A te, cara lettrice e caro lettore, che senza distinzione di genere ti lasci rapire dal giallo più classico e dal noir più cupo, dal thriller mozzafiato e dal seducente poliziesco, dal più fanatico dei serial killer fino al più irrequieto dei detective, si rivolge ormai da diverso tempo la fortunata collana del Nero Rizzoli, che ha portato in libreria nei giorni scorsi due romanzi che soddisfano i palati letterari più affamati d’adrenalina e d’investigazione.
L’uno è Un colpo al cuore di Piergiorgio Pulixi, allievo di Massimo Carlotto, consacrato da Maurizio de Giovanni come “il più limpido talento” tra gli autori di crime fiction nostrani, vincitore del premio Scerbanenco 2019 col precedente romanzo L’isola delle anime.
L’altro è I delitti della gazza ladra di Anthony Horowitz, superbo e poliedrico autore britannico, notissimo al pubblico soprattutto anglosassone per il successo, tra gli altri, della serie bestseller Alex Rider e della prima stagione televisiva dell’Ispettore Barnaby.
Entrambi i volumi hanno molto da offrire in fatto di intrattenimento di qualità e qualità della narrazione. Fino alla fine (e più in là ancora, verrebbe da dire) celano al lettore, oltre all’identità degli assassini, i più bei segreti del mestiere di scrivere romanzi, gialli o neri che siano.
«Come in uno spettacolo di magia in cui lo spettatore non bada alla meccanica del trucco ma si lascia attrarre dall’esibizione per godere dell’incantesimo, così deve fare lo scrittore alle prese con un giallo: mettere in scena il piacere dell’intrattenimento e il fascino dell’indagine, ma tenere ben nascosto dietro le quinte il marchingegno che tutto muove»
c’incanta subito Piergiorgio Pulixi, in compagnia del quale abbiamo ripercorso il suo romanzo e quello di Horowitz, di cui Pulixi è lettore ed estimatore.
Anthony Horowitz e Piergiorgio Pulixi: anche la lunghezza dei libri è solo un inganno
Entrambi corposi – superano le 500 pagine che, però, rimpiangiamo una volta finite – i due romanzi mostrano egregiamente due diversi modi d’intendere e di declinare il macrogenere del crime, che tutto comprende e tutto divora.
«Anthony Horowitz è un autore geniale, ha scritto moltissimi libri, tutti molto diversi tra loro, e ha inoltre una grande esperienza come sceneggiatore televisivo. Ho letto con grande piacere I delitti della gazza ladra, un classico poliziesco deduttivo, con un colpevole, un detective che indaga e diversi personaggi sospetti, che però Horowitz ha saputo rinnovare superando gli stilemi e i tòpoi letterari di genere, che oggi rischia di risultare molto prevedibile. Agata Christie andrebbe pazza per questo libro»
ci dice con un sorriso Piergiorgio, nato a Cagliari nel 1982 ed entrato a soli 23 anni nel collettivo di scrittura Sabot. «A differenza di Horowitz, forse nei miei libri si fa più sentire il fatto di essere io allievo di Massimo Carlotto, dal quale ho ereditato l’attenzione verso le tematiche sociali, che spesso sono parte integrante del processo di scrittura. Nell’ultimo romanzo parto dalla realtà per trasfigurarla, letterariamente; ma pur sempre di quotidianità trattasi, anche se portata agli eccessi».
Un colpo al cuore ruota difatti attorno a due temi tanto familiari quanto ingombranti, insidiosi, realistici: la giustizia esercitata al di fuori delle aule di tribunale e il lato oscuro dei social network. Piergiorgio Pulixi porta alle estreme conseguenze l’osservazione della realtà, tratteggiando un serial killer che ripara i torti del sistema giudiziario. Il “Dentista” – così verrà soprannominato – stana i criminali che l’hanno fatta franca, li rapisce, li tortura ma a un certo punto si ferma, li inquadra con una telecamera che pare un boia, li registra in un video che intitola “La legge sei tu” e che diffonde via internet a uso e consumo del popolo, al quale chiede di emettere la sentenza: basta un semplice clic, anonimo e irrintracciabile, per decidere vita o morte degli impuniti e disgraziati delinquenti finiti nella trappola della giustizia sommaria, che si fa virale. «Il Dentista, abilissimo sociologo e psicologo delle masse, è un simbolo: potenzialmente tutti potremmo essere lui», ci avverte Piergiorgio: «Il suo colpo di genio sta nel trasformare il suo personaggio in una maschera che ognuno può indossare, facendosi artefice della sua “missione sociale”. Si rende così immortale, si trasforma in un virus e l’agente fertilizzante diventa la sfiducia delle persone nella giustizia costituita».
