Dalla prima all’ultima, a ogni voltar di pagina, la storia, il destino, l’amore e l’odio, la ricchezza e la povertà, l’ambizione e l’ossessione, l’audacia, il coraggio e la sfortuna di ognuno dei personaggi che incontrerai, ti faranno dubitare da che parte stare, a chi dare ragione, chi lodare e disprezzare, di chi fidarti e di chi aver paura. Troppo facile esprimere giudizi, troppo difficile arretrare dinnanzi alla ragione e al sentimento che muovono i malarazza, di qualsiasi fattispecie essi siano, alla ricerca di un posto nel mondo, del riscatto sociale, dell’affermazione di sé nella speranza di un futuro migliore, nell’incedere nella vita avventurosa, faticosa, imprevedibile che iddio, il fato o il caso ha posto loro sul cammino. Dalla prima all’ultima pagina, I Malarazza, che danno il titolo al romanzo di Ugo Barbàra da poco pubblicato da Rizzoli, non ti lasceranno andare, ti porteranno con sé, li seguirai passo a passo fino all’epilogo (che epilogo non è…) di una narrazione corale che ha il fascino del romanzo storico e il gusto dell’epopea memorabile.
I Malarazza racconta la saga di quattro famiglie siciliane
Tutto ha inizio nel 1860 a Castellammare del Golfo, Sicilia, terra natia di Ugo Barbàra, giornalista e scrittore che con questo suo nuovo romanzo, I Malarazza, il primo per Rizzoli e il primo di un’annunciata trilogia, dà vita a una grandiosa saga di quattro famiglie siciliane – i Montalto, i Rizzo, gli Scudera, gli Scippatesti – che ammalia e intrattiene, un gioco di destini incrociati lungo due secoli e attraverso due continenti sullo sfondo della grande storia vera che segnò, in Europa, l’unità d’Italia e, negli Stati Uniti, la guerra di secessione. La Sicilia e l’America, così lontane così vicine nei sogni e nelle svolte inattese delle donne e degli uomini che popolano il romanzo di Barbàra e lo fanno vivere sotto i nostri occhi, riportandoci alla memoria la realtà delle migliaia di italiani emigrati in America per cercare fortuna.
Nel 1860, mentre Garibaldi si appresta a partire da Genova con una flotta di uomini armati e finanziati dai Savoia per abbattere il Regno borbonico delle Due Sicilie, a Castellammare del Golfo Antonio Montalto guarda oltreoceano. I Montalto sono una delle famiglie più in vista della zona, possidenti terrieri, produttori di olio e vino, rispettati e invidiati. Piane sterminate coltivate a ulivi e viti amministrate da Vincenzo Rizzo, che non è tipo «da muoversi a pietà di fronte a niente» e verso cui Antonio Montalto ripone una fiducia «ripagata con una fedeltà assoluta», e dalla moglie Vinzia, figura femminile indomita e selvaggia che segnerà, a modo suo, il corso degli eventi.
Dalla Sicilia al nuovo mondo
Nel 1860 ad Antonio non basta più ciò che ha eredito dal padre. Intuisce che la strada del successo è altrove, nel nuovo mondo: è laggiù che deve spingere la sua ambizione, spezzare la continuità col passato e tentare nuovi sbocchi commerciali, sfidando le minacce di un’epoca storica mutevole e incandescente e rischiando il tutto per tutto.
«Era abile nel corteggiare i nobili, i ricchi e i potenti, ma quella gente aveva già di che sentirsi speciale, per censo o per discendenza. C’era invece, tra le pieghe della folla che ogni mattina si arrabattava per svoltare la giornata, qualcuno che era capace di farlo meglio degli altri e l’arte di Antonio Montalto era trovare queste persone e chiamarle a sé.
Per quanto avesse studiato – o forse proprio per questo – riteneva di avere ancora tanto da imparare e così si intratteneva per ore con l’innestatore che aveva creato un incrocio mai visto o con il mastro capace di una costruzione ardita. Con gesti ampi magnificava le imprese di chi aveva creato qualcosa di nuovo. Tutti conoscevano la sua passione per le novità e ogni volta che in paese se ne presentava una Antonio Montalto lasciava qualunque affare per andare a vedere».
Sua moglie, Rosaria Battaglia, è una donna volitiva, colei che si spingerà, se possibile, ancora più in là delle ambizioni del marito, rifiutando l’ordine millenario imposto da una società maschilista in terra natia e oltreoceano, e riuscendo nell’impresa di fondare e dirigere una banca americana per aiutare gli italiani che arrivavano in America a costruirsi un futuro, investendo sulle loro intenzioni, sui loro sogni, sulle loro ambizioni, sullo sfondo del movimento di emancipazione femminile delle suffragette.
