Lo strano caso dell’ “autorizzata biografia non autorizzata” di Lady D.

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Redazione BookToBook
23 Nov 2020

Della quarta stagione Netflix di The Crown, in cui fa finalmente il suo ingresso il personaggio di Lady D, stanno parlando un po’ tutti.

E se è vero che i sovrani d’Inghilterra sembrano non averla gradita affatto, non è la prima volta che succede. Ben più clamore suscitò dentro e fuori Buckingham Palace la pubblicazione di Diana. La vera storia dalle sue parole, il libro scritto nel 1992 da Andrew Morton – all’epoca cronista della famiglia reale e tra i migliori giornalisti investigativi britannici – che BUR Rizzoli riporta in libreria proprio in questi giorni nell’edizione aggiornata dall’autore nel 2017, che include la trascrizione delle registrazioni di Diana tenute a lungo segrete.

«Facevo parte del circo mediatico che li seguiva fedelmente intorno al globo, per documentarne la vita e il lavoro. Come si diceva tra noi, membri del cosiddetto “royal ratpack”, era il massimo divertimento che si poteva raggiungere senza levarsi i vestiti».

Morton aveva già firmato alcuni libri sulla vita di palazzo e, dopo i Diana’s Diary, si era appena messo al lavoro a una biografia su Lady D.

«Credevo di avere un’idea abbastanza precisa di quanto accadeva dietro i cancelli in ferro battuto delle residenze reali. Eppure niente mi aveva preparato a ciò che avrei appreso».

Diana

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Il fiume di rivelazione di Lady D ad Andrew Morton

Già, perché fra tutti i membri di quell’allegro royal ratpack fu proprio Andrew Morton a venir scelto da Lady D come tramite per raccontare al mondo la verità sulla sua vita. Un fiume di rivelazioni sconcertanti che, di nascosto dal marito Carlo e dai reali, Diana registrò su nastri consegnati al giornalista attraverso ingegnosi sotterfugi da perfetta spy story e con la complicità di pochi e fidati amici. «Nemmeno i produttori di Hollywood avrebbero potuto concepire una trama tanto improbabile», scrive Morton:

«Una principessa bella ma disperata, uno scrittore sconosciuto, un intermediario improvvisato, e un libro che avrebbe cambiato per sempre la vita della principessa».

Diana. La vera storia dalle sue parole è «un’autorizzata biografia non autorizzata», come l’ha definita lo stesso Morton, che racconta la verità dietro la facciata fiabesca in cui tutto il mondo desiderava credere, e attorno cui ruotano i nuovi episodi di The Crown: la bulimia di cui iniziò a soffrire la principessa ad appena una settimana dal fidanzamento, i maldestri tentativi di suicidio per attirare l’attenzione di Carlo, i sospetti su Camilla Parker-Bowles che diventano certezza, la separazione, il disprezzo dei sovrani.

Le straordinarie vicende editoriali che ne precedettero la pubblicazione danno conto ancora oggi dell’importanza del volume, come suggeriscono le parole di Morton:

«È il testamento personale di una donna privata della sua voce e impossibilitata a scriverla di suo pugno».

«James Colthurst», tra i pochi amici fidati di Lady D, «si dimostrò l’agente ideale per intraprendere quella missione delicata e destinata a rivelarsi storica. Armato del mio elenco di domande e del suo registratore», racconta l’autore, «avrebbe inforcato la sua city bike e pedalato con perfetta disinvoltura lungo il viale d’accesso del palazzo. Nel maggio del 1991 registrò il primo dei sei colloqui che sarebbero proseguiti per tutta l’estate e l’autunno di quell’anno, e che avrebbero cambiato per sempre l’immagine della principessa e della famiglia reale».

Quello su Lady D è stato uno dei libri più censurati degli anni ’90

Ciò che emerge da queste pagine è la testimonianza di una donna non soltanto prigioniera di un matrimonio infelice, ma «incatenata a un’immagine pubblica profondamente fasulla del suo ruolo nella famiglia reale e a un indifferente sistema di palazzo, governato, per dirla con le sue parole, da “uomini in grisaglia”. Si sentiva impotente come donna e come essere umano. Veniva trattata con benevola condiscendenza, come un bel soprammobile accessorio di un marito intraprendente».

Foto: Netflix/Hulton Archive/GettyImages

La stessa donna che, ricorda il giornalista, «nel 1987 aveva fatto più di chiunque al mondo per cancellare il marchio d’infamia che veniva associato al virus dell’Aids, stringendo la mano di un malato terminale nell’ospedale Middlesex di Londra. Lei stessa non sapeva esprimerlo fino in fondo, ma aveva una visione umanitaria di sé che trascendeva il banale circuito di doveri rituali della corona».

Ripercorrendo in quasi quattrocento pagine l’intera parabola di vita di Diana Spencer, dall’infanzia fino al tragico incidente mortale nella notte del 31 agosto 1997, dalla maternità trascorsa nell’indifferenza del principe Carlo fino all’impegno degli ultimi anni per le più importanti cause umanitarie, il libro di Andrew Morton rende omaggio a una donna che, nonostante l’ostilità della famiglia reale, i tradimenti del marito e gli innumerevoli tentativi di screditarla da parte dell’establishment, ebbe la forza, la «luminosa personalità» e la determinazione per stare «dalla parte dei malati, dei sofferenti e degli oppressi», come ebbe a dire Henry Kissinger nel dicembre del 1996 a New York, consegnandole il premio Umanitario dell’Anno.

