«Sono i ricchi che dichiarano le guerre, ma sono i poveri che vanno a morire per loro». Iris Versari è nata in una famiglia romagnola povera, origini contadine, ma le piace studiare, non le pesano i chilometri che percorre a piedi d’inverno per andare a scuola (in primavera no, le aule si svuotano perché i bambini devono aiutare in casa). Il papà Angelo è tornato dalla Grande guerra con una brutta ferita alla schiena, la mamma Alduina deve sobbarcarsi i lavori pesanti e badare ai sei figli, tre femmine e tre maschi. Iris cresce guardando sua mamma che dal 1914 al 1932, «per diciotto anni ha fatto figli, uno dopo l’altro. È stata più gravida che normale, povera donna. Per questo adesso è malmessa. La vedo deperire, non si cura più, le sono caduti i denti e io un po’ mi vergogno. Ogni tanto piango pensando a lei, mentre vado a scuola, e mi dico che non farò così. Che voglio trovare un lavoro, prima che un marito. Che non mi piace essere una bestia da soma o da riproduzione, come è stata lei».
Così Walter Veltroni ci presenta Iris Versari nelle prime pagine di Iris, la libertà, il nuovo romanzo che segue La scelta e La condanna, gli altri due romanzi pubblicati da Rizzoli e che compongono una «specie di trilogia», come spiega lo stesso Veltroni alla fine del volume, in libreria dall’8 aprile. Iris, la libertà narra la storia vera della leggendaria partigiana Iris Versari, alla quale l’ex sindaco di Roma, che è stato fondatore e primo segretario del Partito Democratico, direttore dell’“Unità” e vicepresidente del Consiglio, dà voce in queste pagine romanzate ma ispirate a un capitolo ancora vivido della storia d’Italia.
Iris ha appena ventun anni quando decide di unirsi alla banda di Silvio Corbari, l’atipico ma rispettato capo partigiano che mal sopporta la disciplina e l’obbedienza nel portare avanti le sue azioni temerarie in nome della Resistenza, guidato dall’istinto e dal coraggio, come tanti altri partigiani. Iris Versari, Silvio Corbari, Adriano Casadei e Arturo Spazzoli avevano poco più di vent’anni, erano figli del popolo, credevano nella libertà. Hanno combattuto per liberare Forlì e l’Italia dalla dittatura. E hanno dato la vita per gli ideali in cui credevano, traditi da un meschino e giovanissimo compagno di lotta in quel casale sugli Appennini dove verranno scovati e uccisi dai nazifascisti, dove Iris Versari sparerà a un SS, uccidendolo, e poi si sparerà alla tempia, per permettere ai compagni di fuggire. Non ci riusciranno, finiranno impiccati in piazza a Forlì nell’agosto del 1944.
Così Walter Veltroni prosegue il suo racconto della storia d’Italia lungo gli anni più tragici e conclusivi della Seconda guerra mondiale, scegliendo come protagonista una donna partigiana, una ragazza tanto giovane quanto decisa a ribellarsi al fascismo e al nazismo ma anche alle discriminazioni di genere e alle convenzioni del tempo, che lei rintraccia e combatte fin da piccola in famiglia e poi dentro la Resistenza. Iris si ribella al ruolo di moglie e madre affibbiate alle donne dalla società fin da piccola, guardando alla misera vita della madre, così come si ribella al ruolo secondario affidato alle donne dagli uomini della Resistenza nel momento in cui incontra Silvio Corbari e se ne innamora fulmineamente:
«Corbari è diventato un mito. Il cavallo bianco, l’impermeabile stretto in vita, quegli occhi da baci, il coraggio dei travestimenti e delle beffe, la sfrontatezza di dichiarare sempre, per qualsiasi azione, il suo nome come responsabile per evitare le rappresaglie. Corbari è leggenda, è sogno, fa battere i cuori. Più i fascisti lo cercano freneticamente, con la bava alla bocca, più lui si fa spirito, materia invisibile, folletto che alberga nel cuore di ciascuno come eroe del riscatto popolare, della fine di ogni cosa brutta: del regime, della guerra, dell’occupazione straniera, della fame.»
Iris però non sarà mai solo e soltanto “la donna del capo”, come la vedranno solo e soltanto, fino alla fine, gli uomini della banda, nonostante il suo coraggio e la sua intelligenza, nonostante sappia usare le armi e sia pronta a uccidere. Ancor prima di essere la donna che ama quell’uomo sposato e con un figlio, Iris vuole essere una donna partigiana, ma a una condizione, dice a Silvio:
«Sia chiaro, ora: io non vengo per portare i biglietti in giro o i rifornimenti. Non faccio la staffetta; se sto con voi voglio essere una di voi, condividere ogni cosa, partecipare alle azioni, essere trattata da partigiana da ognuno, in primo luogo da te. Nessuno mi dica mai quello che posso o non posso fare, quello che devo o non devo fare.
E per quanto riguarda noi due, non preoccuparti. Sarò la tua donna e tu il mio uomo se e quando ci andrà. Sei sposato, hai un figlio, va tutto bene, per me. Faremo l’amore, ma solo se vorremo. Io non vengo in montagna per questo, vengo per la libertà. Mia, tua, nostra, di tutti. L’amore, fisico o mentale, è un privilegio, la sostanza è un’altra. Non mi basta fare la partigiana. Voglio essere una donna partigiana. Non è la stessa cosa.»
