«La parola desiderio viene da “de-sidera”, sai cosa vuole dire? Mancanza di stelle, essere senza stelle. Che poi saremmo noi alla ricerca di un figlio». Giuseppe parla a Lara, desiderano essere genitori, desiderano un figlio, una stella, la loro stellina che però non vedrà mai la luce sebbene illuminerà il loro sentiero, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, nella finzione narrativa e nella realtà del nostro tempo da cui ci parlano i due protagonisti del nuovo romanzo di Massimiliano Virgilio, Il tempo delle stelle, in libreria con Rizzoli.
«La condizione di chi desidera è la condizione di chi non possiede, di chi non ha quello che vorrebbe avere, di chi vorrebbe essere e non è, di chi dunque prova dolore», ci dice Massimiliano Virgilio, napoletano, scrittore, sceneggiatore, autore televisivo che, dopo i suoi ultimi due bei romanzi L’Americano e Le creature, ci parla dei personaggi e delle luci e delle ombre che popolano il nuovo libro.
Massimiliano Virgilio racconta la sofferenza dei non-genitori
Lara e Giuseppe vorrebbero essere genitori, desiderano la genitorialità, soffrono tra i corridoi e le sale d’aspetto delle cliniche private e degli ambulatori pubblici dove attendono l’ennesimo esito degli esami sulla fertilità dai nomi complicatissimi, il responso periodico del luminare della fecondazione assistita (qualche migliaia di euro da mettere in conto), e da dove ne usciranno ogni volta con una sfilza di speranze deluse, di aspettative sempre più improbabili, di tentativi sempre più faticosi, mentre le lancette dell’orologio biologico segnano implacabili il conto alla rovescia. Giornalista d’inchiesta lui e operatrice sociale lei, vicini ai quarant’anni, colti, innamorati, Giuseppe e Lara formano una coppia in apparenza inossidabile, costituiscono la speciale “Entità”, l’amore, la fortezza in cui hanno vissuto fino a oggi, l’uno accanto all’altra, certi della propria sintonia amorosa, esistenziale, costruita negli anni a quattro mani e due teste. Sono intelligenti, sono istruiti e informati, sono consapevoli di sé e del mondo fintantoché la ricerca di quella stellina non li metterà alla prova facendo tremare dalle fondamenta l’Entità stessa a colpi di incomprensioni, di accuse reciproche, di parole e gesti poco nobili che rimetteranno in discussione la coppia riportandola violentemente a due unità individuali in conflitto, le loro scelte di vita e di genitorialità desiderata e fallita messe all’improvviso sotto scacco con durezza, con veridicità.
Perché Il tempo delle stelle è sì una storia creata dalla mente di uno scrittore ma è pure un ritratto tanto vivido delle vite vere di molte persone che desiderano e che soffrono quanto i protagonisti del romanzo. Badate bene, però: Massimiliano Virgilio non è scrittore da accontentarsi di raccontare solo e semplicemente una singola storia d’umana quotidianità, seppur potente. Ci gira attorno, lancia lo sguardo al di là dell’intimità, esce dalle stanze private per sondare lo spazio pubblico della società in cui viviamo, della dimensione sociale e politica delle nostre singole e collettive esistenze, per raccontare di una generazione e di un’epoca che molto hanno da raccontare in controluce proprio come la città in cui è ambientata la storia, Napoli, dov’è nato e cresciuto Virgilio, dove a ogni angolo, «dietro ai suoi panorami scopri sempre una storia nascosta». Bisogna allora grattare sotto la superficie – «perché è questo in fin dei conti il mestiere dello scrittore» ci ricorda Virgilio –, tra le pagine di una narrazione che è anche denuncia sociale di un mondo mal tagliato, da sondare ed esaminare attraverso le pieghe di un romanzo stratificato, spiazzante, che procede per negazione di quel che era e che ora non è più ma che è portatore, alla fin fine, di un messaggio di speranza non banale, non retorico e scontato.