Diana

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Oggi che la verità delle sue vicissitudini è dimostrata dal duraturo matrimonio tra Carlo e Camilla, «è difficile spiegare lo shock, il disgusto e lo sbalordimento che accolse quella prima pubblicazione», scrive Morton. «Le critiche furono severe e implacabili».

Benché molte librerie inglesi si rifiutarono di vendere il libro, “il titolo britannico più censurato degli anni Novanta” arrivò in breve tempo a toccare il cuore dell’opinione pubblica. «Forse la gente capisce più di quanto si creda», commentò la principessa nei nastri destinati a Morton, «oppure là fuori sono molte le donne che hanno sofferto come me, anche se in un ambiente diverso, e che non sanno difendersi perché la loro autostima è stata distrutta».

Come testimonia l’autore, «migliaia di donne, anche americane, dichiararono che nel leggere la storia della sua vita avevano scoperto qualcosa della propria. Arrivò una valanga di lettere, molte delle quali da persone affette da disturbi alimentari e che fino a quel momento si erano rassegnate a soffrire in silenzio. Uno degli esempi che trovai più toccante fu la lettera di una giovane bulimica di Perth, nell’Australia occidentale. Era semianalfabeta, ma aveva giurato a se stessa di mettersi a studiare: il coraggio di Diana l’aveva ispirata a migliorarsi».

«Penso che alla fine sia stata la bulimia a scuotermi», dice Diana ripercorrendo i giorni più terribili. «Ricordo la prima volta che mi procurai il vomito. Ne fui eccitatissima, credevo che fosse la tensione che si allentava». La sera prima della cerimonia nuziale «mangiai tutto quello che mi riuscì di trovare […] stetti male come un cane. Un segno di quello che sarebbe accaduto poi […] Pensavo di essere la ragazza più fortunata del mondo. Be’, mi sbagliavo».

Il 3 dicembre del 1993, durante un pranzo in favore della Headway National Head Injuries Association, la principessa annunciò il suo ritiro dalla vita pubblica. Mentre chiac­chierava con l’attore Jeremy Irons, lui le disse: «Ho smesso di recitare per un anno». Diana sorrise e replicò: «Anch’io».

Oggi che sappiamo la verità su Lady D e sui reali rapporti di forza che ne influenzarono la vita e le scelte, sarebbe ingiusto non tributare altrettanto rispetto e attenzione all’altra, indiscutibilmente maestosa, figura femminile di tutta questa storia: Elisabetta II.

Lilibet e Lady D, la regina e la principessa, la sovrana saldamente al trono da sessantotto anni e la principessa morta tragicamente a soli trentasette anni.

Due donne legate da un indissolubile destino, inscalfibili nel loro immutato fascino in terra e in cielo.

Se in Diana. La vera storia dalle sue parole Andrew Morton ha raccolto le rivelazioni su una vita di corte nient’affatto fiabesca, Sally Bedell Smith, giornalista americana e autrice di biografie prestigiose, in Elizabeth the Queen. La vita di una regina, ripercorre la storia della più longeva sovrana d’Inghilterra.

«Volevo sapere quali elementi del suo carattere, della sua personalità, della sua educazione le hanno permesso di sostenere un ruolo tanto eccezionale», spiega Bedell Smith.

«Chi è, come trascorre le giornate? Come ha imparato a confrontarsi con i politici e i capi di Stato, con i minatori e i professori?».

L’idea che, a partire dalla metà del XIX secolo fino ai primi decenni del XXI, «ossia per centoventitré anni negli ultimi centosettantaquattro, la monarchia sia stata dominata da due donne formidabili, la regina Vittoria e la regina Elisabetta II, mi affascinava molto».

Nel libro, edito in Italia da Fabbri Editori, Sally Bedell Smith ricostruisce per intero la biografia della regina scoprendone per la prima volta il lato più intimo, gelosamente custodito da una donna che in quasi settant’anni di vita sotto i riflettori non ha mai rilasciato una sola intervista. Dalle lettere private della regina e dalle conversazioni con le persone a lei più vicine fino ai viaggi nei luoghi in cui Sua Maestà ha vissuto e tuttora trascorre il suo tempo, Elizabeth the Queen è un resoconto onesto, che fa luce su una donna tanto ammirata quanto sconosciuta.

Elizabeth the Queen

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«Helen Mirren, mentre studiava per il suo ruolo nel film The Queen, uscito nel 2006, guardò diverse volte una sequenza di venti secondi, che considerava molto significativa. “Nel video la regina ha undici o dodici anni” racconta Mirren, “ed esce da una di quelle grandi macchine nere. Ad attenderla ci sono uomini imponenti, e lei porge la mano con uno sguardo serio e coscienzioso. Sta facendo ciò che ritiene di dover fare, e lo fa in modo meraviglioso”».

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