Disse una volta la regina Elisabetta II, in occasione di una delle tradizionali cerimonie di consegna degli ordini cavallereschi a privati cittadini e membri dell’esercito meritevoli di aver svolto un esemplare servizio per il Paese:
«Le persone hanno bisogno di qualche pacca sulla spalla ogni tanto. Sarebbe un mondo davvero squallido altrimenti».
Molti la amano incondizionatamente, altri diffidano, altri ancora si pongono la stessa domanda da anni: perché così tanto interesse per la vita della regina Elisabetta II?
Allora forse sta anche (ma non solo, ovviamente) in quella pacca sulla spalla, nella capacità di parlare al cuore della gente, la fascinazione misteriosa che a 94 anni d’età Elisabetta II, la più longeva sovrana del Regno Unito di Gran Bretagna, dell’Irlanda del Nord e di quindici reami e quattordici territori sparsi sul globo, ancora oggi esercita.
«Come si farà chiamare?» le chiese Martin Charteris, consigliere della regina per trent’anni, all’indomani della morte del padre, re Giorgio VI. «Con il mio nome, ovvio. Come, altrimenti?» rispose lei.
E allora forse le migliaia e migliaia di persone che ne seguono le vicende con incrollabile curiosità – la nuova stagione Netflix di The Crown è soltanto l’ultimo dei fenomeni mediatici che tengono accesi quasi ininterrottamente i riflettori su Buckingham Palace – concorderebbero sul fatto che davvero il mondo sarebbe un po’ più squallido senza di lei.
Una maestosa biografia su Elisabetta II
Almeno questo vien fatto di pensare leggendo la maestosa biografia scritta da Sally Bedell Smith, giornalista americana di “Vanity Fair” e autrice di monografie di grande successo, che ha dedicato anni a definire nei minimi dettagli il ritratto di Elizabeth the Queen. La vita di una regina, pubblicato in Italia da Fabbri Editori questa primavera.
«Nel corso della sua vita epica, la regina ha interpretato il suo ruolo come una grande attrice: in effetti, è l’unica persona per la quale si possa dire davvero che il mondo è un palcoscenico. Miliardi di persone l’hanno vista trasformarsi da bellissima ragazza ingenua a madre in carriera, fino a saggia nonna.»
Dirà poi il nipote William: «Sono cresciuto… e mi sono sforzato di capire un po’ di più del suo ruolo e del mio… Rappresenta un modello incredibile. Mi piacerebbe prendere tutte le sue esperienze e tutto il suo sapere, e metterli in una piccola scatola».
A modo suo, è quel che ha fatto Sally Bedell Smith mettendo in pagina Elizabeth the Queen. La vita di una regina:
«Volevo sapere quali elementi del suo carattere, della sua personalità, della sua educazione le hanno permesso di sostenere un ruolo tanto eccezionale. Chi è, come trascorre le giornate? Come ha imparato a confrontarsi con i politici e i capi di Stato, con i minatori e i professori?».
Elisabetta II è la donna più pubblica e, al contempo, più riservata del mondo, «e la mia sfida», dice l’autrice, «era mostrare il suo lato privato, spiegando nel frattempo in che modo avesse gestito il suo ruolo pubblico: rappresentarla, quindi, a tutto tondo, in tante diverse ambientazioni, circondata da un grande cast di personaggi».
Dall’infanzia nella campagna scozzese fino a quando s’innamorò a tredici anni di Filippo, dalle conversazioni con Winston Churchill sulle corse dei cavalli agli eventi che hanno cambiato il corso della storia, Elizabeth the Queen. La vita di una regina alterna la minuziosa ricostruzione storica alle vivaci testimonianze delle persone che l’hanno conosciuta da diverse angolazioni: familiari, amici stretti, consiglieri, capi religiosi, politici, diplomatici, leader mondiali, generali, artisti, addestratori di cavalli, addestratori di cani e amministratori, per citarne soltanto alcuni. Tra cui Nancy Reagan, che ha concesso alla giornalista l’accesso esclusivo alla corrispondenza personale che lei e il presidente Reagan avevano con i membri della famiglia reale.
