Scritto da Bram Stoker nel 1897 in forma di stralci di diari e di lettere, Dracula è tra gli ultimi, se non l’ultimo, dei grandi romanzi gotici.
Creatura potente e inquietante, apparentemente immortale, in grado di padroneggiare poteri inimmaginabili, il conte-vampiro Dracula è passato direttamente dalla storia al mito.
Nella meravigliosa edizione BUR deluxe le atmosfere cupe immerse nella notte dei Non-Morti sono impreziosite dalle sublimi illustrazioni di Wilfried Sätty, che accompagnano il lettore in una vicenda in cui l’orrore e la minaccia assillano i protagonisti, in un crescendo di emozioni che conduce fino alle soglie dell’incubo.
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Perché ritradurre un classico?
il testo che segue è stato scritto da Flavio Santi
La cosa più incredibile di Dracula – dopo naturalmente la clamorosa invenzione del personaggio stesso del Conte – è la lingua in cui il romanzo è scritto. Come è giusto che sia in letteratura, dove il come si racconta una storia conta tanto quanto il cosa si racconta.
La costruzione del libro secondo uno schema molto moderno (in sostanza un cut-up di estratti di diari e taccuini, stralci di giornali, testi di telegrammi, dialoghi tra persone di età, professioni, classi, nazioni differenti) permette una grandissima varietà di voci.
In Dracula ogni personaggio ha una voce precisa, inconfondibile.
E a metterci in guardia è lo stesso Bram Stoker quando colloca in epigrafe, dunque proprio all’inizio, sulla soglia, un’espressione ricavata – nientepopodimeno – che dalla lingua dell’Isola di Man!
Ed ecco allora, in un susseguirsi vertiginoso e unico, il serioso eloquio avvocatesco di Jonathan Harker, che apre le danze; l’inglese imparato a tavolino del Conte (fin troppo precisino per essere naturale); il linguaggio giovanile ed esclamativo di Mina e Lucy; l’americano enfatico (definito addirittura “slang”) di Quincey Morris; l’ullans scozzese del vecchio Mr Swales; il lessico medico e scientifico del dottor Seward; il linguaggio sensazionalistico dei giornali; il cockney e l’inglese dei bassifondi; le lingue “morte” come il latino e il greco; il russo, il rumeno, le lingue slave che fanno da contorno; l’inglese tedeschizzato (e olandesizzato) di Van Helsing; persino il baby talk dei bambini vittime di vampirizzazione!
L’opera, insomma, è molto più spiazzante e dissonante di quello che si pensa di solito, quasi a riprodurre una certa “acredine” – che è quella del sangue, ma anche (e soprattutto) della lingua stessa in cui il libro è scritto.
Questa traduzione è il tentativo di rendere conto di questo multiforme pulviscolo di voci, portando maggiormente in superficie, rispetto alle traduzioni finora tentate, le caratteristiche salienti di ciascuna di queste voci. In fondo tradurre è anche (o soprattutto) questo: ridare voce. E la voce di questo Dracula è… molte voci.
Un Dracula, dunque, multilingue ed espressionistico. Babelico.