Attorno a Rosaria, ad Antonio e ai loro sei figli si intrecciano le vite degli altri personaggi e delle altre tre famiglie al centro della storia, degli eventi tumultuosi e inattesi che corrono a un ritmo incalzante lungo le trecento pagine de I Malarazza, delle giravolte del destino e della maledizione che incombe su ognuna di esse.
Non c’è fine alle disavventure del coraggioso Nicola Scudera, che prima di tutti gli altri personaggi incontriamo all’inizio de I Malarazza, primo motore narrativo protagonista di un fatto (che non raccontiamo) che innescherà come una bomba una serie di conseguenze che inseguiranno lui e gli altri per il resto della vita.
«Era pronto a giurare che da quel momento in poi sarebbe stato un bravo figlio, giudizioso e ubbidiente. In fondo era così da sempre, loro lo sapevano, e quando gli usciva una risposta che poteva sembrare irrispettosa era solo perché si sentiva ribollire qualcosa dentro e non riusciva a tenerla a freno.
Ma ora sarebbe cambiato tutto. Non si sarebbe mai più lamentato della loro vita, non avrebbe mai più ignorato i rimproveri dei genitori o le richieste di aiuto dei fratelli. Lo sapevano tutti che era un lavoratore, sempre pronto a faticare, e le rare volte che aveva cercato di sottrarsi era solo perché anche lui, ogni tanto, sentiva il bisogno di inseguire i propri pensieri.
Andare a guardare il sole che sorge sul mare, lasciare che la massa confusa aggrovigliata nell’anima si scaldasse al tepore dell’alba e smettesse di essere un tormento.
E non era colpa sua se sulla strada aveva trovato Bianca, se quella pelle così candida e quei capelli d’angelo lo avevano stregato. Se non riusciva a smettere di pensare a lei nemmeno quando dormiva.
Come non era colpa sua se sulla stessa strada era sbucato Bartolo Trupiano: maledetto il giorno che era venuto al mondo e maledetta tutta la sua razza di assassini, ladri e portaguai.»
Bianca, la giovane bellissima Bianca, un’orfana del convento dei Padri Crociferi trasferitasi dai Montalto al servizio di Rosaria al compimento del dodicesimo anno d’età. Ora ne ha sedici e, col tempo, diventerà come una figlia per Rosaria, che l’avrebbe portata con sé in America e avrebbe fatto di lei una donna altrettanto volitiva, decisa, libera.
«Ha sentito anche vossignoria quelle favole sui soldi che crescono sugli alberi…» disse la ragazza. Donna Rosaria rispose con una specie di sorriso. «Sono storie per bambini» continuò Bianca, «ma io ho capito cosa significano: in America può succedere di tutto, anche di realizzare i propri sogni.»
«Come quello di trovare soldi sugli alberi, appunto» la provocò Rosaria Battaglia.
«No, vossignoria. Il sogno di diventare quello che si vuole.»
Lo sguardo di Rosaria Battaglia si fece più intenso. «E tu cosa sogni di diventare?»
«Ciò che il Signore vorrà per me» rispose la ragazza, quasi d’istinto.
«Hai lasciato i Padri Crociferi da troppo tempo per rispondermi in questo modo.»
«Coglierò le opportunità che mi saranno date. Quelle che vossignoria mi vorrà dare.»
«Io non so niente dell’America» disse Rosaria Battaglia, «se non le favole che ha raccontato mio marito. Ma una cosa so per certo: non sto andando dall’altra parte del mondo per essere solo la moglie di Antonio Montalto e non voglio che tu sia la serva di casa Montalto. Stiamo facendo un sacrificio e lo facciamo per cogliere un’occasione: diventare ciò che decideremo noi. La strada che prenderò non sarà quella che mio marito avrà tracciato al posto mio. E tu non permetterai a nessuno di decidere per te. Nemmeno a me.»
I Malarazza sono anche il racconto degli ultimi in fuga
Ma I Malarazza non raccontano soltanto della scalata di una famiglia che in America fonderà un impero; sono anche l’affresco dell’eterna lotta degli ultimi in fuga da un destino maledetto, come lo sono Bartolo Trupiano e il fratello maggiore Rocco, «uno sguardo vitreo, privo di emozioni, che metteva paura», l’uno il fantasma dell’altro, reietti che, dai bassifondi duri, violenti, criminali della vita sapranno a modo loro sconvolgere l’ordine delle cose.
D’altronde, come avverte lo speziale Illuminato Sanfilippo, il pharmacist che a New York si mette in società con i Montalto e accoglie nella sua bottega Bianca, già esperta nel mestiere che le aveva insegnato Rosaria a Castellammare, «non devi provare pena, devi provare rabbia», dice alla giovane quando una madre si presenta con un bambino devastato dalla tubercolosi. «La pena non serve a nulla, la rabbia spinge al cambiamento».