al suo interno un elemento criminale e un rimando all’attualità

«Sì, tutti i miei libri contengono un elemento criminale al proprio interno», ci dice Deaver, che sin dalle prime pagine de La mano dell’Orologiaio trasporta il lettore in una New York sprofondata nel terrore dove, sullo sfondo dei grattacieli di Manhattan, una gigantesca gru è appena crollata su un cantiere edile causando morti e feriti. La dinamica non è chiara ma una cosa è certa: non si è trattato di un incidente. La responsabilità del disastro è subito rivendicata dal Kommunalka Project, una cellula terroristica che annuncia di sabotare una gru ogni ventiquattr’ore se l’amministrazione cittadina non si deciderà a convertire alcune proprietà di lusso in alloggi sociali. Il sindaco non intende scendere a compromessi ma davvero si tratta di terroristi? Come sanno bene i lettori affezionati di Jeffery Deaver, una cosa che non manca mai nei suoi libri sono i colpi di scena, immancabili e, naturalmente, inattesi. Spetterà a Lincoln Rhyme, alla sua compagna di indagini e di vita Amelia Sachs e ai lettori scoprire la verità. Nel frattempo, Jeffery Deaver ci svela qualcosa di più della sua arte narrativa. «Nei miei libri ci sono sempre due aspetti importanti: uno è l’elemento sociale, che ne La mano dell’Orologiaio è la disuguaglianza economica, che in realtà avrà un impatto positivo sullo sviluppo della trama, come spesso succede nelle storie che narro. Poi c’è l’elemento delle relazioni sociali, che nell’ultimo romanzo è raffigurato in particolare nel personaggio del giovane Ron Pulanski», l’agente del Dipartimento di polizia di New York che affianca Rhyme e Sachs nelle indagini, «diventato molto popolare tra i miei lettori. Come scrittore, sono abituato a concentrarmi molto sulla trama, ma nessuna trama può reggere se non è sostenuta da personaggi all’altezza, realistici e credibili che suscitino empatia nei lettori. Dedico parecchio tempo a disegnarli, ad arricchirli con molte sfaccettature, come nel caso dell’Orologiaio, il cattivo di turno».

A leggere La mano dell’Orologiaio, così come altri romanzi di Deaver, viene da chiedersi se avremo sempre bisogno di supereroi in cui credere e di supercattivi da esorcizzare, ma lo scrittore ci offre uno spunto in più alla nostra riflessione:

«Non dimentichiamoci che ogni cattivo, in ogni storia, è l’eroe della propria storia. E così, alla fine, il lettore sviluppa una sorta di vicinanza anche nei confronti di questi personaggi, di questi cattivi. Con tre o quattro finali a sorpresa garantiti ogni volta», promette Deaver.

L’Orologiaio è un po’ Moriarty, un po’ Voldemort

Chi è allora l’Orologiaio, comparso per la sua prima nel 2006 tra le pagine de La luna fredda?

«È una sorta di Moriarty, per chi conosce i romanzi di Sherlock Holmes, o di Voldemort per i più giovani, perché è la nemesi di Harry Potter. L’Orologiaio è un cattivo particolarmente devoto al male, il più raffinato tra i mali possibili; ha l’ossessione di applicare un piano scientifico alle azioni che compie, crede di essere una sorta di orologiaio perché costruisce i suoi piani come sistemi a orologeria perfetti. E persegue un’idea particolare, parallelamente al suo hobby di costruire orologi: è convinto che il mondo sia dominato da un’entità sovrannaturale simile a un orologiaio. Non c’è nulla di religioso in questo, è l’idea quasi metafisica di una società che non potrebbe esistere se non esistesse una mente scientifica che la domina dall’alto», ci spiega Deaver. «Chi sono i cattivi del nostro tempo? Ce ne sono tantissimi, troppi. Il mondo ne è zeppo, non voglio elencarli ma posso dire che in ogni mio romanzo ho sempre inserito un supercattivo, all’interno di tematiche più ampie. Mi vengono in mente alcuni romanzi scritti anni fa, come Il filo che brucia», dove appare l’Orologiaio, «in cui racconto della vulnerabilità dei sistemi elettrici, oppure La sedia vuota, che affronta i rischi ambientali e la diffusione dei pesticidi o, ancora, La finestra rotta, in cui ho anticipato in qualche modo, quando ancora non ne parlava nessuno, il rischio del data mining, dell’utilizzo distorto dei dati personali. Alla fin fine, credo che queste storie e questi personaggi siano più interessanti degli Avangers o dei supereroi».

