Come si fa a pesare l’anima? Parola a Olivier Norek
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Redazione BookToBook
26 Mag 2023
Con le sue storie al fulmicotone ispirate alla realtà di una vita passata a fare il poliziotto in una delle zone più violente di Parigi, ha sbaragliato le classifiche dei libri più letti in Francia, collezionando popolarità tra i lettori del crime più accaniti e consenso della critica attenta fin oltre i confini nazionali. Con oltre due milioni di copie vendute al mondo, Olivier Norek, occhi azzurri e gentilezza che conquistano al primo sguardo, una felpa col cappuccio sopra i suoi quarant’anni e più, rifugge da ogni qualsivoglia posa artificiale per raccontare di sé e del successo dei suoi romanzi noir in patria e all’estero. In Italia è venuto già due volte nel giro di nemmeno un anno, l’anno scorso a fine estate per presentare Superficie e qualche settimana fa per Il pesatore di anime, ma già nel 2018 Rizzoli lo proponeva al pubblico italiano con Tra due mondi.
Norek parla di un genere ormai “cannibalizzato”
Tre libri molto diversi fra loro di cui abbiamo parlato con lui proprio in occasione dell’ultimo suo tour italiano di presentazioni, una full immersion nel polar – efficacissimo neologismo francese nato negli anni Quaranta del secolo scorso dalla fusione di policier (poliziesco) e noir – che ha portato una ventata di novità in un genere – quello poliziesco – che Norek non esita a considerare oggi “cannibalizzato”, come ci spiega nell’intervista che vi proponiamo qui.
Lo avevamo già incontrato l’anno scorso, l’occasione era l’uscita in Italia di Superficie, che nel mondo ha venduto all’incirca mezzo milione di copie mentre in Francia ne stanno facendo un fumetto e una serie tv. Protagonista è Noémie Chastain, poliziotta sfigurata in viso da un colpo di fucile sparato da uno spacciatore durante un’operazione di polizia in una banlieue parigina. Una storia ispirata da un fatto vero, perché Noémie è in realtà Babeth, una collega e amica di Norek caduta in una trappola.
Ora Norek è in libreria con Il pesatore di anime, uno dei quattro polizieschi che hanno come protagonista Victor Coste, capitano di polizia e uomo consumato dalla vita che ritroviamo sotto copertura a Saint-Pierre-et-Miquelon, minuscolo arcipelago avvolto dalle nebbie al largo della costa del Canada. Assegnato al programma per la protezione dei collaboratori di giustizia, nella sua residenza-fortezza Coste deve decidere se accordare loro una nuova chance o rispedirli in cella. Ma quando da Parigi arriva sull’isola una ragazza di nome Anna, sopravvissuta a un serial killer che opera indisturbato da dieci anni, quello che sembrava un rifugio sicuro e inaccessibile diventa una trappola infernale.
Olivier Norek: «noi scrittori dobbiamo reinventare il romanzo poliziesco»
Con Il pesatore di anime lei è arrivato in cima alle classifiche, tra i libri più venduti nel suo Paese. Immaginiamo che per uno scrittore il successo sia una bella scarica di adrenalina, come quella che lei fai provare alle lettrici e ai lettori coi suoi romanzi, ma anche un grosso carico di aspettative da tenere sotto controllo per non ritrovarsi di fronte alla pagina bianca. Come scrittore (ed ex poliziotto), ha tecniche collaudate a cui far ricorso per gestire la pressione?
«Diciamo che sicuramente scrivo anche per gli altri, pensando alle mie lettrici e ai miei lettori, ma prima di tutto scrivo per me stesso, e difatti i miei libri sono molto diversi tra loro; ho scritto dei gialli ma pure un romanzo sociale quale è Tra due mondi, e sto lavorando a un romanzo storico», ci anticipa Olivier. «Lo sguardo degli altri può essere talvolta pesante da sopportare perché giudica, frena, inibisce. Se costruissi le mie storie in risposta alle aspettative del pubblico, rischierei di bloccarmi, di stare fermo, dunque cerco di pensare un po’ come quando siamo in piscina e saliamo sul trampolino più alto: chiudo gli occhi, faccio un passo avanti e mi lancio».
