L’inglese, libro di Beppe Severgnini (editorialista del “Corriere della Sera” e scrittore), pubblicato per la prima volta nel 1992, compie trent’anni ed è da poco arrivato alla ventottesima ristampa.
L’inglese. Lezioni semiserie è un misto fra un pamphlet, un testo scolastico, un saggio di antropologia linguistica, con diversi esercizi, aneddoti e curiosità non solo per chi l’inglese lo sa già, ma anche per chi vuole impararlo o migliorare e ampliare il proprio vocabolario. Un libro che invita tutti a fare uno sforzo, anche perché l’inglese è una delle lingue più parlate e utilizzate al mondo. L’inglese, infatti, è la lingua delle comunicazioni: «tre quarti di tutta la posta del mondo, fax e email, sono in inglese. È la lingua della navigazione marittima e aerea, e sta diventando rapidamente la lingua della scienza: due terzi di tutti i documenti scientifici nel mondo sono in inglese, così come i quattro quinti dei dati immagazzinati nei computer. È sempre di più la lingua dell’economia (metà degli affari conclusi in Europa vengono condotti in inglese), ed è da tempo quella dello spettacolo e dello sport: nel concorso di Miss Universo e durante le Olimpiadi, la lingua ufficiale è l’inglese».
Severgnini ci tiene a sottolineare che queste “lezioni semiserie” non sono un’alternativa ai corsi, ai dvd o ai viaggi-studio. «Sono soltanto il tentativo di far ritrovare la voglia di inglese a chi l’ha persa, o non l’ha mai avuta.» Anche perché, con un minimo di vocaboli appresi, farsi capire è uno scherzo, nonostante la pronuncia possa essere errata o falsata. La prima lezione per imparare l’inglese – o qualsivoglia lingua – è non avere rispetto per la lingua che studiamo, almeno all’inizio. «Rispetto e amore verranno dopo, quando si comincerà a conoscere i meccanismi e ad apprezzare le sfumature. All’inizio bisogna provare.»
Un po’ di inglese lo conosciamo tutti
Nonostante occorrano ore e ore di studio, di esercizi e di pratica per imparare una lingua, è anche vero che un po’ di inglese è insito in ognuno di noi. Secondo Severgnini siamo tutti “falsi principianti” perché siamo capaci di tenere minuscoli discorsi dato che nel nostro vocabolario, e anche nei dizionari italiani più noti, sono presenti parole provenienti dall’inglese che utilizziamo senza neanche rendercene conto: per esempio cocktail, cardigan, computer, iceberg. E ne conosciamo addirittura la pronuncia corretta!
A volte, invece, accade il contrario. Parole che usiamo ricorrentemente in inglese non si dicono proprio così… Qui qualche esempio:
autogrill si dice motorway service station
autostop si dice hitch-hiking
box si dice lock-up garage
golf (maglione) si dice jumper, jersey
notes si dice notebook
parking si dice car-park
scotch (nastro adesivo) si dice Sellotape
smoking si dice dinner jacket (inglese), tuxedo (americano)
spider (automobile) si dice convertible
toast si dice toasted sandwich
A volte siamo noi italiani a imporre l’inglese agli inglesi
Severgnini, nel suo libro, riporta un curioso aneddoto. Se una donna entrasse in un negozio di biancheria intima a Londra e chiedesse un body (che in inglese significa letteralmente corpo) sarebbe capita anche se il termine esatto in inglese è leotard o catsuit. Perché?
L’autore segnala che questo tipo di indumento è perlopiù prodotto in Italia ed esportato in tutto il mondo con il nome di body (probabilmente un’abbreviazione dall’americano body-suit). Ecco perché, nonostante un po’ di spaesamento comprensibile da parte delle commesse e dei commessi, non dev’essere così difficile farsi capire.
Perché l’inglese è la lingua del pianeta?
Secondo Severgnini una delle principali risposte è che «dal punto di vista della struttura della lingua, è un capolavoro di semplicità».