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Il tempo delle stelle è un romanzo di sofferenza corale
«È la prima volta che mi capita di registrare una reazione così epidermica da parte dei lettori, soprattutto da parte delle lettrici, che mi hanno scritto per esprimermi tutto il loro coinvolgimento», ci svela Virgilio, durante la nostra conversazione a una settimana dall’arrivo in libreria del romanzo. «Dai primi messaggi che ho ricevuto ho capito che in qualche modo le donne si sono sentite accolte; mi sembra di aver colto un bisogno, un’urgenza di voler capire cosa pensano gli uomini di questa vicenda di non-genitorialità. Ho la sensazione che gli uomini tendano a isolarsi, a non parlare e, d’altronde, fa pure parte della mia infanzia dalle radici meridionali l’idea che il maschio non sia tenuto a raccontare di sé. Nella realtà succede spesso: nel momento in cui entrano in questo percorso di genitorialità, le donne si ritrovano loro malgrado in una sorta di isolamento, anche quando al proprio fianco hanno compagni perfetti», riflette insieme a noi Massimiliano Virgilio, a cui chiediamo allora com’è nato il romanzo. «Da un lato sentivo forte la necessità e la voglia di raccontare questa storia che svela dinamiche solitamente tenute nascoste, una storia un po’ “svergognata” come ha detto Patrizia Rinaldi», altra scrittrice napoletana amatissima, con la quale Virgilio ha dialogato nella tappa a Napoli del tour di presentazione del romanzo.
«Lara e Giuseppe si perdono, i figli degli altri diventano nemici mentre loro due vanno in frantumi, lasciandosi andare al rancore che porta a galla fragilità e bassezze reciproche. Non potevo non affondare nel privato e nell’umana debolezza individuale. Di contro, sapevo che sarei andato incontro a un’insoddisfazione se mi fossi limitato a una dimensione privata, perché volevo raccontare, tra le altre cose, anche di questa tensione tipica della nostra contemporaneità concentrata sulle nostre frustrazioni private che ci portano a gettar fango sugli altri, una tensione sempre più forte nel nostro Paese. La felicità non è mai la propria felicità ma l’infelicità degli altri», osserva Virgilio. «Gli anni Ottanta, gli anni della mia infanzia, sono stati un decennio straordinario, che ci ha fatto credere che fosse possibile ottenere tutte le cose che volevamo per noi, che potessimo consumare tutto subito. Ma oggi, di fronte alla frustrazione dei desideri non realizzati, come stiamo reagendo?», si interroga lo scrittore. «Stiamo reagendo male, cercando l’insuccesso degli altri. Basta guardare a come vengono trattati molti personaggi famosi sui social, a tutto l’odio che si beccano dai follower delusi che desiderano la loro caduta. Disegnando i personaggi di Lara e Giuseppe volevo mettere in scena due congiurati che, spinti dal dolore, dal rancore, dalla delusione prima si distruggono a vicenda per poi allearsi contro il mondo intero, escogitando un piano malsano», che ovviamente non sveliamo, «per uscire dall’inferno in cui sono sprofondati. Lara e Giuseppe sono infelici fintanto che restano chiusi nella loro bolla privata», perché l’amore è anche una forma politica di stare al mondo, che deve fare i conti per esempio con fattori esterni quali la precarietà del lavoro, da cui l’età sempre più avanzata in cui nel nostro Paese si progetta la nascita di un figlio e il rischio “biologico”, appunto, di non riuscire a portare a termine il progetto.