«Le donne partigiane sono circondate di sospetti e di veleni», scrive Annalisa Cuzzocrea, editorialista de “la Repubblica”, nel recensire il nuovo romanzo di Walter Veltroni. «Sono ricordate molto meno dei loro compagni. Bisogna capitare in una libreria di Faenza, trovare una piccola biografia e chiedersi, come ha fatto Veltroni, com’è che questa storia io non la conosco? Com’è possibile, che non la conosciamo tutti?»
Già, perché anche la storia su com’è nato questo nuovo romanzo di Walter Veltroni fa parte della storia più grande che Iris, la libertà racconta. Veltroni, come spiega lui stesso alla fine del volume, si trovava alla libreria Mondadori di Forlì, in occasione della presentazione de La condanna, pubblicato sempre da Rizzoli nel 2024. Il libro riportava alla memoria il caso di Donato Carretta, il direttore di Regina Coeli che nella Roma del settembre 1944, liberata dal fascismo e dall’occupazione nazista, fu linciato dall’odio cieco e vendicativo, dall’ignoranza pregiudiziale, il suo corpo appeso a testa in giù alle finestre del carcere da un processo di popolo sommario fomentato da pulsioni irrazionali e brutali.
A Forlì, curiosando tra gli scaffali della libreria, Veltroni si imbatte in un volume di Sandra Bellini, Iris Versari. Una biografia partigiana, «che acquistai e cominciai a leggere sul treno di ritorno», racconta Walter Veltroni. «Come talvolta capita, sono precipitato in questa storia, che aveva a che fare con un personaggio, Corbari, di cui conoscevo le gesta e che da ragazzo avevo visto al cinema, interpretato da Giuliano Gemma, nell’omonimo film di Valentino Orsini. Insomma la vicenda di lotta, di ideali, di conflitti, d’amore di Iris Versari e di Silvio Corbari, la battaglia per affermare il suo diritto di donna nella famiglia, nella società fascista e poi anche nella Resistenza mi ha coinvolto da subito. Da lì ho cominciato a cercare sui libri e sui documenti gli elementi che mi consentissero di mettere basi storiche a quello che volevo fosse un romanzo, scritto in prima persona».
Così è nato questo romanzo che ripercorre la vita, poco nota e poco celebrata, di una giovane donna partigiana che ha lottato per la libertà e per la democrazia, che ha visto morire i compagni, che ha continuato a lottare nonostante la famiglia distrutta: il fratello Luigi arruolato in guerra e mai più tornato, il padre Angelo che non tornerà dal campo di Buchenwald e la madre Alduina che invece vi farà ritorno ridotta a trentacinque chili e con tre figli su sei morti. «Un romanzo di straordinaria intensità», scrive Agnese Pini, direttrice dei quotidiani “QN”, “Il Resto del Carlino”, “La Nazione”, “il Giorno”. «Una storia umanissima e dolente, che scava nei tormenti dell’animo e nelle tenaci speranze di Iris. Che per la sua scelta di libertà – politica e sentimentale – sarà due volte vittima: delle camicie nere, ma anche dei pettegolezzi, dei veleni, delle maldicenze che non smettono di perseguitarla, da viva come da morta. Lei, donna, nubile, giovanissima, partigiana e innamorata di un uomo già sposato».
In Iris, la libertà Walter Veltroni dà dunque voce a una delle donne dimenticate dalla storia e lo fa in un modo che risulta oggi più che mai attuale, come suggeriscono queste suggestive righe del romanzo:
«È difficile tutto, per una donna, quando sei partigiana. È difficile avere le mestruazioni, è difficile condividere giacigli con gli altri, è difficile barcamenarsi tra i sentimenti di ragazzi come te. Possono amarti anche se non li ami, ma possono odiarti perché non li ami. Sono ragazzi, maschi, guidati dall’istinto più che dalla ragione. Felini, anche in battaglia. E una donna in una formazione partigiana altera gli equilibri, introduce dinamiche più complesse. Se poi quella donna non è delegata a lavori subalterni, perché non accetta il ruolo che la società le assegna, se vuole combattere come tutti gli altri, se discute le decisioni come tutti gli altri e per di più, nel mio caso, è l’amante del capo, ecco che tutto diventa maledettamente complicato. Non sa quante notti ho trascorso a cercare di convincere Corbari a calcolare tutte le implicazioni dei suoi gesti, quanto tenti di renderlo prudente ed equilibrato. Ma siamo abituati a pensare che la donna sia sempre uterina e il maschio sia sempre un fine ragionatore.»
Morta suicida per salvare i compagni, l’eroismo di Iris Versari ottenne riconoscimento soltanto nel 1976, come ricorda la vicedirettrice del “Corriere della Sera”, Barbara Stefanelli. «Veltroni offre la sua voce a una delle 19 donne medaglia d’oro della Resistenza», scrive Stefanelli dalle colonne del quotidiano. «Secondo stime documentate, le partigiane furono 70mila. Potremmo e dovremmo, però, contarne molte di più. Per due ragioni. Perché alla fine della guerra non tutte andarono a reclamare il proprio ruolo, ritenendo di aver comunque fatto “poco”, poco più del dovere. E poi perché, come ha spesso ricordato la storica Simona Lunadei, dal 1948 calò un silenzio generale sulle partigiane, simbolo – e testimonianza potente – di un’emancipazione a cui il Paese non era preparato».