«Il genere dei sostantivi (maschile, femminile, neutro), per cominciare, è sempre determinato dal significato. […] La grammatica e la sintassi di base, in inglese, sono elementari: l’articolo è sempre the – molto più facile degli italiani il, lo, la, i, gli, le; non esistono declinazioni dei sostantivi come in tedesco; spesso i nomi possono essere usati come verbi e i verbi come nomi: to walk camminare, walk camminata; to bus vuol dire andare (o trasportare) in autobus; bank può essere un nome (banca), un aggettivo (bank system, sistema bancario), un verbo (to bank, mettere, depositare in banca). Le parole possono essere isolate facilmente. I verbi, che in italiano o in spagnolo sono complessi, in inglese diventano uno scherzo.»
I metodi per imparare l’inglese si contano sulle dita di una mano
Per imparare le lingue, in questo caso l’inglese, esistono diversi metodi e sicuramente almeno uno di questi è stato sperimentato da chiunque.
Quello più noto è sicuramente quello “tradizionale”, chiamato anche “grammatica e traduzione”. Consiste nella breve presentazione di una regola di grammatica e in una quantità spropositata di esercizi.
Un altro è il “metodo diretto” che consiste nell’evitare la lingua madre degli studenti durante l’insegnamento.
Il “metodo di lettura”, escogitato negli anni Venti da un professore britannico che insegnava in India e che inizialmente venne criticato, è stato rivalutato negli ultimi anni perché «si è rivelato adatto alle necessità della comunità scientifica mondiale».
Oltre al “metodo di lettura”, esiste il “metodo audio-orale”, il primo di chiara impronta americana, in cui la precedenza viene data alla conversazione rispetto alla scrittura e alla lettura. L’allievo – esortato al grande uso dei dialoghi – viene lodato per ogni piccolo progresso.
Sempre in quegli anni, un altro metodo che ha ottenuto un buon successo è quello dell’“audio-visuale” «che consiste nella presentazione di una serie di immagini o di un filmato, seguiti da una spiegazione da parte dell’insegnante e da ripetizioni del testo orale, per arrivare alla «fase di trasposizione», nella quale gli studenti devono mostrare di cavarsela da soli. Devono, ad esempio, ripetere il dialogo, oppure crearne uno nuovo. Gli inventori di questo metodo sostengono che l’idea delle immagini non è un giochetto, ma serve a “simulare il contesto sociale nel quale la lingua viene usata”.»
“C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”
«Per imparare l’inglese non esistono soltanto le tecniche basate sui metodi tradizionali e i soggiorni-studio nei paesi anglofoni. Esistono anche i sistemi artigianali.»
Almeno una volta nella vita ti sarà capitato di ascoltare una canzone in inglese e di innamorartene a tal punto da imparare il testo a memoria (ottimo esercizio per la pronuncia, fra l’altro) e cercarne la traduzione? (O addirittura, per cimentarsi in un’impresa più ardua, di tradurlo da solo?)
È ciò che è successo a un cinquantenne, chiamato M.M. nel libro, che anni fa si è appassionato alla musica rock.
«Mentre tutti iniziano a studiare l’inglese leggendo This is a boy – That is a girl su un libro di grammatica, io ho iniziato con The dark side of the moon (Il lato scuro della luna, Pink Floyd, 1973). Bel disco, utile a ricordare una delle prime regole: l’aggettivo precede sempre il nome.»
Ascoltare musica in inglese e leggerne i testi è utilissimo per creare un personale vocabolario che può tornare utile nel momento del bisogno. Qui riportiamo alcuni esempi tratti dai titoli di uno dei gruppi famosi e amati in tutto il globo: i Beatles.
All I’ve got to do Tutto quello che devo fare
Any time at all Assolutamente in qualsiasi momento
Ask me why Chiedimi perché
Because Perché (in una risposta)
Birthday Compleanno
Come together Riuniamoci
Don’t let me down Non deludermi
Do you want to know a secret? Vuoi sapere un segreto?
Drive my car Guida la mia automobile
Every little thing Ogni piccola cosa
For no one Per nessuno
Get back Ritorna
Getting better (Sta) andando meglio
Hold me tight Tienimi stretto
I don’t want to see you again Non voglio vederti più
I don’t want to spoil the party Non voglio rovinare la festa
I feel fine Mi sento bene
If I fell Se cadessi
I’ll be back Sarò di ritorno
I’ll be on my way Vado
I’ll get you Ti prenderò
I’ll keep you satisfied Rimarrai soddisfatta
I should have known better Avrei dovuto saperlo
Let it be Lascia che sia
Tell me why Dimmi perché
That means a lot Quello vuol dir molto
The night before La notte prima
We can work it out Possiamo risolvere la questione
What goes on Cosa succede
What you’re doing Quello che stai facendo
When I get home Quando torno a casa
With a little help from my friends Con un po’ d’aiuto dai miei amici
Nulla ti vieta di fare lo stesso utilizzando i testi del/della tuo/tua cantante o della tua band preferiti!