A proposito di Noémi Chastain, la protagonista di Superficie ispirata alla storia della collega e amica Babeth, Olivier aveva dichiarato fin da subito che non ne avrebbe scritto un seguito, mentre con Il pesatore di anime arriva finalmente in Italia uno dei suoi personaggi più riusciti, il capitano Victor Coste, già protagonista dei tre romanzi precedenti e amatissimo dai suoi connazionali. Superficie, Il pesatore di anime e Tra due mondi, ovvero i tre romanzi finora pubblicati in Italia, sono molto diversi fra loro ma hanno caratteristici tratti in comune, primo fra tutti la figura centrale del poliziotto, sempre in primo piano, sempre descritta da Norek con forti tratti di veridicità, come appunto la protagonista di Superficie. E poi c’è la posta in gioco, che nei romanzi di Norek è sempre molto alta per i protagonisti che indagano, sul filo del rasoio tra la vita e la morte.
Noémie Chastain, la protagonista di “Superficie”, esiste davvero e si chiama Babeth
D’altronde, poliziotto in servizio per diciotto anni nella vasta periferia settentrionale di Parigi nota come “il 93°”, il dipartimento col più alto tasso di criminalità di tutta la Francia, già l’anno scorso lo scrittore francese ci spiegava che non riesce a scrivere di cose che non conosce, che è peraltro anche la sua forza, impareggiabile la precisione e la potenza con cui porta avanti la detection nei suoi romanzi, realistici e coerenti, il che ovviamente favorisce la sospensione dell’incredulità, a tutto vantaggio di chi legge.
Pensando ai protagonisti dei suoi romanzi, nella realtà ci sono aspetti caratteriali e psicologici che accomunano, in qualche modo, voi poliziotti? Nelle prime pagine de Il pesatore di anime, leggiamo: «Ci sono poliziotti che danno la caccia ai mostri. E ci sono poliziotti che proteggono le vittime. La differenza è sottile, eppure c’è un abisso». È così anche nella realtà? Ci spiega la differenza?
«Il modo di raccontare una storia cambia a seconda delle parole che si scelgono per costruire la trama. Un appassionato di storia scriverà un poliziesco basandosi principalmente su fatti realmente accaduti e uno appassionato di psicologia analizzerà aspetti più legati alla mente dei personaggi. Io sono un poliziotto, ho lavorato per strada, ho vissuto certe situazioni che trascrivo scegliendo le parole alla luce delle mie emozioni, che hanno un fondo di verità e che sono direttamente attinte dall’esperienza che ho vissuto sul campo. Per un poliziotto, l’obiettivo finale è sempre quello di arrestare il colpevole, e i poliziotti detengono dei poteri: hanno il potere di arrestare una persona e di limitare la sua libertà, di avere e di usare una pistola. C’era un filosofo che diceva “a un grande potere corrisponde una grande responsabilità”», cita divertito Spider Man. «Tutto ciò dipende però sempre dal punto di vista: da una parte c’è il poliziotto che si concentra sul criminale e gli dà la caccia, dall’altra c’è il poliziotto concentrato alla risoluzione del caso con l’obiettivo di ripristinare l’ordine e rendere giustizia alla vittima. Io mi posiziono in questa seconda categoria di poliziotti».
In una recensione uscita nelle scorse settimane, Giancarlo De Cataldo, noto scrittore di noir ed ex magistrato, ha definito Olivier Norek come la punta di diamante del polar francese e Il pesatore di anime come l’esempio concreto e riuscitissimo di “polar” che sta esattamente a metà strada fra tradizione e innovazione. Da parte sua, Antonio D’Orrico ha scritto: «Molti colleghi letterari di Norek scrivono le loro storie con l’inchiostro, lui le scrive con l’adrenalina accumulata in tanti anni (diciotto) di onorato servizio. Norek scrive come indagava. Il poliziesco ha bisogno di un bagno di verità». È d’accordo?
«Purtroppo oggi il romanzo poliziesco è piuttosto cannibalizzato, nel senso che la maggior parte delle storie di questo genere che arrivano in libreria sono sempre costruite attorno a un assassino e a un poliziotto che alla fine lo arresta. Sono d’accordo: noi scrittori dobbiamo reinventare il romanzo poliziesco, cercare di dargli nuova linfa ricorrendo a soggetti che potremmo definire “meta”, cioè che ci permettano di andare al di là della semplice storiella trita e ritrita. Non dobbiamo cioè dimenticarci che il poliziesco non prescinde dalla letteratura, ne fa parte a tutti gli effetti».
