Maurizio de Giovanni legge il primo capitolo di Una lettera per Sara
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Redazione BookToBook
23 Mar 2020
Maurizio de Giovanni ha creato le serie bestseller del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone.
Per Rizzoli ha pubblicato Il resto della settimana (2015), I guardiani (2017), Sara al tramonto (2018), per cui esiste un progetto di fiction televisiva, e l’antologia Sbirre (2018), con Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo.
Nel 2019 è arrivato il secondo capitolo della nuova saga di Maurizio de Giovanni, Le parole di Sara.
Nei prossimi mesi Sara Morozzi tornerà con Una lettera per Sara ma in attesa che le librerie di tutta Italia riaprano, Maurizio de Giovanni ha voluto condividere con tutti i suoi lettori in una diretta Facebook il primo capitolo del suo nuovo romanzo.
Ve lo riproponiamo in versione integrale qui sotto.
Maurizio de Giovanni legge il primo capitolo di Una lettera per Sara
il testo che segue è tratto dal primo capitolo di Una lettera per Sara di Maurizio de Giovanni
La porta si aprì, e l’acchiappasogni emise la solita delicata melodia. La proprietaria l’aveva comprato durante un viaggio in Sudamerica quando era giovane, più o meno nel Cretaceo superiore, e ci teneva moltissimo; la ragazza invece lo trovava snervante.
Non che suonasse troppo spesso, a dire il vero. In una città in cui la lettura non rientrava tra le esigenze primarie degli abitanti, una libreria antiquaria era un pessimo affare. Peraltro non godeva di una posizione strategica.
Ubicata ai margini delle vie del passeggio, non intercettava chi era a caccia di un regalo insolito e nemmeno chi, recandosi in ufficio, era disposto a fermarsi per apprezzare un’edizione illustrata dei Viaggi di Gulliver o de La Dame aux Camélias, che troneggiavano nell’unica, minuscola vetrina, scolorendosi al sole.
La ragazza era iscritta a Economia, e avrebbe potuto comporre un tomo di circa ottocento pagine elencando le ottime ragioni che sconsigliavano di avviare una simile attività, per giunta in un punto così defilato. Eppure, un mese e mezzo prima, mentre cercava una panchina per ammirare il panorama e ripassare Diritto privato, aveva ringraziato la provvidenza notando l’annuncio di un lavoro pomeridiano, scritto su un cartello da una grafia incerta, tipica degli anziani.
Aveva parecchi motivi per benedire quel colpo di fortuna.
La mattina libera le consentiva di seguire i corsi e di pranzare nel buco che condivideva con altre tre fuorisede, risparmiandosi il costo e la pesantezza di una pizza fritta raccattata al volo per strada. La paga, benché rigorosamente in nero, non era malvagia. L’eroica titolare, una vecchia dagli occhi acquosi determinata a morire nella libreria, era dolce e gentile seppur immersa in un mondo tutto suo, lontanissimo dalla realtà. E i clienti erano rari quanto le rondini d’inverno, così la ragazza poteva starsene tranquilla a preparare gli esami.
Certo, era convinta che l’esercizio fosse sull’orlo del fallimento, a meno che la proprietaria non disponesse di risorse segrete oltre allo sconfinato amore per i volumi di pregio, tra i quali si aggirava come una strega in mezzo agli alambicchi, intenta a miscelare pozioni magiche e formulare incantesimi. La ragazza nutriva il sospetto che, nelle poche occasioni in cui concludeva una vendita, la donna provasse un sottile dispiacere.
Le aveva raccontato di aver aperto una trentina d’anni prima insieme al marito, col quale condivideva la passione per i libri antichi. Il negozio, un’unica stanza di sei metri per sei invasa di scaffali alti quasi fino al soffitto, era di loro proprietà, e la ragazza supponeva che la vecchia fosse benestante, se non addirittura ricca; forse era per quello che non aveva ancora chiuso. Una volta era passata in libreria per recuperare un quaderno di appunti che aveva dimenticato. La signora stava sorseggiando un tè con quattro amiche; sommate, le età delle cariatidi dovevano superare i tre secoli e mezzo.
