Dickerson racconta la biografia di Tom Parker, “l’uomo che fece Elvis Presley”
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Redazione BookToBook
06 Lug 2022
Iniziò col vendere mele candite alle fiere di paese e finì per essere “l’uomo che fece Elvis Presley”. È l’epopea straordinaria di Tom Parker, “Il Colonnello”, l’uomo dai mille volti e dal passato d’ombre e misteri che ora più che mai alimenta la leggenda del Re del rock ‘n’ roll. L’uno e l’altro, Elvis e Tom, sono difatti i protagonisti del film dal cast stellare appena arrivato nelle sale, Elvis, diretto dall’acclamato regista Baz Luhrmann, con Tom Hanks nei panni del manager e Austin Butler in quelli della rockstar.
Entrambi intramontabili al cinema così come in libreria, dove è appena arrivato Elvis e il Colonnello. L’incredibile vita di Tom Parker, lo spregiudicato manager di Elvis Presley, il nuovo libro di James L. Dickerson, noto scrittore di svariate biografie musicali (tra cui quella su Scotty Moore, primo chitarrista di Presley).
Ciò che offre Elvis e il Colonnello è un ritratto dalle molte sfumature e dalle suggestioni da american dream che Dickerson, una solidissima carriera da giornalista investigativo alle spalle, ha saputo delineare nei minimi dettagli avvalendosi di molte fonti.
Insomma, chi è stato davvero l’uomo che tesseva la tela e le trame dietro il successo planetario di Presley? Tramite ricerche condotte negli anni e interviste a molti dei personaggi della scena musicale dell’epoca e di chi l’ha conosciuto a vario titolo, che arricchiscono di testimonianze di prima mano le trecento pagine del volume, l’autore risponde con una biografia a tutto tondo e con una narrazione avvincente e inedita, ricca di colpi di scena e di nuove rivelazioni, che racconta molto sul manager più famoso dell’industria musicale così come sul dietro le quinte di un showbiz tanto luccicante quanto perverso.
«Un genio diabolico, che ci crediate o no», ha detto Tom Hanks a proposito di Tom Parker durante l’intervista di Fabio Fazio a Che tempo che fa il 29 maggio scorso. «Il grande mistero per me è come sia riuscito a tirare fuori il più grande talento del Ventesimo secolo».
L’immensa ricostruzione di Dickerson
Come ci sia riuscito è esattamente quello che James L. Dickerson spiega con il passo dell’inchiesta giornalistica e il ritmo di una crime story, ripercorrendo l’intera storia di Tom Parker – e, naturalmente, di quella di Elvis Presley, altrettanto piena di alti e bassi, di luce e di ombre – sin dagli albori della scalata nel business dell’intrattenimento e degli ingaggi da milioni di dollari. Dickerson va a indagare molto a ritroso, esplorando archivi, riportando alla luce aneddoti sul giovane Tom sbarcato nel mondo dei luna park e degli spettacoli circensi che puntellavano l’America di inizio secolo, che è l’altra grande affascinante e multiforme protagonista di questo libro. Una vera e propria epopea americana, sin dalle prime righe di Elvis e il Colonnello:
«Per il giovane Tom Parker, Tampa splendeva come un faro nella notte. La natura legava inestricabilmente Tampa e St. Petersburg tramite un’enorme baia d’acqua salata incuneata nell’entroterra, ma le due città sono assai diverse. St. Petersburg, con le spiagge sabbiose che danno sul Golfo del Messico, ormai da molti anni è il paese dei balocchi di vip e ricchi. Tampa, invece, poggia sulle fondamenta austere della classe operaia e per gran parte della sua storia recente è stata soprattutto un porto d’approdo per le bananiere colombiane.»
Ci sarebbero voluti decenni, scrive Dickerson nelle prime pagine, «prima che qualcuno accertasse che il suo vero nome era Andreas van Kuijk. Secondo le testimonianze più accreditate – accettate da un tribunale del Tennessee competente in materia di successioni e mai contestate da Tom Parker – era nato a Breda, in Olanda, il 26 giugno del 1909».