Virgilio inserisce nel suo racconto anche la pandemia
«Poi è arrivata la pandemia, un evento incredibile che ha rimesso in discussione tutto quanto e che mi ha fatto riflettere per la stesura del romanzo. Mi ha molto colpito la sospensione dei percorsi di fecondazione assistita nelle strutture sanitarie durante il lockdown, che io e mia moglie abbiamo vissuto in prima persona. Mentre ci preparavamo all’inseminazione, ci chiamarono dall’ospedale per dirci che l’inizio della procedura sarebbe stata rinviata a tempo indeterminato. Fino a quel momento mi ero pensato eternamente giovane, tutte le possibilità davanti a me, e di colpo invece ci siamo ritrovati tutti quanti ingabbiati dentro a una situazione paralizzante mai vista». Lara e Giuseppe dovranno fare i conti anche con questo, sebbene nel romanzo non si citi esplicitamente la pandemia. «Ho scelto di inserirla nel racconto ma da un’altra prospettiva, più lontana e ovattata, meno visibile. Mi sono chiesto: quanto possono essere egoiste due persone che, nel momento in cui il mondo sta crollando, desiderano a tutti i costi sempre e soltanto quella cosa per sé? La storia dell’umanità è sempre un po’ la storia delle nostre meschinità. Nell’Americano raccontavo il punto di vista di un impiegato di banca che durante il sequestro di Aldo Moro, che aveva paralizzato l’Italia intera, desiderava solo e soltanto il proprio trasferimento in un’altra filiale. Ne Il tempo delle stelle la pandemia è un fatto collettivo a cui i due protagonisti guardano attraverso il buco della serratura della propria infelicità di coppia. Se c’è qualcosa nelle nostre vite che si replica incessantemente è il dolore». L’amore può finire, può esaurirsi la forza dei sentimenti, la capacità emotiva di amare, tutto cambia ma ciò che non cambia è il lavorio incessante della sofferenza sotto traccia. «Il dolore è un sentimento capace di adattarsi in ambienti ostili, è spregiudicato nell’evolversi, cambia come cambia il suo ospite, è idoneo a sopravvivere in ogni circostanza», sta scritto tra le pagine del romanzo di Massimiliano Virgilio. «Mi interessava indagare come due persone che si amano reagiscono davanti alla prova del dolore».
Ma l’amore vero esiste per davvero? «Non so rispondere, potrei dirlo soltanto alla fine della mia vita!», ci risponde con un sorriso Massimiliano Virgilio; «credo però che tutti noi siamo capaci di vivere un amore nel momento in cui siamo in grado di riconoscere il nostro stato di malessere e siamo pronti a farci carico dell’altrui stato di malessere. Questo potrebbe essere amore, un amore intelligente, non felice magari, magari fatto di piccole infamie ma forse l’amore perfetto è un amore squilibrato, disfunzionale. In fondo, siamo tutte famiglie disfunzionali, no?», riflette l’autore de Il tempo delle stelle, tra le cui pagine dai riflessi autobiografici rivive anche un caso di cronaca nera realmente accaduto: un bambino di sette anni, Giuseppe, ucciso a bastonate dal patrigno ventiquattrenne con precedenti penali.
«Non volevo offrire il corpo dell’autofiction come prova di ciò che è vero, ma è vero che da tempo avevo in mente di scrivere un libro su questo fatto di cronaca ripreso nel romanzo», dove a un certo punto il direttore del giornale per cui scrive Giuseppe (abbandonato dal padre, che sparisce senza lasciare più alcuna traccia di sé dopo la morte prematura della moglie) gli chiede di scrivere un pezzo sulla vicenda. «Non ho voluto reinventare gli atti processuali perché non c’è nulla di più irrappresentabile della violenza sui bambini», spiega Virgilio, «ma quel caso tremendo è uno specchio su cui riflettere per contrasto la non-genitorialità di Lara e Giuseppe. Una negazione che agisce da deviazione dalla storia principale e attraverso la quale devono passare i protagonisti per riprendere la via e uscire dall’inferno una volta messi di fronte a una verità ferocemente contrastante: una coppia felice che vuole un figlio e non ci riesce, e una coppia infelice che un figlio ce l’ha ma lo uccide».