Come ti è venuta questa idea che dà origine a un meccanismo micidiale ma perfetto, in cui non possiamo non sentirci tutti quanti chiamati in causa?
«Ci pensavo da alcuni anni. Parlando con le persone, mi è capitato spesso di cogliere una fortissima disistima nei confronti del sistema giudiziario. In tempi in cui s’invoca l’utopia della democrazia diretta e di “uno vale uno”, mi sono allora chiesto che cosa succederebbe se anche la giustizia fosse esercitata in modo diretto, online: i cittadini sarebbero spinti a votare?». L’interrogativo rimbalza tra le righe di Un colpo al cuore, che sonda implacabile i social network, nuova frontiera della gogna mediatica. «Le piattaforme digitali hanno pregi ma pure difetti: legittimano chiunque a sentenziare su qualsiasi argomento e sono molto pervasivi, lì basta poco perché le persone si coalizzino contro un obiettivo comune alimentando l’odio, che unisce le persone e annulla le distanze sociali. Da tempo sto studiando come ci stanno cambiando le nuove tecnologie digitali».
Presente nelle nostre vite oggi più che mai, altro grande tema del romanzo è la solitudine, che però Pulixi risolve in positivo con la forza dell’amicizia che nel corso della narrazione legherà i tre personaggi principali: l’affascinante vicequestore Vito Strega, quarantenne solitario, tormentato criminologo dal passato burrascoso al quale è affidata l’indagine e le due ispettrici che lo affiancano, Mara Rais e Eva Croce, donne forti e fragili, molto diverse tra loro ma che, insieme, si completano. Sullo sfondo la metropoli milanese dalla “luce caravaggesca” dove vive Strega, e la Sardegna, terra natia di Pulixi dove tutto ha inizio.
«Per il vicequestore ho scelto un cognome, Strega, volutamente declinato al femminile, evocativo del suo lato femmineo, dell’intuizione e del sesto senso che hanno le donne, molto più brave a vedere sotto la superficie delle cose»
dice Piergiorgio; «ho cercato di descriverli attraverso il riflesso dell’indagine e delle sfumature psicologiche che affiorano via via, come quando Strega è sotto pressione o diventa protettivo nei confronti delle due colleghe». Lungo la trama orizzontale dei legami tra i personaggi, «quello che gli inglesi chiamano relational», continua Pulixi, che ha vissuto diversi anni a Londra, «ho voluto inserire anche un po’ di luminosità e d’ironia, giocando molto sull’attrazione sensuale che nasce tra i personaggi perché volevo che, oltre alle tematiche forti, una volta immerso nella storia il lettore godesse anche di momenti di distensione».
È vero che avevi iniziato a scrivere il romanzo nel 2019 ma lo hai riscritto completamente nel corso del primo lockdown?
È vero, perché allora mi resi conto che erano cambiate le esigenze dei lettori. Durante l’isolamento, molti conoscenti e amici mi raccontavano che non riuscivano più a leggere e che si erano messi a guardare molte serie tv. Avevo già scritto un’ottantina di pagine, il che per me significa essere già passati alla fase finale. Sono abituato a dedicarmi in prima battuta alla struttura delle storie che invento, all’organizzazione dei capitoli, degli snodi, dei colpi di scena. Un lavoro che mi prende più tempo della scrittura. Le storie devono funzionare prima nella mia mente, devono scorrermi velocemente davanti agli occhi. Con lo scoppio della pandemia capii che al ritmo lento, più compassato, tipico del romanzo dovevo sostituire il ritmo più veloce e immediato della fiction televisiva, con capitoli brevi e rapidi, perché di questo avevano bisogno i lettori. Così ho riscritto tutto, la lunghezza delle cinquecento pagine è solo un inganno».
Anthony Horowitz lascia la tecnologia da parte in favore della deduzione
Anche ne I delitti della gazza ladra di Anthony Horowitz la lunghezza è solo un inganno, come lo è del resto l’intera trama costruita sapientemente da Horowitz. Un doppio giallo che prende avvio da un classico whodunit per concludersi con un thriller modernissimo. Nella prima parte de I delitti della gazza ladra Horowitz ci riporta indietro nel tempo, in un paesino della campagna inglese degli anni Cinquanta dove è ambientato il manoscritto dell’autore bestseller Alan Conway creatore dell’intramontabile Atticus Pünd, infallibile investigatore che Susan Ryeland, editor di una piccola casa editrice londinese, sta leggendo prima di dare alle stampe. Ma sarà proprio la lettura di quel manoscritto a catapultare Susan e, insieme con lei, il lettore in un secondo mistero, questa volta vissuto in diretta e ad alto tasso di suspense.
