Kid A è un’overture per i tempi moderni, carica di oscuri presagi. E oggi viviamo nel mondo che quell’album lasciava presagire. La domanda è: come ci siamo arrivati?
Le distopie futuristiche sembrano tali solo da lontano. Quando invece ci vivi dentro per davvero, sembrano più… un talk show in seconda serata.
Nell’anno 2019 il talk show in questione è The Late Show with Stephen Colbert. E l’ospite della serata è il minuto e rinsecchito cantante della rock band più rispettata del mondo.
«Kid A è come tirare fuori una gigantesca gomma da cancellare per poi ricominciare daccapo» dichiarò Thom Yorke in occasione dell’uscita dell’album. «Trovo difficile considerare ‘musica rock’ il percorso che abbiamo scelto»”
«Da decenni scrivi musica dalla quale traspaiono ansia e inquietudine per la società, la politica, la tecnologia e la direzione in cui va il mondo in generale» dice Colbert, preparando il terreno per la battuta.
«Come ci si sente ad aver ragione?»
Il pubblico prorompe in un applauso. Thom sogghigna, ma è una di quelle circostanze in cui ridi perché è vero, non perché faccia ridere. A dire il vero non fa per niente ridere, ma cos’altro puoi fare, se non ridere?
Kid A è l’espressione musicale di un’epoca di incertezze
Sebbene Stephen Colbert non lo citi esplicitamente, l’album dei Radiohead che più di tutti incarna quella “musica dalla quale traspaiono ansia e inquietudine per la società, la politica, la tecnologia e la direzione in cui va il mondo in generale” è Kid A, il quarto LP del gruppo, pubblicato nel 2000.
Kid A fu il primo album dei Radiohead a conquistare la vetta delle classifiche negli Stati uniti, mentre in Inghilterra, dove la band inizialmente aveva faticato a trovarsi un pubblico, persino quando Creep li aveva resi delle star in America nei primi anni Novanta, diventò disco di platino nel giro di una settimana. Kid A avrebbe poi vinto un Grammy come miglior album alternativo, oltre a guadagnarsi la nomination a uno dei premi più ambiti della serata, il titolo di miglior album dell’anno. Era la seconda candidatura del gruppo in quella categoria, dopo quella di OK Computer nel 1998.
Col tempo, Kid A sarebbe stato riconosciuto come uno dei migliori album del decennio, e poi addirittura come uno dei dischi che segnarono l’inizio del Ventunesimo secolo. Persino mentre la musica rock perdeva terreno rispetto ad altre tendenze culturali e musicali, Kid A restava uno dei pochi dischi rock a essere considerati davvero importanti, una pietra miliare e un punto di riferimento per l’era moderna.
Numeri e riconoscimenti di questo tipo però non devono far dimenticare che al momento della sua pubblicazione, nell’autunno del 2000, quel disco suscitò un dibattito enorme. Kid A fu la grandiosa deviazione dei Radiohead dallo splendore di chitarre rock che aveva caratterizzato i due album precedenti, the Bends del 1995 e OK Computer del 1997. un lavoro freddo e sconnesso, nel quale le straordinarie dinamiche melodiche della band vennero smorzate, e i ritornelli orecchiabili ingarbugliati come il segnale gracchiante di un vecchio modem. un lavoro volutamente “difficile” che avrebbe dovuto segnare l’ingresso dei Radiohead nel nuovo secolo, ma che a molti ascoltatori parve semplicemente una presuntuosa provocazione anti-pop.
Quel che nessuno poteva negare era che Kid A, che lo si amasse o lo si odiasse, era figlio del suo momento storico. Era la dichiarazione d’intenti musicale che più di ogni altra esprimeva come ci si sentisse a vivere l’inizio di una nuova epoca piena di incertezza, quando ne era appena terminata una vecchia e segnata dall’inquietudine. Da quel punto di vista, il disco si accordava perfettamente con il cinema di quegli anni. Film come Matrix, Fight Club e vanilla Sky, usciti fra il 1999 e il 2001, erano pervasi da una profonda apprensione circa la modernità e il modo in cui la tecnologia sconnetteva le persone le une dalle altre, oltre che dalla propria essenza.
Per chi, tra di noi, vide quell’album come un evento, Kid A rappresentò una svolta culturale. Anche se non ne capivi il come, riuscivi a comprenderne intuitivamente il perché. Era un album che disorientava in un’epoca profondamente disorientata.