Un tè. Di mattina. Per lei era inconcepibile.
Il ristretto gruppo di frequentatori del negozio si divideva in tre categorie: la maggioranza voleva «solo dare un’occhiata»; poi c’era chi cercava un titolo in particolare, di solito non disponibile; e infine venivano quelli che volevano disfarsi di qualche dizionario decrepito, convinti di possedere un tesoro, il biglietto vincente della lotteria. A questi ultimi, secondo le consegne ricevute, la ragazza diceva di tornare l’indomani sul presto per parlare con la padrona. Spesso, il pomeriggio successivo, ritrovava quei cimeli senza valore nel vano sotto il banco, in attesa di essere sistemati su qualche ripiano a prendere polvere prima di un ulteriore passaggio di mano, eventualità assai remota ma non impossibile.
Coi collezionisti era diverso. La ragazza non li capiva.
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Seguivano strani criteri, indecifrabili rotte mentali per lei che era votata al senso pratico. Sapeva cogliere, però, quella scintilla nei loro occhi che tradiva il piacere per un ritrovamento inatteso insieme a una cupidigia venata di attrazione quasi fisica, come una lussuria insopprimibile; era la leva che sfruttava per condurre la contrattazione, l’arma che le consentiva di avere la meglio, incassando sempre più del minimo indicato dalla proprietaria sul tariffario che teneva in un cassetto.
Si era scoperta abile nella trattativa; era l’aspetto di quel lavoro part-time che le piaceva di più. Carpire il reale interesse dei potenziali acquirenti celato dietro l’apparente noncuranza, stabilire quanto erano davvero disposti a sborsare aveva il sapore della competizione, della gara da vincere. Le dava soddisfazione usare i trucchi del commercio che aveva appreso studiando, e sperimentare nuove tecniche. La vecchia, sorpresa, le aveva detto che in pochi giorni si era rivelata più talentuosa dei tanti commessi che l’avevano preceduta. La felicità per gli incassi inaspettati era appena smorzata dalla malinconia che la titolare provava nel separarsi dai libri. Quando c’era da acquistarli, al contrario, si illuminava di gioia.
La ragazza era autorizzata a prendere il denaro dalla cassa e a trattare coi venditori, ma non doveva mai offrire più del cinquanta per cento di quanto richiesto.
Sebbene fosse priva di esperienza, mercanteggiava con scaltrezza e aveva cominciato a valutare lo stato della rilegatura, a distinguere il periodo e il luogo di pubblicazione, a inventariare i titoli in giacenza. Non era mai capitato che la vecchia si fosse lamentata di qualche sua scelta; e lei cominciava ad avvertire il fascino di quell’inesplorato universo di carta e inchiostro compreso tra le pareti del locale.
Quando udì la melodia dell’acchiappasogni, alzò la testa smettendo di armeggiare con una pila di volumi che aveva comprato il giorno precedente. Doveva ordinarli in base all’anno di stampa, e non era facile perché spesso l’informazione andava dedotta dalla legatura, dalle illustrazioni, dalla grammatura della carta. Chissà perché sulle opere più datate alcuni editori non riportavano le indicazioni tipografiche…
Notò subito che l’uomo era sudato. In genere i clienti avevano l’atteggiamento del perditempo, una blanda curiosità dipinta sul volto e le mani in tasca. Questo invece pareva avere fretta. Molta fretta. Era scuro di carnagione, aveva i capelli radi e spettinati, e occhi neri che dardeggiavano attorno come in cerca di qualcosa. La primavera non si era ancora rassegnata a cedere all’estate, e il clima era fresco, tuttavia il sudore gli colava copioso dalla fronte rigandogli le guance. Anche la camicia sotto la giacca grigia era inzuppata. Di sicuro aveva corso.
