Margherita ha quattordici anni appena ma è costretta a crescere in fretta, sotto le bombe di una guerra che non avrebbe mai voluto vedere. Il suo sguardo dalle finestre di casa a San Lorenzo, oscurate sebbene fuori splenda il bel sole di luglio, nonostante la calda estate capitolina, è tanto incredulo quanto nitidi i pensieri: «La guerra non mi piace, mi fa tristezza. Non ha nulla di bello e non sai mai chi ha ragione. È nera, una notte scura. È un tempo che non vedi l’ora che finisca. Come una malattia». Margherita è voce narrante di un romanzo che soltanto romanzo non è, è la più giovane e pura testimone di un racconto corale che di capitolo in capitolo alterna le singole voci di una famiglia romana messa spalle al muro dal conflitto bellico fino a portarci, nostro malgrado, alla realtà della guerra vera che si sta combattendo oggi in Ucraina, in nome della libertà.
In nome della libertà corre Margherita e corre il fratello Arnaldo il 19 luglio del 1943, sotto i colpi del primo bombardamento di Roma da parte degli Alleati: fu una data fatale nell’evolversi della Seconda guerra mondiale, attorno cui Walter Veltroni ci coinvolge e ci interroga con La scelta, il suo nuovo romanzo che arriva in libreria per Rizzoli con i sentimenti della finzione letteraria e con la forza della memoria storica, in un momento in cui la minaccia di una terza guerra mondiale e migliaia di vittime innocenti riportano tragicamente indietro le lancette dell’orologio del mondo.
La scelta di allora non è troppo diversa da quella che dobbiamo fare oggi
La storia della Seconda guerra mondiale racconta che nella mattina e nel pomeriggio del 19 luglio 1943 oltre cinquecento bombardieri statunitensi bersagliarono lo scalo ferroviario Littorio, a nord di Roma, e l’aeroporto di Ciampino. Morirono circa tremila civili e altri diecimila furono feriti; metà delle vittime si trovavano nel quartiere di San Lorenzo, il più colpito dall’attacco aereo. Nelle stesse ore a Feltre, in provincia di Belluno, Benito Mussolini trattava con Adolf Hitler le mosse da fare in seguito allo sbarco delle truppe alleate in Sicilia, avvenuto due settimane prima. Giorni tragici, incerti e cupi che culminarono nella tarda serata del 25 luglio quando l’EIAR, l’Ente italiano per le audizioni radiofoniche, interrompeva le trasmissioni per diffondere un comunicato straordinario: il Duce si era dimesso. Re Vittorio Emanuele III assumeva il controllo supremo di tutte le forze armate e nominava capo del governo il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Dopo quasi ventun anni, crollava il regime fascista.
«Devono essere state ore incredibili, quelle trascorse nella metà del luglio 1943. Ore nelle quali in ciascuna famiglia, in ogni casa, si è stati chiamati a fare una “scelta”. La dittatura fascista aveva – con la compressione delle libertà individuali, le leggi razziali, la partecipazione alla guerra di Hitler – seminato odio, divisione e violenza. E quando un regime crolla è sempre un tempo di rese dei conti. Quei giorni mi sembrano essere stati decisivi per la storia italiana contemporanea», spiega Walter Veltroni a proposito del titolo e del romanzo. «Eroismo e trasformismo, coraggio e pavidità, hanno connotato il travaglio di un paese che comunque non avrebbe smesso di soffrire. I busti rapidamente ammainati del Duce e le feste per la caduta di un regime che aveva goduto, almeno fino alla metà degli anni Trenta, di un vasto consenso furono rapidamente sostituiti, in molta parte d’Italia, dall’occupazione nazista. Il nero diventò più nero.»
La cronaca di questi nostri giorni racconta di famiglie divise e spezzate dall’allontanamento forzato da padri e figli da madri e figlie, di bambini e di anziani in fuga dalle città bombardate e così pure di tanti russi e ucraini che ieri erano fratelli e oggi si ritrovano nemici più o meno consapevoli, in un disgregarsi dei legami familiari che spazza via ogni zona franca anche dentro le mura di casa.
Racconta Margherita: «Il padre di Elisa, la mia compagna di classe, è sparito. È partito per la Russia e non è tornato. Neanche morto. Non se ne sa più nulla, in famiglia non conoscono il suo destino, la mamma va ogni giorno alla stazione con la foto di suo marito, sperando che qualcuno lo riconosca. Elisa mi ha fatto leggere le ultime lettere che ha ricevuto dal padre, ormai diversi mesi fa […] Neanche lui, che stava al fronte, odiava i suoi nemici, i russi. Era solo stanco, tanto stanco».