Nei tre romanzi di Norek pubblicati in Italia, le storie iniziano tutte per così dire “a casa” dei protagonisti o dei personaggi comprimari, che vengono poi catapultati, insieme ai lettori, in territori sconosciuti e nient’affatto familiari: Adam, il protagonista di Tra due mondi, dalla Siria raggiunge il campo profughi di Calais, “la giungla”; dalla metropoli parigina Noemi, la poliziotta di Superficie, viene spedita nella campagna occitana e Victor, protagonista de Il pesatore di anime, vive nascosto su un’isoletta sperduta tra le nebbie dell’Oceano atlantico. Così facendo lo scrittore non soltanto apre scenari imprevisti o imprevedibili, ma stratifica i livelli di ambientazione delle storie, mettendoci di fronte a realtà diverse da quelle in cui vivono i personaggi e in cui i lettori si potrebbero facilmente ambientare o riconoscere.
Possiamo allora dire che un altro degli elementi in comune tra i suoi libri è la rottura col modello tradizionale della territorialità del genere giallo?
«Si può scrivere la storia più incredibile, con l’intrigo più spettacolare, che però può alla fine non trasmettere nulla senza il personaggio giusto, e il veicolo che permette di trasmettere davvero qualcosa è l’empatia, senza la quale non si arriva da nessuna parte. È importante conoscere bene il proprio personaggio così come sradicarlo dalla sua realtà e, a volte, addirittura maltrattarlo, perché far uscire il personaggio dalla propria zona di comfort permette di inquadrarlo sotto una luce diversa. Così luogo e personaggi sono entrambi importanti nel contribuire a creare una storia che lasci il segno. Vi svelo allora qual è la mia tecnica da scrittore per riuscire a creare una buona storia: innanzi tutto, per risolvere l’inchiesta scelgo sempre la persona sbagliata, la meno adatta al caso. E questo perché se scegliessi il personaggio in grado di risolvere l’indagine, il mio libro sarebbe lungo una decina di pagine!», sorride Olivier. «Ecco perché cerco sempre il personaggio peggiore, quello che all’inizio sembra il meno adatto in assoluto a portare avanti l’indagine, per sradicarlo dalla sua comfort zone e poter così scatenare qualcosa di inaspettato. Per esempio, in Tra due mondi all’inizio Adam, il protagonista, fa i conti con una famiglia distrutta, non va più d’accordo né con la moglie né con la figlia, le sta perdendo; nel suo viaggio a Calais incontra un migrante che con tutte le sue forze sta invece cercando la propria famiglia, che ha perso. Due personaggi che non avrebbero mai dovuto incontrarsi. Ne Il pesatore di anime il capitano Coste è distrutto dalla vita, provato da esperienze professionali difficili da gestire a livello personale; Anna è pure lei una vittima messa alla prova da esperienze terribili e si affida a lui pur sapendo che l’unica cosa che Coste vorrebbe è rimanere da solo, rinchiuso nella sua casa, senza dover instaurare alcun tipo di rapporto con la vittima. In Superficie Noémi è una poliziotta dal viso deturpato che viene giudicata superficialmente dallo sguardo degli altri. È però chiamata a risolvere un cold case, e per farlo deve necessariamente scavare nella memoria delle persone, deve creare una relazione con loro, cosa che eviterebbe di fare per non esporre la sua faccia allo sguardo degli altri. Noémi deve cioè prima affrontare se stessa per poter risolvere il caso».
«Del crimine», scriveva Luigi Bernardi, uno dei padri della crime fiction italiana che Rizzoli ha riportato in libreria qualche anno fa con la trilogia nera di Atlante freddo, «mi interessa il gesto e il senso, che non sono mai misteriosi in accezione ‘giallistica’, quanto fenomenali rappresentazioni del dramma primario: la vita come capacità di dare la morte. Raccontare un omicidio, scrivere di un coltello che penetra la carne, di una pallottola che devasta un volto, di una madre che getta dal balcone il proprio bambino, è entrare nel mistero della psiche, l’unico che ha senso indagare».
Anche la scelta dei nomi che Olivier Norek dà ai propri personaggi non è mai lasciata al caso.
«In Tra due mondi il protagonista si chiama Adam, cioè Adamo, il primo uomo vissuto nel giardino dell’Eden ma che finisce a Calais, tutt’altro che un paradiso terrestre. È una vera e propria giungla di profughi paragonabile all’inferno. In Superficie Noémi decide di tagliare una parte del proprio nome per farsi chiamare soltanto “No”, che è la negazione di se stessa. Ne Il pesatore di anime c’è un motivo per cui la protagonista si chiama Anna, ma lo scoprirete solo leggendolo… Un libro che si può leggere in due modi diversi: molto velocemente, come un giallo, oppure con uno sguardo più profondo, che legga tra le righe».