La ragazza sfoderò il più persuasivo dei sorrisi e chiese se poteva aiutarlo. Lo sconosciuto la ignorò, occupato a studiare l’ambiente; le pupille guizzavano rapaci nel tentativo di individuare un dettaglio che sembrava sfuggirgli.
A un tratto si riscosse come da un sogno, accorgendosi solo in quel momento della commessa. Gracchiò qualche parola, tossì e ripeté con più chiarezza: «Salve, avete guide della città? Quelle d’epoca, intendo».
La ragazza annuì continuando a sorridere: aveva letto che trasmetteva all’interlocutore un’idea di calma e competenza, e serviva a carpirne la fiducia. «Sì, sono proprio lì, alla sua destra. Se le interessa, abbiamo anche dei diari di viaggio illustrati.»
L’uomo, intanto, si era accostato allo scaffale e sfiorava con le dita i dorsi dei volumi. Era senza dubbio un collezionista, ma quei gesti rispettosi, e al tempo stesso frenetici, la inquietarono. Si girò verso di lei. «E in inglese ci sono?» domandò.
«Certo. Ha già un’idea?»
Lui lanciò un’occhiata circospetta, quasi temesse di essere spiato.
La ragazza percepì un improvviso pericolo, e si spostò appena di lato per non avere l’uomo tra sé e la porta.
«Cerco un volumetto del 1928, ha una litografia del golfo sulla copertina azzurra. L’autore è Mackinnon, Albert G. Mackinnon.»
«È fortunato, lo abbiamo acquistato proprio ieri.»
Il viso dell’uomo si contrasse in una smorfia che tratteneva a fatica l’ira. La ragazza si spaventò, e fu sul punto di intimargli di andarsene, altrimenti avrebbe chiamato qualcuno. Poi i lineamenti di lui si distesero e la smorfia si sciolse in un sorriso che sembrò ringiovanirlo.
«Lo so. O almeno, lo speravo. È venuto un giovane con un giubbotto nero, più o meno all’ora di chiusura, giusto? Dovrebbe aver portato otto volumi, non tutti di valore.»
«Esatto. C’ero io qui in negozio. Proprio ora stavo mettendo le etichette coi prezzi, perciò non li ho ancora esposti.»
Un’ombra offuscò lo sguardo dell’uomo. Dolore, rabbia, stanchezza. Quindi si calmò e disse in tono neutro:
«C’è stato un… un malinteso con mio figlio. Quella guida non andava ceduta. Lui è fuori da ieri, così ho deciso di controllare nelle librerie in cui poteva essere stato. E questa era l’ultima».
La ragazza ridacchiò. «Sì, in effetti siamo un po’… isolati.»
L’altro sorrise di nuovo, solo con la bocca. Gli occhi erano colmi di inquietudine. «Posso riaverlo?» domandò.
«Purtroppo non ho il permesso di restituire la merce.»
L’uomo impallidì di colpo e appoggiò la mano sul banco, lasciando l’alone dell’impronta. «Come sarebbe, scusi? Le ripeto che c’è stato un malinteso.»
«È un problema di contabilità. Sa, abbiamo già registrato l’importo dell’acquisto. Non posso restituire il libro, solo venderlo.»
«Allora lo ricompro, va bene?»
«Sì, ma al nuovo prezzo» puntualizzò la ragazza.
«Sempre per un problema di contabilità.»
L’uomo emise un suono stridulo, quasi un urlo.
«Dannazione» ringhiò, «me lo dai o no questo cazzo di libro?»
La ragazza sbatté le palpebre, e replicò decisa: «Si calmi. Nemmeno la conosco, e soprattutto non sono tenuta a tollerare gli insulti di un maleducato. Si comporti in maniera civile o devo pregarla di andarsene subito».
Lui inarcò le sopracciglia e spalancò la bocca. Fece un profondo respiro. «Mi scusi, signorina» si giustificò pacato. «Ho avuto una giornata difficile, mi dispiace.
