C’è chi lo sport lo pratica per vincere o soltanto per giocare; c’è l’agonista vero e il dilettante più o meno consapevole e c’è chi soltanto si diverte a fare il tifo dal divano, come in questi giorni di Olimpiadi invernali da Pechino. L’importante è, fosse anche solo col pensiero, gareggiare, perché in fondo «gareggiare è il sugo della vita», scrisse e ci ricorda Luigi Meneghello oggi, nell’anno e nel mese in cui si celebrano i cent’anni dal suo genetliaco. Nasceva il 16 febbraio 1922 a Malo («tra i luoghi meno provinciali del mondo»), e nel 1963 esordiva con Libera nos a malo, tra le opere più originali e rappresentative del Novecento italiano.
Luigi Meneghello è stato uno scrittore unico, dunque irripetibile, e ben venga che in occasione del centenario Bur Rizzoli riproponga nella collana Contemporanea, in nuove vesti grafiche e con nuovi apparati, l’intero catalogo dell’autore di Piccoli maestri, Trapianti, Bau-sète!, Pomo pero, Maredè, maredè…, Jura, L’apprendistato. Lo scorso gennaio è tornato in libreria Promemoria. Lo sterminio degli ebrei d’Europa (1939-1945), che vi abbiamo segnalato qualche settimana fa onorando la Giornata della Memoria.
Ora arriva in libreria una raccolta di testi inediti imperdibile, e non si fa tanto per dire: Spor. Raccontare lo sport, tra il limite e l’assoluto è un’altra luminosa gemma per chi ha sempre amato Meneghello e per chi ama lo sport ma ancora non conosce le prodezze letterarie e pure sportive del letterato vicentino.
«Nessuna persona seria dubitava che gareggiare sia il sugo della vita. C’erano forme arcaiche di gara, il contadinesco e osteriale (ma piuttosto affascinante) bracio di fero o il semi-scherzoso pissare-distante, di cui non sarebbe semplice, né forse decente, descrivere la tecnica.»
È il Meneghello (auto)ironico e malinconico, divertente e dissacrante, instancabile nell’esplorare la condizione umana e le sue epoche e fallimenti, a cui ridanno voce alcuni dei testi mai pubblicati raccolti in Spor, in parte provenienti dal Fondo Meneghello conservato presso il Centro per gli studi della tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia. È l’assoluto amore per lo sport, che lo scrittore aveva d’altronde sempre celebrato, in molte pagine dei suoi libri, e che qui trionfa in modo definitivo, in tutte le declinazioni e vibrazioni: il calcio e la pallacanestro, lo sci e l’alpinismo, il ciclismo e il motociclismo, il tennis e il nuoto, l’atletica e la boxe, il golf e lo scherma, lo squash e l’hockey, il rugby e il cricket, la caccia alla volpe e le bocce.
«Il giovane S., soggetto di questa relazione, pensava che l’uomo senza sport è nella stessa condizione di quello a cui non piacciono i radicchi con la pancetta; non è neanche un uomo. Concepiva lo sport soprattutto in senso agonistico, non come un piacevole esercizio del corpo. Macché esercizio piacevole, lo sport è nella sua essenza agone.»
Al centro dell’agone di questi racconti e micro-racconti proposti in volume con la curatela di Francesca Caputo, c’è “S.”, il protagonista, il giovane Meneghello, l’alter ego atletico dello scrittore che rivive nelle pagine di Spor. Tra il diario e l’invenzione narrativa, tra la cronaca e l’autobiografia, sono sequenze di vita e di scuola, il gareggiare coi compagni e gli amici, i ricordi dell’infanzia negli anni Trenta e gli echi del culto fascista per la prestanza fisica, il «‘camminare con le mani’, cioè ‘sulle mani’», che è «l’arte di avanzare o retrocedere capovolti, con le gambe in aria»; il salto a piedi giunti, tra le più interessanti «prodezze ginnico-atletico, toccare per-terra»; i paesaggi dei nostri «monti celesti, lo splendido raccordo del Pasubio col Posta, che chiamiamo il Sengio Alto», il ranpegare sulla roccia «che era sempre lì, sullo sfondo della nostra vita» e le discese con gli sci e un casco di cuoio da motociclista «che attutiva un po’ i colpi». Per arrivare coi ricordi e col pensiero lontano, nella Valle del Tamigi, all’università di Reading, dove lo scrittore vi rimarrà a dirigere il dipartimento di Studi italiani fin verso gli anni Ottanta e poi ancora a Bloomsbury, Londra, finché nel 2004 non farà per sempre ritorno in Italia, a Thiene, dopo la morte dell’amata moglie Katia.
