La cifra stilistica di uno scrittore di meritato successo la si misura, è indubbio, tra gli altri possibili e variegati e soggettivi parametri di giudizio, dall’ingegno e dall’invettiva con cui persuade i lettori a lasciarsi andare, ad addentrarsi, dimentichi della propria quotidianità, in un mondo, in una città, in una trama fitta d’inattesi e inimmaginabili accadimenti, di suspense, di personaggi di penna che mai penseremmo d’incontrare sulla nostra strada ma che invece, conoscendoli via via pagina dopo pagina, finiscono per apparirci non così estranei, addirittura quasi familiari, affini al nostro più intimo e, talvolta, inconfessabile sentire e desiderare, amare e odiare. Così è l’arte del narrare e del processo creativo che guida lo scrittore di meritato successo, una affascinante miscela di mestiere di scrivere, di talento immaginifico e di profonda conoscenza dell’animo umano, a generare storie e personaggi che più sono inventati più ci appaiono veri e realistici, aprendosi un varco nelle nostre vite.
«Io racconto le vite degli altri perché le vite degli altri sono infinite. Contrariamente alla mia personale, che è una vita sola e che quindi ha una parentesi sostanzialmente breve, le vite degli altri sono sempre da raccontare. Questo è il motivo per cui io non racconto me stesso, anche se inevitabilmente, come nei figli va a finire il Dna del padre, in ogni personaggio va a finire una parte della mia esperienza di vita, e quindi molto della mia città.»
Così ci accoglie, con la sua conclamata arte orale del narrare, Maurizio de Giovanni, uno degli scrittori più amati e più letti, creatore di personaggi memorabili a cui si sono affezionati negli anni migliaia di lettrici e lettori, inventore di serie bestseller che riscuotono successo, di critica e di pubblico, ogni volta che arrivano in libreria e in cima alle classifiche dei libri più letti. E, come succede in ogni buon romanzo in cui l’ambientazione è parte significativa, scenografica, narrante, abbiamo incontrato Maurizio de Giovanni (che dalla prossima stagione condurrà la fortunata trasmissione Per un pugno di libri su Rai3), passeggiando nella sua adorata Napoli, città la cui presenza, mai dichiarata per nome nei suoi romanzi, è tanto silenziosa quanto seducente, nella sua riconoscibilità e unicità.
L’occasione è l’uscita di Sorelle. Una storia di Sara, nuovo capitolo della serie noir con protagonista l’ex agente segreto Sara Morozzi, la donna col dono dell’invisibilità e con il talento di saper leggere i segreti delle vite degli altri da uno sguardo, da un gesto, dal tremolio di un muscolo facciale. Poliziotta in pensione, Sara – che avrà il volto dell’attrice Teresa Saponangelo, accanto a Claudia Gerini nel ruolo di Teresa, nella nuova serie tv prodotta da Palomar prossimamente su Netflix, per la regia di Carmine Elia – ha lavorato in un’unità dei Servizi segreti ma la vita, ora che ha più di sessant’anni, capelli corti e grigi, continua a metterla alla prova, a chiamarla a rapporto, a chiedere che sia lei a indagare, in una Napoli caotica, periferica, lunare alla ricerca della verità, sfidando i più grandi misteri e misfatti della storia d’Italia. Sara è incapace di mentire, è votata a smascherare le finzioni. In Sorelle si legge, a un certo punto, che «la professione le aveva insegnato che quasi niente era migliore di come appariva».
La serie di Sara Morozzi comincia nel 2018
D’altronde, quella di Sara è una lunga storia, che abbiamo iniziato a conoscere nel 2018 grazie a Sbirre, l’antologia edita da Rizzoli che raccoglie tre racconti: Senza sapere quando di Massimo Carlotto, La Triade oscura di Giancarlo De Cataldo e Sara che aspetta di Maurizio de Giovanni. Poco dopo è arrivato in libreria il primo romanzo dedicato alla donna invisibile, Sara al tramonto e, a seguire, gli altri capitoli della serie – Le parole di Sara (2019), Una lettera per Sara (2020), Gli occhi di Sara (2021) e Un volo per Sara (2022) – pubblicata nella collana Nero Rizzoli, «l’unica, tra le grandi case editrici», fa notare lo scrittore napoletano, «ad aver creato una collana dedicata esclusivamente al romanzo nero».