L’unica cosa che sappiamo per certo delle origini di Parker, che cercò di tenere nascoste per tutta la vita, è che «Andreas sparì verso la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Da qualche parte tra Olanda e Stati Uniti si liberò della vecchia identità e si reinventò. Quando Andreas abbandonò la propria identità olandese, nacque Tom Parker, un adulto fatto e finito con un enorme sigaro artigianale cubano da sfoggiare sempre in bocca. “Salve” disse una volta arrivato nella grintosa città portuale di Tampa. “Mi chiamo Tom Parker e vengo da Huntington, nella Virginia Occidentale”».
Tom alias Andreas morì il 21 gennaio 1997, al Valley Hospital di Las Vegas. Nel mezzo corre il racconto incredibile di questo giovane ventenne olandese che diventa adulto entrando illegalmente negli Stati Uniti, muove i suoi primi passi come giostraio con la Royal American Shows di Tampa, impara a conoscere le più grandi e criminose città d’oltreoceano come Memphis, tanto per citarne una e, soprattutto, prende confidenza con le industrie del cinema e delle radio, all’epoca la maggiore minaccia per le fiere itineranti.
«Una delle prime lezioni che l’olandese imparò fu che quando si trattava di spettacoli americani la formula del successo era ridurre sempre tutto al minimo comune denominatore. La gente avrebbe anche potuto prendersi gioco dei giostrai, ma quando si trattava di far soldi con l’intrattenimento, erano proprio loro i maestri».
Delle attività cui si dedicò tra il 1938 e il 1940 non si sa molto, racconta Dickerson, «salvo che riuscì a ottenere incarichi come promoter delle esibizioni personali di una certa quantità di artisti compresi il cantante pop californiano Gene Austin, la star del cinema Tom Mix e l’artista country Roy Acuff».
L’ingresso di Parker negli ambienti musicali
Nel giro di una decina d’anni Tom Parker entra nel giro degli affari musicali, conquistandosi la fiducia e la collaborazione di cantanti country del calibro di Eddy Arnold e Hank Snow. Ed è da qui in poi che non si fermerà più, fino a realizzare il suo più ambizioso, spregiudicato, riuscito piano diabolico, con cui riuscì a prendere il definitivo, totalizzante e, per molti, controverso e manipolatorio controllo della carriera di Elvis, dopo averlo portato al successo planetario con il primo contratto con RCA Records, con i concerti dal pubblico urlante, con la televisione e i musical, con Hollywood. Questa è storia. Dickerson ne racconta anche molte altre, nascoste tra le pieghe dell’incandescente ed effervescente esplosione di musica e di rock star che ha segnato il Ventesimo secolo.
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Quel che sappiamo per certo è che a dargli quel soprannome, “il Colonello”, con cui Parker pretese di essere chiamato da lì in poi, fu un ex musicista, Jimmie Davis, che alla fine del suo primo mandato da governatore, nel 1948, insignì l’amico Tom del titolo ufficiale di colonnello della Luisiana, che lo avrebbe dunque accompagnato per tutta la vita.
«Quando era in vita, molte persone erano spaventate dal Colonnello: avevano paura di dire qualcosa che potesse offenderlo, paura di incorrere nelle ire dei suoi amici ai piani alti e anche a quelli bassi. Con la sua morte verrà riesaminato il ruolo che ebbe nella carriera di Elvis Presley», scrive James L. Dickerson nelle ultime pagine di Elvis e il Colonnello. «Nel corso degli anni, il Colonnello fece molto per proteggerlo da coloro che gli avrebbero fatto del male, e bisognerebbe dargliene il merito. Ma alla fine, il più grande dono che il Colonnello ha fatto a Elvis è stato morire, perché solo dopo il suo trapasso è divenuto evidente che Elvis non era affatto pazzo come la storia lo ha dipinto negli ultimi anni della sua esistenza.»