La luna fredda

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La mano dell’Orologiaio: tra crime e attualità

Ne La mano dell’Orologiaio a un certo punto compare, in uno dei passaggi cruciali, quello che intuiamo essere il presidente degli Stati Uniti. Come sempre succede nei romanzi di Jeffery Deaver e come accade spesso nella realtà degli Stati Uniti, il paese in cui lo scrittore americano ambienta le sue storie, anche nell’ultima campagna elettorale per le presidenziali abbiamo assistito a diversi colpi di scena, uno su tutti l’attentato a Donald Trump per mano di un fanatico durante un comizio, così come abbiamo ancora davanti agli occhi le scene incredibili dell’assalto a Capitol Hill nel gennaio del 2021. Abbiamo allora chiesto a Jeffery Deaver, che è nato e vive in America, se secondo lui il fanatismo può generare mostri.

«La situazione negli Stati Uniti è molto complessa, ma non me la sento di attribuire troppe colpe ai seguaci di Trump, che alla fine sono stati sedotti dall’uomo forte che ha raccontato loro un sacco di panzane, ha fatto credere cose assolutamente assurde», ci risponde lo scrittore. «Ho tratteggiato personaggi simili anche in uno dei miei romanzi, Gli eletti, che fa parte della serie con protagonista Colter Shaw, in cui racconto la storia di persone che, anche quando apparentemente non sembrano vulnerabili, cadono comunque in certe trappole, si lasciano incantare da finzioni. Le mie sono storie di intrattenimento che devono avere un passo forsennato, ma dare anche un po’ di sostanza in più le rende più interessanti».

In effetti, La mano dell’Orologiaio e, più in generale, tutta l’opera di Jeffery Deaver ha sempre un ritmo della scrittura, della suspense, dei colpi di scena che fa pensare all’andamento musicale di una grande opera orchestrale. Gli abbiamo chiesto quanta parte c’è di istinto e quanta parte di tecnica nei suoi libri.

«C’è sicuramente l’istinto che mi è stato conferito per natura e poi c’è tanto lavoro. Pianifico sempre in anticipo le mie storie, riesco a visualizzare nella mia mente i libri proprio come un pezzo musicale, e anche come un film. Per esempio, quando da Il collezionista di ossa fu tratto il film omonimo con protagonisti Danzel Washington e Angelina Jolie, lo sceneggiatore mi disse che in realtà aveva dovuto aggiungere pochissimo, perché avevo fatto quasi tutto io, il libro era già una sceneggiatura. La stessa cosa sta succedendo ora con la serie televisiva Tracker con protagonista Colter Shaw. I produttori mi hanno detto che in buona sostanza non hanno dovuto fare granché. Tra l’altro, la serie, che negli Usa è arrivata alla seconda stagione, è la più vista dagli americani tra i programmi non sportivi. Tutto questo è dovuto al fatto che non solo pianifico tutto ma che, secondo alcuni, ho una mente contorta!», scherza Deaver a proposito della serie uscita in Italia nel 2019 con Il gioco del mai. Colter Shaw non è né un poliziotto né un militare bensì un tracker, un localizzatore, uno che vive di ricompense nei casi di persone scomparse e che, coi propri metodi e con le proprie missioni, supporta il lavoro della polizia.