Walter Veltroni ci racconta di una famiglia italiana divisa dagli eventi della storia e dallo scontro generazionale tra il padre, Ascenzo De Dominicis, usciere all’agenzia di stampa Stefani, convinto sostenitore del regime cresciuto tra i fasci abruzzesi, servitore umile e devoto del Presidente dell’agenzia, Manlio Morgagni (l’unico esponente del regime che si tolse la vita dopo la caduta del Duce) e il figlio diciottenne Arnaldo, che si ribella al padre e al fascismo, si unisce ai propri compagni, tutti giovanissimi, tutti combattenti per la libertà, che leggono Melville, Faulkner e Steinbeck e si ritrovano di nascosto in un locale di sera dove si suona e si balla jazz.
È giusto che le idee siano capaci di lacerare anche il sentimento più profondo?
Scappato da casa, Arnaldo pensa al padre e s’interroga, «pover’uomo. Gli hanno sempre fatto solo credere e obbedire […] Spesso mi sono chiesto, da quando ho fatto la mia scelta, come mi comporterei se le circostanze della vita mi portassero a trovarmi di fronte a mio padre. Tutti e due armati, come spero presto di essere e come è lui, già da tempo. Armati, ma su fronti opposti. Lui per il collegio, io per la libertà. Gli sparerei? Lui mi sparerebbe? Già il fatto che io mi ponga questa domanda mi fa rabbrividire e piangere. Non succederà, ma se la vita mi riservasse questo scherzo?»
Il bombardamento del quartiere di San Lorenzo, dove abita la famiglia De Dominicis e che Veltroni ha ricostruito, nell’atmosfera di quelle ore frenetiche, con minuzia e con realismo attingendo a una vasta produzione letteraria e saggistica, impone dunque una scelta. Nei sei giorni che seguono all’attacco degli Alleati, ogni membro della famiglia De Dominicis sarà chiamato a fare i conti con una guerra ancora più subdola, che mette l’uno contro l’altro in un crescendo di odio e di lacerazione che non condurrebbe a nessun futuro possibile e auspicabile se non alla morte e alla distruzione, fuori e dentro casa. E se è vero che tutte le guerre vanno fermate prima di tutto con il dialogo, occorre che padri e figli ricomincino a parlarsi e a capirsi. Questa è la scelta da fare, oggi come ieri.
Ascenzo, nonostante tutto, nonostante la sua cieca fiducia nel Duce e nel Presidente, non riesce più a dormire: «Come posso dormire tranquillo, con i vetri oscurati, un figlio sciagurato che non so dove va girando e due donne a carico e di cui mi devo occupare?». O tuo figlio o il regime, è la scelta che gli impone Arnaldo mentre la moglie Maria passa le giornate a cercare cibo al mercato nero, ascolta e vede tutto, sa «sperimentare un altro metodo: ascoltare e convincere»; grazie a lei, ci dice Margherita, «la democrazia si è fatta strada, almeno in casa nostra, attraverso questa donna fragile e sottomessa che però, quando il “regime” è al lavoro in agenzia, sperimenta forme diverse per convincere noi di scelte che, in fondo, condividiamo con lei».
Nelle ore tremende che seguono al bombardamento, Ascenzo pensa alla scelta fatta dal figlio e non sa più dove si trovi la parte giusta della storia. «Ora le cose mi appaiono molto confuse, non ho più certezze. In alcuni momenti mi scopro a chiedermi se in fondo non abbia ragione lui. Ma è una domanda che smonta tutta la mia vita. Ormai, si sente nell’aria, da una parte ci sono i cittadini, dall’altra il regime».
Prima di dormire Margherita legge Piccole donne e la sua amica Elisa
«immagina di essere Peter Pan e di volare fuori dal suo appartamento in una di queste notti impaurite. Le sembra di poter vedere dietro i vetri delle finestre oscurate e si è convinta che, a parte gerarchi e imboscati, in ogni casa siano rimaste solo donne, ormai. Come se gli uomini siano stati risucchiati in un vortice misterioso, come il suo papà. Una società composta da donne sole. Tante donne solitarie, mute, dipendenti da decisioni assunte dai pochi uomini rimasti, le cui scelte avrebbero determinato il destino definitivo di quelle mogli, figlie, nonne che aspettavano».
«È giusto che le idee siano capaci di lacerare anche il sentimento più profondo, quello dell’amore tra padre e figlio?», ci chiede infine Margherita con La scelta, mentre abbraccia la mamma, la fa ballare in cucina mentre fuori c’è la guerra e le dice piano: «Facciamo come Bartleby lo scrivano. Diciamo a quei due, senza piangere: “Preferirei di no”».