E se per imparare l’inglese volessi fare un viaggio-studio?
Di certo, per apprendere l’inglese è soggiornare nei paesi anglofoni per fare i cosiddetti “viaggi-studio”, ma attenzione a non farsi abbindolare.
Uno dei consigli più utili per selezionare la scuola in cui seguire corsi d’inglese è rivolgersi esclusivamente a una scuola riconosciuta dal British Council, «braccio culturale della diplomazia britannica, che si occupa dell’insegnamento dell’inglese come lingua straniera fin dal 1934.
Quasi tutte le scuole riconosciute sono riunite in un’associazione chiamata Arels-Felco: sono circa duecento, cinquanta delle quali a Londra. Il fatto che una scuola non sia riconosciuta non significa necessariamente che sia un imbroglio: può essere ottima, ma fate attenzione.»
Occhio anche ai prezzi! Se una scuola costa troppo poco, sarebbe meglio diffidare. Solitamente, il prezzo medio per ogni ora di corso generale, in classi che vanno dalle otto alle dodici persone, è di circa 10-12 sterline. Sicuramente la sistemazione in famiglia (che costa intorno alle 130-170 sterline a settimana) è la possibilità migliore di alloggio (soprattutto per continuare a fare pratica e apprendere anche modi di dire, abbreviazioni, gergo colloquiale ecc.)
È consigliabile fare una vacanza-studio quando si ha una base solida di conoscenza dell’inglese.
«In Gran Bretagna dicono di conoscere ormai il prototipo dello studente italiano destinato al fallimento: arriva e non capisce niente di quello che accade, a scuola o fuori dalla scuola; è poco interessato e pochissimo «motivato»; trova amici italiani e con quelli trascorre una vacanza, come fosse a Forte dei Marmi e non a Londra.»
10 consigli per imparare l’inglese
Infine, ecco qui dieci preziosi consigli, redatti da Beppe Severgnini, per avere dimestichezza con l’inglese e impararlo nel migliore dei modi possibili!
1) Se vi iscrivete a un corso, avete comprato alcune ore di lezione. Non avete comprato l’inglese. Senza buona volontà e costanza, non c’è scuola (o metodo) che tenga.
2) Attenzione alle false promesse. Solo nella cura della calvizie e nelle diete dimagranti circolano più illusioni che nei corsi d’inglese.
3) Gli armadi d’Italia sono pieni di corsi acquistati e abbandonati (dispense, cd, dvd). Buttate via tutto, con un gesto purificatore, e ricominciate.
4) La motivazione è fondamentale. Ovvero: collegate l’inglese ai vostri interessi. Se amate la musica pop, traducete i Coldplay e K.D. Lang, e lasciate perdere Shakespeare. Se amate il teatro, fate viceversa.
5) Siate invidiosi. Se quel vostro amico parla inglese, dovete farlo anche voi.
6) Siate presuntuosi. Se quel vostro amico parla inglese, potete farlo anche voi.
7) Siete italiani: non dimenticate la faccia tosta. Parlate inglese appena potete, dove potete, con chi potete. Se dite sciocchezze, non fa niente. Abbiamo governanti che, dicendo le stesse sciocchezze, tengono conferenze in America.
8) L’Italia è piena di gente che sa l’inglese benino. Se volete trarre vantaggio da questa lingua, dovete puntare a saperla bene. Se volete farne una professione, dovete impararla benissimo (e, per far questo, occorre vivere per qualche tempo all’estero).
9) La cosa più importante è capire; parlare viene dopo; scrivere, dopo ancora. Appena possibile, affrontate televisore e libri in inglese. All’inizio lo sforzo sarà atroce. Ma i progressi saranno rapidissimi. Parola d’onore.
10) Se avete idee migliori, e queste idee funzionano, ignorate tutti i nove consigli precedenti.