Ne Il pesatore di anime lei fa una cosa abbastanza inusuale in un romanzo poliziesco: scrive una nota d’autore in cui segnala al lettore le inchieste sui criptofonini e dei programmi di cifratura dei dati della malavita organizzata che compaiono a un certo punto nella trama. È un suo modo per invitare i lettori a restare vigili e attenti ai pericoli reali della nostra epoca? Sembra quasi che qui a scrivere sia, più che lo scrittore, il poliziotto che ha cuore la sicurezza dei cittadini…
«Oggi siamo già molto attenti a tutto ciò che ci circonda, viviamo un’era di sovra-informazione che in realtà non è altro che una disinformazione che alimenta le fake news e porta ad atteggiamenti quali il complottismo. Dato che le mie lettrici e i miei lettori mi fanno l’onore di dedicarmi tre, quattro, cinque ore del loro tempo a leggere i miei libri, in un’epoca in cui facciamo ormai tutti quanti fatica a disporre di cinque minuti di calma per chiamare le persone che amiamo, allora in cambio cerco di offrire loro informazioni veritiere, anche perché non invento nulla in quel che scrivo. In Francia è stata davvero scoperta una rete telefonica che metteva in collegamento telefonini criptati usati dai criminali e che la polizia non riusciva più a rintracciare. Possiamo fare un gioco insieme: prendete carta e penna e provate a scrivere la cosa più strana, più macabra e violenta, più incredibile che vi venga in mente; dopodiché appoggiate la penna, collegatevi a Google e digitate quel che avete immaginato. Sicuramente troverete qualche corrispondenza tra quel che avete immaginato voi e quello che hanno immaginato o fatto altre persone».
Leggete al proposito le prime righe del capitolo 5, che si apre su uno dei passaggi più suggestivi del romanzo:
«Li vorremmo spaventosi, i mostri. Nelle città, tra la folla, i loro demoni sono invisibili. Ci sfiorano senza farci rabbrividire. I loro sorrisi somigliano ai nostri, li rasentiamo, li avviciniamo, li invitiamo. Ci affascinano o ci lasciano indifferenti, perché sono normali, i mostri. La loro pelle, la loro voce, i gesti, tutto in superficie rientra nell’ordinario. Ma da qualche parte si è posata un’ombra. Silenziosa, si è nutrita di una ferita, di un’umiliazione, di una violenza, di un’anomalia, di un difetto. Si è posata su una sottile screpolatura che a colpi di becco e di artigli ha trasforma to in crepa. Un baratro, una trappola per la ragione, e lì nasce la collera. Una collera così piacevole da liberare, affinché una parte d’ombra si posi su altri. Pensando in tal modo di alleggerirsi, il mostro si rinchiude e nutre il suo serpente, sempre più affamato.»
Leggendo Il pesatore di anime, a concedere una sorta di pausa al ritmo velocissimo della finzione narrativa si trovano svariati inserti in cui lei offre diverse angolature delle società moderne in cui viviamo. Un’attenzione sociologica alle cause o alle condizioni che possono favorire da una parte la trasformazione di una persona qualunque in mostro e, dall’altro, il pericolo per ogni cittadino di diventarne una sua vittima. Per esempio, leggiamo: «In Francia ci sono otto milioni di persone solitarie, di cui quattrocentomila non hanno nessun contatto con l’esterno e non escono mai di casa. Sono vittime di tutta una serie di fobie sociali che vanno dall’ansia alla timidezza, dall’isolamento protettivo alla profonda mancanza di fiducia in sé, dal timore dei legami affettivi all’ipervigilanza dovuta alla paura dell’altro. O semplicemente accade perché è impossibile talvolta trovare il proprio posto in una società dove l’interesse individuale supera sempre quello dell’altro. Fra queste persone lui trovava le sue nuove identità e attraverso di loro rinasceva vergine». Oppure: «Con sette milioni di vittime d’incesto, ossia il dieci per cento della popolazione francese, era inevitabile che prima o poi una tra loro cadesse nelle grinfie del mostro. Del resto, la capacità dei predatori di fiutare le debolezze della preda si applica al mondo animale quanto a quello degli esseri umani. E Anna rifletteva, nell’atteggiamento, nei gesti e nello sguardo, le ferite e le incrinature che li attirano.»