«Nella vita privata mi ha assolutamente colto di sorpresa» disse l’artista Howard Morgan, autore negli anni Ottanta di un ritratto della regina. «Parla come un’italiana. Agita le mani. È incredibilmente espressiva».
E se Tony Blair, tra i quattordici primi ministri sotto il regno di Elizabeth, la definì
«un simbolo di unità in un mondo di incertezze […] semplicemente, la parte migliore dei britannici»
ad affascinare Sally Bedell Smith è stata soprattutto l’idea che «a partire dalla metà del XIX secolo fino ai primi decenni del XXI, ossia per centoventitré anni negli ultimi centosettantaquattro, la monarchia sia stata dominata da due donne formidabili, la regina Vittoria e la regina Elisabetta II. Entrambe hanno rappresentato la Gran Bretagna molto più a lungo dei quattro uomini che hanno occupato il trono tra i loro regni. E poiché le matriarche devono rispondere a esigenze specifiche, Elisabetta II ha dovuto svolgere compiti propri di un uomo e anche di una donna».
«Come donna in carriera, Elisabetta II ha rappresentato un’anomalia sia nella sua generazione sia nella classe aristocratica britannica. Non aveva a disposizione nessun modello cui ispirarsi per cercare di bilanciare i ruoli di sovrana, moglie e madre.»
Per conservare il proprio status, «Elisabetta II deve apparire come una figura straordinaria. Ma le aspettative dei suoi sudditi le impongono anche di essere umana, seppur non del tutto comune». Durante i sessantotto anni di regno, «la sovrana ha cercato di trovare un equilibrio tra queste due tendenze. Se è troppo enigmatica e distaccata, rischia di perdere il contatto con la gente; se appare come tutti gli altri, perde, invece, la sua speciale aura di mistero».
Persino Elisabetta II non avrebbe avuto vita facile
Il racconto prende avvio quando tutto ebbe inizio, il 10 dicembre 1936:
«Fu un domestico a dare la notizia a Elizabeth Alexandra Mary Windsor, che allora aveva dieci anni. Suo padre era diventato re quasi per caso, a soli quattro giorni dal suo quarantunesimo compleanno, dopo che il fratello maggiore, re Edoardo VIII, aveva deciso di abdicare per sposare Wallis Warfield Simpson, un’americana con due divorzi alle spalle. Edoardo VIII, che aveva ereditato il trono dopo la morte del padre re Giorgio V, regnò soltanto per dieci mesi ed era, come si diceva con pungente sarcasmo, “l’unico monarca nella storia ad aver abbandonato la nave dello Stato per diventare il terzo marito di una sgualdrina di Baltimora”.
“Vuol dire che sarai tu la prossima regina?” domandò la sorella minore di Elisabetta, Margaret Rose (come veniva chiamata da bambina). “Sì, un giorno” rispose Elisabetta. “Poverina” commentò Margaret Rose”».
È vero, persino una regina non avrebbe avuto vita facile. Quel sofferto diniego al matrimonio tra la sorella Margaret e il colonnello Townsend, un matrimonio con un uomo divorziato che non sarebbe mai stato approvato dalla Chiesa anglicana, fu soltanto una delle tante incrinature nei rapporti familiari e con il suo popolo che la regina avrebbe dovuto affrontare agendo in nome della Corona, come non manca di ricordare il resoconto onesto di Sally Bedell Smith, che in oltre seicento pagine e ventun capitoli fa luce sulla grandiosità del personaggio ma pure sugli episodi che, inevitabilmente, avrebbero gettato ombre, dubbi e critiche sulla capacità di regnare di Lilibet.