«Horowitz è riuscito a scrivere un ottimo mistery facendo poco ricorso alla tecnologia, che invece fa ormai parte del nostro mondo. Grazie alla costruzione perfetta su cui si poggia I delitti della gazza ladra, il lettore può risolvere il caso anche soltanto con la deduzione, com’è appunto nella migliore tradizione di Agata Christie, mentre nella realtà che viviamo noi la presenza della polizia scientifica non solo è diventata vincolante per uno scrittore di thriller, ma è più complessa da raccontare. Come autore devi essere abile nel trovare soluzioni originali che non annoino i lettori con troppi tecnicismi ma che, al contempo, non sembrino campate per aria. Gli amanti di polizieschi sono molto attenti e molto esigenti, quando comprano un libro si aspettano comunque verosimiglianza, procedure investigative non inventate di sana pianta e un certo tipo di approfondimento, anche lessicale. L’autore deve sempre rispettare questo patto di fiducia col lettore. Non è affatto scontata la struttura costruita in pagina da Horowitz, che ha saputo unire la funzione di totale evasione della letteratura con incursioni interessanti nel mondo contemporaneo dell’editoria, tramite il quale Horowitz stringe una certa intimità col lettore, rivelandogli i retroscena di quel mondo affascinante, l’ego incredibile di certi scrittori, le logiche commerciali spinte e certe scelte editoriali che si potrebbero anche definire immorali».
Tornando al nostro mondo editoriale, Un colpo al cuore sta raccogliendo giudizi positivi da parte dei lettori. In molti ti hanno scritto che l’hanno divorato e che hai fatto loro compagnia (alcuni ti hanno anche maledetto perché ora hanno molta più paura del dentista…). Stai già scrivendo il seguito?
Sì, lo sto scrivendo con grande paura! Oggi è molto difficile sostenere le aspettative alte dei lettori, ogni romanzo di più. Con il prossimo l’idea è di fare un piccolo scarto di genere, per offrire qualcosa di nuovo e di diverso. Da questo punto di vista la lettura di Horowitz è stata molto stimolante, perché anch’io mi sto orientando verso una sorta di mistery non classico, ambientato ai nostri giorni, che tocchi tematiche sociali anche forti e importanti ma senza ricalcare il genere del thriller. Continuerò invece a giocare su più ambientazioni, come ho fatto con la Sardegna e con Milano per Un colpo al cuore, perché mi piace far esplorare ai lettori i luoghi attraverso i romanzi. Nel prossimo una città che avrà un peso nella storia sarà senz’altro Bologna.
Maurizio de Giovanni ha scritto sul Corriere della Sera che sul tuo nome si registra “una totale convergenza” nel riconoscere la tua come “una delle voci più originali e interessanti della narrativa italiana”. Che effetto ti ha fatto?
Maurizio de Giovanni è sempre stato molto generoso nei miei confronti. La sua recensione di Un colpo al cuore mi ha fatto un immenso piacere, è per me fonte di orgoglio ma d’ora in poi, a maggior ragione, dovrò essere all’altezza di quelle sue parole, che sono un modo per farmi passare all’età adulta, mi danno una spinta ma, come farebbe un fratello maggiore, mi dicono che devo assumermi le mie responsabilità, non posso fare passi indietro ma soltanto in avanti.
A proposito di grandi scrittori, in esergo alle tre parti in cui è suddiviso Un colpo al cuore, riporti tre citazioni dello scrittore William McIlvanney. Lo prendiamo come un buon consiglio di lettura?
Sì, è un modo per condividere con i lettori la mia passione per questo scrittore. William McIlvanney è il padre del Tartan Noir, maestro di Ian Rankin, ha spianato la strada a tutti gli autori scozzesi del genere. Volevo omaggiarlo perché, oltre a essere un modello per me, dal punto di vista stilistico e letterario, credo sia stato tra i più grandi scrittori per la tensione verso il sociale di cui sono intrise le sue opere. Era diventato professore di letteratura ma continuò a rappresentare la classe operaia e a raccontare gli ultimi.
Il tuo romanzo è dedicato agli amici librai Alessandro Tridello e Susy Merico
Alessandro e Susy hanno dedicato la loro vita ai libri e continuano a farlo, nonostante le mille difficoltà che le loro librerie hanno incontrato a più riprese in passato. Sono tra i librai che vendono di più in Italia, nonché tra i promotori del festival dei libri gialli, noir e thriller MestThriller. La dedica è un modo per dir loro grazie e per continuare a credere nelle librerie come presidio culturale sul territorio, a credere e a sognare di poter vivere di libri e di cultura.