In Sorelle. Una storia di Sara la sorella dell’anima di Sara Morozzi, Teresa Pandolfi, “la Bionda”, poliziotta a capo dell’Unità segreta dei Servizi, è stata rapita. Per salvarle la vita, Sara “la Mora” dovrà scavare dentro tutto ciò che sa di lei, tornare alle indagini di ieri e collegarle a quelle di oggi ma, soprattutto, dovrà schiudere lo scrigno dei ricordi, anche quelli all’apparenza più insignificanti, che ognuno di noi cela a propria insaputa in fondo al cuore. Sara è disposta a qualsiasi cosa per salvarla, con Viola, la compagna del figlio morto in circostanze sospette, l’ispettore Davide Pardo e l’ex agente Andrea Catapano, che con Bionda e Mora ha condiviso gli anni migliori. Comincia così una forsennata corsa contro il tempo.
Sara Morozzi è una donna contraddittoria ma piena di giustizia
Nell’intervista che abbiamo girato a Napoli, abbiamo chiesto a Maurizio de Giovanni di raccontarci come è nato il personaggio di Sara, una donna contradditoria, un personaggio che contiene in sé maternità e distruzione, una giustiziera ma pure una nonna premurosa, un agente segreto pronto a tutto per ottenere ciò che vuole ma anche una donna che per amore ha lasciato la famiglia, una figura che rompe parecchi tabù sull’immagine stereotipata della femminilità, che ha una bellezza senza età, che non si trucca, non si tinge i capelli, non si veste in modo provocante. Una donna a cui non interessa piacere secondo le mode del tempo e delle convenzioni ma che piace alle lettrici, una donna che paga un prezzo altissimo per le scelte che fa, «che in una notte ben fissa nella memoria, attorno ai trent’anni», ci racconta de Giovanni, «si gira nel letto, guarda l’uomo che dorme al suo fianco e che per lei rappresenta la tranquillità economica, la quiete, la serenità; significa suo figlio e tutto ciò che ha costruito fin lì. Ciononostante, Sara si rende conto che non ama quell’uomo e non lo amerà mai più. Si rende conto, in modo bruciante, che nella sua mente è entrata un’altra persona, con cui non ha una relazione ma è lì, tra i suoi pensieri, e allora si gira di nuovo dall’altra parte e decide, con assoluta certezza e con assoluta serenità di giudizio, che deve andarsene».
Con Sara, e con Teresa e con Viola, Maurizio de Giovanni ha arricchito il noir italiano di figure femminili forti e fragili, inquiete e decise, che si interrogano su se stesse, che dubitano, che in ogni momento decisivo delle indagini e della loro esistenza si chiedono se fidarsi della mente o dell’istinto, della ragione o del sentimento, che sono state plasmate da un passato che non si può dimenticare, che ritorna sempre.
Non è un caso che il primo romanzo della serie, seguito al racconto Sara che aspetta, s’intitoli Sara al tramonto. Un titolo insolito perché sembra ribaltare l’ordine delle cose, sembra annunciare una fine anziché un inizio. È il passato che ritorna sempre, che corre come un filo rosso lungo tutti e sette i capitoli della saga perché, come ci spiega Maurizio de Giovanni, «la serie di Sara è basata su un concetto di fondo: la mutabilità del passato. Noi siamo abituati tutti a ragionare nella vita come nella narrazione sul passato come un qualcosa di acquisito, di stabile, una memoria condivisa sulla base della quale noi costruiamo il presente nella prospettiva del futuro. Non è così. Il passato cambia a seconda della lettura che gli si dà», riflette lo scrittore.
