«La verità non esiste, la libertà è una convenzione, si allarga e si restringe a seconda del periodo storico, dell’ottusità di chi comanda, della volgarità di chi la vieta e la ostacola». Ne è convinto Manlio Parrini, maestro del cinema italiano che a settant’anni, dopo aver abbandonato le scene all’apice del successo ed essersi ritirato in una dépendance nel cuore di Milano, decide di tornare dietro la macchina da presa per inquadrare i tempi bui che oggi, come ieri, minacciano le nostre vite apparentemente libere. Il grande regista vuole fare un film sull’impossibilità di essere liberi, un film contemporaneo «sulla dittatura del conformismo, sul nostro piccolo cedere spazi di libertà perché ci sembrano dettagli trascurabili». Come soggetto ha in mente un cold case degli anni Quaranta, la morte del commediografo e scrittore Augusto De Angelis, maestro del giallo italiano deceduto il 18 luglio del 1944 in seguito all’aggressione subita da un repubblichino. Una storia di ingiustizia completa, perfetta e, soprattutto, vera in cui s’innesca, inaspettatamente per il protagonista, un altro giallo, un altro oscuro omicidio su cui Parrini si ritroverà suo malgrado a indagare dalla finestra della sua casa, questa volta contemporaneo come il suo film: l’assassinio della vicina di casa, l’anziana vedova del cavalier Bastoni, milionario mecenate d’altri tempi che aveva finanziato le opere di Parrini lasciando poi in eredità a lui (a mo’ di riconoscimento della sua arte) la dépendance e alla moglie una settantina di appartamenti, «una cosa che somiglia parecchio a una miniera d’oro», per come va il mercato immobiliare nell’agiata (per pochissimi) metropoli lombarda…
Le verità spezzate è un giallo nel giallo
Con il nuovo romanzo Le verità spezzate appena arrivato in libreria per Rizzoli, Alessandro Robecchi, scrittore milanese tra i più amati, creatore della fortunata serie con protagonista Carlo Monterossi edita da Sellerio e tra gli autori degli spettacoli di Maurizio Crozza, costruisce un raffinatissimo meccanismo di specchi, di vittime e colpevoli di un doppio giallo, di chiaroscuri resi egregiamente dall’obiettivo cinematografico del protagonista Manlio Parrini e dalla penna dello scrittore Alessandro Robecchi. La finzione e la realtà vengono a contatto, si sfiorano in continuazione fin quasi a confondersi in un gioco di luci e ombre che, attraverso l’invenzione letteraria che s’ispira alla storia vera di un maestro del giallo quale fu Augusto De Angelis, ci interroga sui confini labili e sfumati della verità: poco importa che venga indagata dalla realtà dei fatti o dalla finzione della narrativa, se a spezzarla è la censura alle nostre libertà.
Ad Alberto Riva, che lo ha intervistato dalle pagine de “il venerdì” di “Repubblica”, Alessandro Robecchi ha spiegato di aver scoperto come, persino tra gli appassionati del genere giallo, «pochi sapessero della brutta fine di De Angelis. Quando ho letto com’era finito sono saltato sulla sedia: ma porca miseria, non lo sa nessuno, bisogna raccontarlo!».
Le verità spezzate: un giallo poliedrico
Le verità spezzate è dunque un romanzo poliedrico, dai riflessi tanto suggestivi quanto evocativi, e allora partiamo da qui, dall’omaggio che Alessandro Robecchi ha voluto rendere a un autore che negli anni Trenta del Novecento ha scritto parte della storia del giallo italiano; fu riscoperto all’inizio degli anni Sessanta da Oreste del Buono, che ebbe il merito di rilanciare i libri di De Angelis, creatore dell’eroico commissario De Vincenzi, un poliziotto poeta, «così geniale e riflessivo, uno che leggeva i poeti francesi, che misurava le sue indagini su delitti e omicidi con il metro della psicologia umana, che conosceva Freud e si addentrava nei labirinti della mente dei personaggi, mentre là dentro invece erano solo botte e voci urlate», scrive Robecchi e pensa Parrini (e viceversa).
«Augusto De Angelis era in qualche modo il padre del giallo italiano, aveva inventato un suo stile, aveva affilato il suo sguardo in un periodo in cui gli sguardi affilati non piacevano, non erano graditi, il manganello sembrava più efficace della psicologia, la repressione più importante della giustizia. Ci volevano legge e ordine, il disordine non era contemplato, il giallo era considerato con sospetto, poi addirittura vagliato con occhi severi dalla censura, e alla fine vietato del tutto. E De Angelis invece ne teorizzava la sapienza di letteratura popolare, e intanto abbozzava, si adattava. Poi lo avevano arrestato. Poi lo avevano ammazzato. Non aveva avuto giustizia, era un cold case italiano. L’inventore del giallo italiano morto ammazzato come in un pessimo giallo – non dei suoi – era una bella storia, no?»
Di Augusto De Angelis Manlio Parrini aveva letto tutte le opere ma nel film voleva inquadrare l’ultima parte della vita, quella dei romanzi gialli e del commissario De Vincenzi, «delle censure, delle teorizzazioni sul genere, del venire a patti, dei compromessi, delle note degli editori che gli chiedevano più prudenza, di adeguarsi di più, fino alla tragedia finale».
L’intellettuale «che non scimmiotta i detective americani o inglesi, che racconta il crimine qui, nel paradiso del fascio, dove il crimine non esiste» aveva dovuto fare i conti con gli «ottusi esecutori di ordini» del regime fascista che negli anni Trenta aveva nel mirino il giallo, la detective story, il poliziesco sebbene i Gialli Mondadori a cinque lire andassero a ruba, con il MinCulPop che nell’ottobre del ’41 aveva chiuso la collana: «Quando si spezzano le verità piccole», riflette Parrini, «poi si spezzano anche quelle grandi, che si comincia con piccole privazioni, minuscoli divieti, e si finisce a massacrare un popolo».
E in quel gioco di specchi dentro cui ci ritroviamo immersi sin dalle prime pagine de Le verità spezzate, lo stesso Parrini e la sua sceneggiatrice Sara De Viesti, capelli rossi e l’aspetto scontroso, che non piace allo showbiz mainstream perché troppo libera e poco addomesticabile, si ritrovano a combattere per non venire a patti, per non accettare compromessi, contro le logiche dell’algoritmo che scrive le sceneggiature e il marketing che disegna le trame e sceglie i cast con divi americani emergenti. Così come la sostituta procuratrice della Repubblica Chiara Sensini, a cui è stato assegnato il caso della morte della vedova Bastoni, si ritroverà a combattere contro i poteri forti che vogliono influenzare le indagini (ma non vi diremo perché). Siamo al nostro tempo. Ai tempi di De Angelis le regole erano chiare: «Nei gialli italiani l’assassino era meglio che non fosse italiano. I suicidi diventavano morti misteriose, o incidenti automobilistici, nessuno si toglie la vita nel paradiso littorio! E mai, mai, mai, il farabutto, o l’assassino, doveva farla franca. Ne sarebbe andato dell’onore della polizia fascista, farsi scappare un colpevole sotto il naso! De Angelis aveva dovuto adeguarsi, ma si vedeva la forzatura, i suoi libri erano pieni di signorine O’Brian, di mister Bolton, di avventurieri che avevano compiuto crimini in Sudafrica, gente che si chiama Shanahan, o Crestansen… una fatica, farli vivere a Milano… ». Niente a che vedere con la libertà d’espressione, sempre a rischio di venir spezzata, ieri come oggi.