La tragica morte di Lady Diana, alla cui figura Sally Bedell Smith dedica una parte importante del libro, segnerà uno dei momenti più difficili e contestati del regno di Elisabetta II, accusata «di essersi barricata nelle Highlands, rifiutandosi di condividere il dolore dei suoi sudditi a Londra». Ma, come spiega l’autrice, «la sua riluttanza, questa volta, era dovuta all’impellente desiderio di proteggere i nipoti da ulteriori traumi. Per la regina rappresentava un’ironica inversione di rotta: dopo essere stata criticata così tanto per aver messo il dovere prima della famiglia, adesso la mettevano alla gogna per il motivo opposto. “Se si fosse recata a Londra, la stampa l’avrebbe descritta come una nonna senza cuore che abbandonava i nipoti in un momento terribile” disse Dickie Arbiter, un ex portavoce della regina».
Quando Sally Bedell Smith accettò la sfida di scrivere la più completa biografia sulla più grande monarca dei nostri tempi, rimaneva la domanda di fondo: chi è davvero Elizabeth?
Nel rispondere, il libro ripercorre con puntiglio da bibliografo la storia della sovrana lungo le tappe più significative, scoprendone per la prima volta il lato intimo, quotidiano, in una specie di tour esclusivo lungo le settecentosettantacinque stanze di Buckingham Palace, nella tenuta di Balmoral nelle Highlands, a Clarence House e a St. James’s Palace. Quasi un affresco itinerante della casa reale dei Windsor, che Sally Bedell Smith ha perfezionato trascorrendo sei mesi nel Regno Unito, durante i quali ha visitato le residenze della regina in Inghilterra e Scozia, ha passato una notte nel castello di Mey, è salita sullo yacht reale Britannia, ha fatto un tour privato del Royal Stud a Sandringham.
«Nel bel mezzo delle ricerche», svela la giornalista, «mia figlia Lisa si è sposata a Londra nella Guards’ Chapel, a un tiro di schioppo da Buckingham Palace, con un affascinante e coraggioso ufficiale dell’esercito inglese, Dominic Clive. Le loro nozze, il 4 di luglio, hanno riunito un’esuberante folla angloamericana, che in qualche modo ha dato a questo progetto una dose extra di fatalità».
Tra le parti più suggestive e particolareggiate del volume, che dà conto della dimensione globale del regno di Elizabeth soffermandosi inoltre su alcuni dei circa duecentocinquanta viaggi di Stato all’estero compiuti dalla regina, ci sono poi le pagine dedicate alla cerimonia di incoronazione nell’abbazia di Westminster, con tutti i rituali e le regalie, gli ornamenti a simbolo della regalità, della onestà e della saggezza, la spada ingioiellata che l’avrebbe aiutata a proteggere i buoni e a punire i malvagi, l’anello con rubini e zaffiri a rappresentare la fedeltà verso i sudditi, i sedici chili dell’abito a rappresentare il suo nuovo status sacerdotale.
Avvenne il 2 giugno 1953, lo stesso giorno in cui giunse la notizia che il neozelandese Edmund Hillary e il suo sherpa tibetano Tenzing Norgay, membri di una squadra di alpinisti britannici, erano stati i primi a raggiungere la sommità del monte Everest. «Gli “esploratori elisabettiani” brindarono alla regina con il brandy e fecero sventolare il suo stendardo in cima al monte più alto del mondo, a ottomilaottocento metri sopra il livello del mare».
Cinque giorni dopo l’ascesa al trono di Elisabetta, in un discorso alla Camera dei comuni Winston Churchill la definì «una figura giovane e onesta […] l’erede delle nostre tradizioni e delle nostre glorie», che aveva assunto il suo ruolo «in un tempo in cui l’umanità, tormentata, barcolla tra la catastrofe mondiale e l’età dell’oro».
«Anche una giovane e promettente conservatrice di nome Margaret Thatcher espresse il proprio ottimismo, scrivendo su un giornale che “se, come molti sperano, l’ascesa al trono di Elisabetta II contribuirà a eliminare gli ultimi residui di pregiudizio contro le donne che aspirano al potere, allora per le donne sta per iniziare una nuova era”».