«Immagina, per esempio, di trovarti un giorno nello studio di tuo padre, che non c’è più. Conservi di lui un’immagine forte su cui hai orientato la tua esistenza. Trovi in uno dei suoi cassetti un fascio di lettere, le apri, le leggi e scopri che per molti anni ha avuto una relazione sentimentale di cui non eri a conoscenza. Fino a quel momento conservavi il ricordo di tuo padre come una figura sempre presente nella tua vita, sempre associata a tua madre. Fino a ora lo avevi sempre pensato come un uomo poco espansivo, per nulla chiacchierone, ma da queste lettere da lui ricevute e tenute nascoste, scopri che non solo ha avuto un grande amore, ma che era tutt’altra persona. Questa scoperta cambia non l’immagine che avevi di tuo padre, ma il tuo stesso passato. Rileggi la tua vita di bambina, certe sue frasi, le sue presenze e assenze, certi suoi sguardi perduti nel vuoto alla luce odierna di questa relazione segreta. Acquisire nuovi elementi per leggere il passato sotto una diversa luce cambia il passato, e inevitabilmente questo si riverbera sul presente. La rilettura del passato alla luce di nuovi elementi è una costante di Sara».
Nella serie di Sara Morozzi c’è molta storia politica del nostro Paese
Sara è la più politica delle serie di successo che de Giovanni ha scritto finora. In ogni episodio Sara e gli altri personaggi che indagano al suo fianco si trovano alle prese non soltanto col proprio passato ma con i segreti più bui del Paese: corruzione, malaffare, segreti di Stato e servizi segreti deviati, crimini compiuti nell’interesse privato a scapito della collettività da parte di politici, funzionari pubblici, imprenditori, faccendieri. Sono storie, quelle che Maurizio de Giovanni crea in pagina, che richiamano la storia d’Italia e i principali eventi internazionali che hanno segnato il Novecento. Ma contro i poteri oscuri, Sara e gli altri personaggi esercitano un altro tipo di potere: la capacità di leggere l’animo umano attraverso il linguaggio non verbale, come fa Sara, o di andare oltre ciò che appare alla vista, come fa Andrea. Sono capacità a cui dovremmo dedicare più attenzione e impegno, in quest’epoca di iper-esposizione e di finzione mediatica dove l’invisibilità di Sara fa da contraltare, ci suggerisce de Giovanni: «Io credo che esista un superpotere, l’ascolto, che noi tendiamo a ignorare. I social purtroppo contribuiscono: ognuno di noi vuol essere protagonista e il protagonista non sta zitto, dice la sua e quelli che lo ascoltano hanno la sensazione di finire nell’ombra, di perdere smalto, di sembrare meno intelligenti. Eppure l’ascolto è un superpotere, supera le difese che gli altri tentano di erigere dinnanzi a noi. Sara guarda e desume da quel che vede. Andrea, che è cieco, è complementare a Sara, rappresenta gli altri sensi: udito, olfatto, tatto e gusto sono talmente raffinati in lui da convincerlo che la vista può addirittura distrarre. Quando guardi qualcosa, tralasci gli altri sensi. Sara e Andrea formano un’invincibile totalità dei sensi, una potenza enorme che mette a nudo gli altri. Come scrittore, ho la fortuna di essere letto da molte comunità di non vedenti che, oltre ad apprezzare il personaggio di Andrea, mi invitano spesso a incontrarli. Quando sto con loro, mi ritrovo a pensare a quanto siano diversamente vedenti, il loro modo di affrontare l’esistenza è di una complessità estremamente narrativa».
Ma allora quanto incidono su di noi le storie che leggiamo? «Nella storia tu t’immedesimi, ed è questo l’incanto della lettura», ci dice Maurizio de Giovanni. «Quando leggiamo, non siamo noi a entrare nella storia degli altri, ma sono gli altri a far entrare la loro storia all’interno della nostra. Nel momento in cui qualcuno o qualcosa ti costringe a rileggere il tuo passato, quella è la tua nuova storia. Da lì in poi non sarai più la stessa persona».