Abbiamo chiesto a Deaver di raccontarci come è nato il personaggio e se, dopo tanti anni al fianco di Lincoln Rhyme, non abbia sentito il bisogno di mettersi alla prova, rischiando con qualcosa di nuovo. Ecco come ci ha risposto: «Non scrivo per me, scrivo per i miei lettori, che sono il mio dio. Per loro potrei scrivere qualsiasi cosa, o quasi. Ai miei lettori piace Lincoln Rhyme e di sicuro non smetterò di scrivere storie su di lui. Però Rhyme non è il personaggio ideale per un certo tipo di storie. L’idea di Shaw è rimasta latente per molti anni finché, a un certo punto, ho deciso di creare questo personaggio immaginando un uomo che potesse andarsene in giro per il paese alla ricerca di ricompense. Ho l’impressione che il personaggio sia piaciuto, alla luce delle vendite dei libri della saga e dei milioni di persone che seguono la serie tv».

I romanzi di Jeffery Deaver conquistano i lettori anche grazie alla precisione e raffinatezza degli infiniti dettagli tecnici di armi, macchinari assassini, veleni, strumentazioni tecniche e digitali di indagine che vengono riportati in pagina con una minuzia quasi maniacale. Abbiamo chiesto allo scrittore americano se si avvale di un team di consulenti fidati di volta in volta oppure se ha tanti amici poliziotti.

Il filo che brucia

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«No, non ho una squadra, svolgo da solo le mie ricerche, che per me sono importantissime perché è fondamentale che ciò che inserisco nei miei libri sia preciso», ci risponde secco Deaver. «Conosco molte persone all’interno della polizia, della sicurezza nazionale e dell’esercito e di quando in quando, quando ho bisogno, le consulto e mi danno un aiuto. Però, fondamentalmente, sono una persona curiosa e mi piace molto fare ricerche».

La mano dell’Orologiaio è dedicato a Jerry Sussman, «patriota, padre di famiglia e amico», si legge in esergo. «È un amico scomparso tre anni fa, operava alle dipendenze di un’agenzia segreta nazionale», ci spiega Deaver. «Non posso dire molto su di lui, sono tenuto a una certa privacy sul suo conto ma posso dirvi che è stato fondamentale per il ruolo che ha svolto nella protezione degli Stati Uniti e dei loro alleati».

In effetti, la nostra epoca è fortemente segnata da rabbia, povertà, paura e disuguaglianze tra le fasce più deboli delle società contemporanee. Sono temi che corrono lungo i romanzi di Jeffery Deaver. I politici sono bravissimi ad alimentare rabbia e paura ma non sono capaci di ridurre povertà, disuguaglianza e razzismo. Gli abbiamo chiesto se non lo preoccupa questo immobilismo che dura da decenni nel trovare soluzioni a quelle che sono considerate tra le fonti principali delle tensioni politiche e sociali della contemporaneità, nonché del populismo e dei regimi illiberali.

«La disparità di ricchezze è una questione complicata», ammette Deaver. «Alcuni individui sono ricchissimi ma hanno un atteggiamento responsabile, creano innovazione e posti di lavoro, rendendo la vita migliore ad altre persone. Ci sono poi altri individui ricchissimi che non fanno nulla di tutto ciò e, anzi, sfruttano gli altri al fine di aumentare la propria ricchezza. Quando nei miei libri mi occupo di questioni come queste, cerco sempre di fare le dovute distinzioni e di evidenziarle. Ci sono persone ricchissime, mi vengono in mente esempi plateali come Steve Jobs e Bill Gates, che in realtà, nonostante la loro immensa ricchezza, hanno fatto cose positive per la società, ed è importante che anche questo emerga dalle mie storie».

Prima di salutarlo, abbiamo chiesto a Jeffery Deaver chi vorrebbe essere se avesse la possibilità di rinascere.

«Se potessi rinascere a modo mio, senz’altro vorrei essere William Shakespeare: raccontava storie in maniera poetica, scriveva commedie, tragedie, sonetti in forma lirica, e credo sia stato il più grande genio di tutti i tempi».

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