Non volevo spaventarla. È che quella guida, Things Seen In The Bay of Naples, è molto importante. È un… un ricordo di famiglia, mio figlio si è sbagliato. Mi dica quant’è, per favore.»
La ragazza era ancora diffidente, e lo fissava con durezza, le labbra serrate in una linea sottile. Dopo un lungo momento di silenzio, parve prendere una decisione, e tirò fuori da sotto il banco il volumetto azzurro.
Lui allungò la mano, ma lei rimase immobile. «Sono seimila lire» scandì.
L’uomo estrasse il portafoglio dalla tasca, contò veloce le banconote e le porse alla ragazza, che non ebbe alcuna reazione. Gli ci volle qualche istante per capire, poi appoggiò con delicatezza i soldi sul ripiano. Lei li contò, li ripose nella cassa e finalmente posò il libro sulla superficie.
L’uomo lo prese con quel misto di attenzione e smania con cui aveva esaminato gli scaffali. Scorse le pagine in preda all’ansia crescente. Arrivato alla fine, percorse l’ultimo foglio con la punta dell’indice indugiando su una piccola sottolineatura scolorita. Era probabile che stesse verificando se fosse proprio la copia che gli era appartenuta e che il figlio aveva venduto per errore.
La ragazza ricordò quel tipo col giubbotto nero che era passato il giorno prima. Doveva essere un suo coetaneo, aveva l’aria febbrile, le orbite cerchiate, le mani scosse da un lieve tremito, e aveva fretta. La transazione era durata una manciata di minuti, il giovane non era interessato a ricavare molto; lei aveva ipotizzato che fosse un drogato, ne circolavano tanti. Ma aveva concluso un buon affare, e le era bastato.
L’uomo richiuse il libro ed ebbe un moto di scoramento.
Appoggiò di nuovo una mano sul banco e si passò l’altra sul viso, le spalle di colpo schiacciate da un peso invisibile. Pareva disperato. Dopo un attimo biascicò un ringraziamento seguito da un saluto. Prese la guida, per la quale non mostrava più alcun interesse, e si avviò verso l’uscita.
Oltre alla compravendita, alla datazione e alla prezzatura, il mansionario prevedeva di sincerarsi che all’interno dei volumi non restasse niente. In quelle ultime settimane la ragazza aveva imparato che la gente nasconde di tutto tra le pagine: cartoline, appunti, liste di ogni genere.
La scortesia di quel cliente l’avrebbe spinta a lasciarlo andar via con la sua delusione. Ma le spalle curve, il modo di trascinare il passo, la vecchiaia che a un tratto gli sembrava piombata addosso la impietosirono. Pensò a suo padre, a quando l’aveva accompagnata alla corriera, il giorno in cui era andata via dal paese, e disse d’impulso:
«Il regalo per la signora Maddalena è così importante?».
L’uomo era sulla soglia, e aveva già aperto la porta a metà. Fu in quel preciso momento che la melodia dell’acchiappasogni s’interruppe, strozzando una nota.
Le sue spalle si raddrizzarono, ma lui non si voltò, incerto se quelle parole fossero state pronunciate dalla ragazza o fossero l’eco dei suoi pensieri. «Come?» domandò.
Lei abbozzò un sorriso.
«La lettera nella guida, quella in cui si parla del regalo da consegnare alla signora Maddalena. Verifichiamo sempre. E ho l’impressione che lei abbia perso qualcosa.»
L’uomo era tornato vicino al banco, più pallido di prima, e una strana luce gli si era accesa nello sguardo.
La ragazza quasi si pentì di averlo richiamato. Si abbassò, frugò nel cestino e gli porse un foglio.
Lui lo afferrò, lo aprì, se lo strinse al petto. E sembrò rinascere. Poi provò due violente emozioni, in contrasto tra loro.
La prima era il sollievo per un pericolo scampato, il conforto di una speranza inattesa.
La seconda era una dolorosa, infinita pena per quella ragazza così ingenua e inconsapevole.
Perché ora doveva morire.
Per forza.