Quelli che cita sono dati reali?
«Sì, sono tutti dati reali perché ho l’abitudine, quando sto scrivendo un libro, di portare avanti ricerche nelle biblioteche e su internet ma, soprattutto, di contattare e incontrare le persone specializzate negli argomenti che mi interessa approfondire. Le persone sole ed emarginate sono le persone che più mi interessano, mi dedico spesso agli invisibili, a quanti vengono lasciati ai margini, a quanti stanno nell’ombra. Sono loro ad avere le storie più forti e significative da raccontare e da trasmettere. Gli eroi non mi interessano».
L’anno scorso ci raccontava che abitava in una delle periferie considerate “calde” di Parigi. Vive ancora lì?
Sì, vivo ancora lì. Per scrivere ho bisogno di tensione, della violenza della vita tanto quanto dell’energia della città o delle belle cose che può offrire Parigi».
Tornando al dramma dei migranti descritto in Tra due mondi, le prime pagine del romanzo rimandano drammaticamente alla tragedia di Cutro, oltre novanta le vittime accertate affogate a pochi metri dalle coste della Calabria, tra cui molti bambini, avvenuta poche settimane fa. Il nonno di Olivier era un immigrato polacco, anche lui attraversò l’Europa diretto in Francia, dove trovò la possibilità di una vita degna di questo nome. Prima di entrare in polizia, Olivier ha partecipato ai soccorsi umanitari durante la guerra nella ex Jugoslavia e quando ha iniziato a lavorare a Tra due mondi, s’è messo lo zaino in spalla ed è andato a Calais per vedere coi suoi occhi, per parlare coi rifugiati.
Da scrittore o da poliziotto, scelga lei, come pensa si possa risolvere il problema delle migrazioni in modo da ridare valore al concetto di umanità?
«Domanda molto interessante. Per rispondere, parto dalla considerazione che a oggi siamo incapaci di gestire un flusso migratorio di 150mila persone che si spostano verso l’Europa, a fronte di un futuro in cui, a causa degli effetti del riscaldamento climatico, sarà necessario gestire tra 250 e 350 milioni di rifugiati che dall’Africa migreranno verso l’Europa e gli Stati Uniti. Detto altrimenti, credo che siamo incapaci di prenderci per mano e pensare che insieme ce la possiamo fare, forse perché siamo troppo egoisti, coltiviamo il nostro orticello e manteniamo la nostra zona di comfort, non vogliamo privarci di ciò che abbiamo per dedicarci agli altri, così come le grandi potenze si approfittano delle aree più fragili del mondo. Io credo fermamente che insieme potremmo fare la differenza, sono convinto che potremmo cambiare la situazione se ci aiutassimo vicendevolmente. Questo per ridare un senso alla parola “umanità”, come fa d’altronde Philippe Marlowe, personaggio letterario che io amo molto: un uomo che, pur essendo disperato, non ha rinunciato del tutto all’umanità, gliene resta ancora un briciolo, ed è forse quello stesso briciolo che basterebbe anche a noi per fare la differenza, se scavassimo dentro a noi stessi».
Il pesatore d’anime, suggestivo gioco di parole che dà il titolo all’edizione italiana del suo romanzo, suona come un paradosso: come si fa a pesare l’anima?
«Innanzi tutto lasciatemi dire che il titolo italiano è magnifico, molto più bello dell’originale in francese! Non so come ho fatto a non pensarci prima», si schernisce l’autore di Dans les brumes de Capelans. «Tornando alla domanda, nel romanzo ho raccontato di questo nuovo programma di polizia francese, che è un progetto di protezione dei pentiti: a fronte di una protezione, si offre al criminale una nuova identità, una nuova vita, un nuovo indirizzo ma è necessario che, in cambio, il soggetto dia tutte le informazioni di cui è a conoscenza per sventare l’associazione criminale della quale faceva parte. Il programma prevede quindi che il criminale trascorra un certo periodo di tempo con un poliziotto all’interno di un rifugio di massima sicurezza. È qui che il poliziotto “pesa l’anima” del criminale, ovvero cerca di capire se quella persona è davvero pronta a pentirsi oppure no. In caso di valutazione negativa, il soggetto in questione potrebbe prima o poi finire di nuovo là dov’è stato pescato. E se la criminalità organizzata venisse a conoscenza del programma per la protezione dei collaboratori di giustizia, in questo caso l’affiliato avrebbe un’aspettativa di vita pari a quella di un neonato lasciato solo in autostrada».