Così inizia Spor:
«Roccia? Tu rocciavi? “Ranpegàvito?”» chiesi.
«Sì e no» disse S. «La roccia era sempre lì, sullo sfondo della nostra vita, e ogni tanto in primo piano… Ma io, si può dire che rocciassi? O soltanto contemplavo l’idea? Resta che nel foro interno, in interiore homine, da me abitava la roccia, a quintali…»
Eravamo in Scozia, sull’isola di Skye, in un alberghetto, verso sera. Davanti, le guglie dei Cuillins, limpide, emozionanti. Il cielo era insolitamente sereno, l’aria appena imbrunita, e dietro ai Cuillins il fondale di un tramonto verde smeraldo. S. si accorse del mio interesse, e si mise a parlare con un certo abbandono: e parlò poi fino a notte inoltrata, le chiare notti di lassù in giugno, col cielo che trascolorava per gradi impercettibili, e le guglie sempre più irreali.
Tra il limite e l’assoluto, «il transitare di S., ovvero del giovane Meneghello, da uno sport all’altro», suggerisce Giancarlo Consonni nella prefazione, «corrisponde a un continuo esplorare/ saggiare le potenzialità del proprio corpo e non solo. In ogni attività sportiva – e in modo più evidente nell’atletica e nella ginnastica artistica –, nelle posture, nei movimenti e nelle traiettorie dei corpi, gli atleti cercano una perfezione che, pur essendo inevitabilmente relativa, ovvero specifica del singolo soggetto, si porta a un confine oltre il quale c’è, se non l’assoluto, la sua idea. In questo lo sport ha elementi in comune con un ampio ventaglio di produzioni artistiche, dalla musica, alla danza, alle arti visive, alla letteratura (narrativa e poesia).»
Ed è poesia fin dalle prime succitate pagine di Spor, quando si va lassù, poesia «in ogni stagione, ma il più bel tempo dell’anno sono i giorni della Sagra della Roccia, i primi dieci o dodici o quindici giorni di settembre, quando si va lassù a rocciare o veder rocciare, e il piacere di vivere, con le sue stringhe di malinconia, risale in superficie.»
«Lo sport», spiega Francesca Caputo nella nota introduttiva, «l’agone, i motori, per Luigi Meneghello sono ingredienti fondamentali del “sugo della vita”, parti integranti della sua personalità, termini di paragone per parlare di sé e del suo lavoro. E chi meglio ne può fare racconto “serio” e appassionato del figlio e nipote dei proprietari della ditta Fratelli Meneghello in Malo – autofficina meccanica condotta con creatività e sapienza tecnica –, del cugino di Ester Meneghello, medaglia d’oro ai campionati italiani assoluti di atletica leggera del 1941 nei 200 metri piani, del nipote prediletto dello zio giovane, Dino, motociclista (ma anche sciatore, boxeur) e giocatore di calcio, per il quale conta “Non la velocità, lo scatto, e nemmeno il calcio-fisso” ma “Il tocco del pallone! Istinto di Dino per il centro delle cose, ‘la Vita’?»
Al gioco del calcio sono dedicate alcune tra le più esilaranti, popolari, verissime e condivisibili, nella loro significanza, pagine di questo inedito diario tra il limite e l’assoluto:
«Sull’orizzonte del sistema grandeggia un compagno di scuola, Zanchi, prestante e stimato centro-mediano del Liceo e del Thiene, che mise serenamente in pratica l’Aspirazione Suprema di ogni calciatore: prese a pugni l’arbitro, lo fece cadere per terra e gli montò sopra coi piedi: e fu trionfalmente espulso da tutti i campi d’Italia e da tutte le scuole del Regno. Non da alcuni: da tutti e da tutte, e per l’eterno.»