L’amicizia è un sentimento che viaggia su binari imperscrutabili.
In occasione dei 50 anni dall’uscita di “Corte Sconta detta Arcana“, il capolavoro di Hugo Pratt che vede il marinaio Corto Maltese coinvolto in una rocambolesca corsa all’oro nella Cina degli anni ’20, pubblichiamo un bel testo di Paolo Condò, giornalista, scrittore e grande appassionato del marinaio di Malta.
Buona lettura!
Paolo Condò
«Ancora con questa storia?»
Il secondo romanzo di Corto Maltese ci consegna un protagonista al massimo della forma. Corto non ha perso un’unghia della freschezza di Una ballata del mare salato, di quel talento naturale nel riempire la scena che l’aveva tenuto lì, ben presente a Escondida e nei mari adiacenti anche nelle pagine in cui Pratt lo teneva nascosto; e però, la lunga sequenza di racconti – caraibici, celtici, veneti, etiopici – ha aggiunto al personaggio struttura e profondità. Da Corte Sconta in poi non lo leggiamo più soltanto per lasciarci rapire dalle nuove avventure, ma anche perché sappiamo come reagirà in determinate situazioni e non vediamo l’ora di assistere. E la doppia aspettativa felice di ciò che sorprende e di ciò che conferma è un privilegio che pochissime figure letterarie – e quasi nessuna reale, se ci è concessa la critica – sono riuscite a conquistarsi. Viene in mente Philip Marlowe, il detective privato di Raymond Chandler. Oppure, andando molto indietro, Ulisse. A suo modo, un altro marinaio.
La vicenda
Qui, Corto gioca a sorprenderci fin dalla prima tavola, datando l’inizio della storia a un improbabile 34 dicembre, ma la sospensione dell’incredulità scatta subito, appena Bocca Dorata lascia lì noncurante la spiegazione: a Venezia il tempo scorre un po’ più lento, pure Natale era arrivato il 27, e noi ne siamo in qualche modo rassicurati, non pensiamo che Corto stia sognando come ci viene, invece, rivelato alla fine della seconda tavola. Un sogno circolare dal diametro piuttosto ampio se è vero che la prima vignetta di Corte Sconta viene sostanzialmente ripetuta come ultima di Favola di Venezia, il terzo romanzo, di due anni dopo. E a quel punto, è anche più facile da comprendere.
Una volta risvegliatosi, Corto non ci mette molto a passare all’azione. Gli basta ritrovare Rasputin, che con lui funziona come il monolite di 2001: Odissea nello spazio: la sua comparsa annuncia il cambiamento, l’inizio di una nuova fase, o più semplicemente di una nuova avventura. Aspettiamo di sorprenderci per lo scenario (grandioso) in arrivo, ma abbiamo l’acquolina in bocca al pensiero che ogni tre vignette Rasputin minaccerà Corto col solito: «Potrei ucciderti per questo…» e Corto ribatterà sempre: «Ancora con questa storia?», col tono falsamente esausto e in realtà compiaciuto.
L’amicizia è un sentimento che viaggia su binari imperscrutabili.
La Storia
Molto più definiti, invece, sono quelli sui quali corrono i treni dei signori della guerra. Siamo nel 1919, i vincitori del primo conflitto mondiale sostengono le ambizioni zariste di revanche della Rivoluzione d’ottobre, e il convoglio dell’ammiraglio Kolchak va a spasso lungo le ferrovie Transiberiana, Transmanciuriana e della Transbajkalia recando il tesoro imperiale caricato a Ekaterinburg dopo il massacro dei Romanov (l’ultimo zar con la sua famiglia venne ucciso dai bolscevichi nella notte fra il 16 e il 17 luglio 1918): il treno d’oro fa gola a tutti, contiene ricchezze in grado di sovvertire le sorti della guerra, o di risolvere per sempre la vita agli avventurieri più esigenti. Nella sua casa di Hong Kong, Corto riceve la visita delle Lanterne Rosse che lo ingaggiano per recuperare l’oro, da destinare al finanziamento di opere pubbliche per il bene comune di Cina, Mongolia e Russia. Parte da lì un carosello pieno al solito di figure indimenticabili, dal “barone pazzo” Roman von Ungern-Sternberg – ultimo papavero zarista, non privo di senso dell’onore – all’affascinante duchessa Marina Seminova, al generale Chang, cui Corto impartisce una lezione di stile così memorabile che quello – pur essendo in procinto di morire e quindi teoricamente distratto dai propri problemi – si sente in dovere di profondersi in mille scuse, scuse che il nostro marinaio preferito subito accetta, ché altrimenti la caduta di stile sarebbe sua.
Le Lanterne Rosse
La società segreta delle Lanterne Rosse, centrali nel plot di Corte Sconta, stimolano l’ennesimo dubbio: risultano così intriganti perché Pratt le ha scelte, oppure Pratt le ha scelte perché sono così intriganti? Personalmente è una questione irrisolta che si dipana lungo l’intera opera del Maestro di Malamocco. Certamente Butch Cassidy, Jack London, il Sinn Féin, l’Eldorado o Mū sono perni di grande potenza avventurosa, ma se ho studiato fino allo sfinimento storie legate all’indipendenza irlandese o alla toponomastica veneziana (anzi, venexiana), credo che la responsabilità sia tutta di Hugo. Il quale ha ceduto anche qui al divertimento un po’ perverso di incrociare il cammino di Corto con quello di una donna molto interessante, Shanghai Lil, e di frapporre tra loro un ostacolo invalicabile, con il rimpianto appena accennato – eppure devastante nella scala emotiva cinese – dell’ultima vignetta. Muta.
Non ci sono mai parole, negli scorci sentimentali. A inizio avventura le Lanterne Rosse danno, lasciando balenare una presenza di Pandora a Hong Kong – non può che essere lei, altrimenti perché Rasputin farebbe il sarcastico? –, e alla fine tolgono, perché non è cosa.
Malinconicamente, ma non lo è.