C’era una volta un pezzo di legno che si trasformò non in una gamba di tavolino ma in uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale, tra i libri più letti al mondo, forse anche più della Bibbia. «Una storia così strana da non potersi quasi credere», come dice Geppetto accingendosi a raccontare Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, il capolavoro di Carlo Collodi che Bur riporta in libreria nella splendida collana Deluxe e con le illustrazioni di Roland Topor, illustratore, drammaturgo, attore e scrittore francese al quale, nel 1972 a trentaquattro anni, tra gli artisti e disegnatori più bravi in circolazione invitato alla Biennale di Venezia, lo scrittore, poeta e giornalista Giorgio Soavi gli commissiona le tavole per il primo volume delle celebri edizioni Strenne Olivetti.
Dal 1881, anno in cui furono pubblicate su rivista le prime otto puntate, a oggi Pinocchio continua a essere considerata un’opera straordinaria, un romanzo senza tempo, una figura eterna la cui «potenza mitologica – un essere vivo e mobile sorto da un inerte pezzo di legno – gli ha permesso di affermarsi molto velocemente nell’immaginario mondiale», scrive nell’introduzione il professor Giancarlo Alfano, docente di Letteratura italiana che ha curato questa nuova edizione Bur Deluxe.
Così è che quel burattino che nelle mani di Geppetto non ha ancora una bocca ma già parla e ride, è a tutt’oggi «un’opera d’arte con le sembianze di un burattino, un filosofo di legno, che come tutti gli artisti deve dire le bugie per far credere agli altri che quello che fa è una cosa seria», avverte nella prefazione il critico d’arte Francesco Bonami. «Carlo Collodi e il suo personaggio sono ancora oggi veri e propri artisti concettuali e surreali. La loro grandezza sta nell’essere riusciti a nascondere la propria contemporaneità dentro una storia solo apparentemente semplice».
Nato a Firenze nel 1826, Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini) fu giornalista e scrittore, patriota e combattente che, con le sue opere, seppe rivoluzionare la letteratura per ragazzi italiana e internazionale. Oggi sappiamo bene che Pinocchio non è soltanto una storia per bambini. «Collodi ha scritto il suo libro, mimetizzando in un’apparente leggerezza narrativa e di stile la profonda angoscia della realtà contemporanea», riflette Bonami.
«L’aver fatto credere che Pinocchio sia una storia per bambini fa sentire ancora oggi il lettore adulto al sicuro e protetto dai traumi che si susseguono nel racconto. L’adulto, a differenza del bambino, non deve convincersi che quello che sta leggendo è una favola e non la realtà; così in questa illusione di star leggendo una storiella e non un dramma semi umano, il “grande” evita d’immedesimarsi nell’angoscia che pervade le avventure del nostro burattino e del suo povero babbo. Il libro, più che essere una sfida fra verità e bugia (di bugie Pinocchio poi alla fine non ne dice tantissime), è basato sull’incredulità dei personaggi davanti ai mille ostacoli inventati dal destino.»
Cresce insomma in quest’atmosfera un po’ cupa un po’ dark e misteriosa l’aspettativa del pubblico italiano per uno degli appuntamenti più attesi di questo Natale: il Pinocchio di Guillermo del Toro, film d’animazione che sarà nelle sale italiane il 4 dicembre e su Netflix dal 9 dicembre. Il regista messicano (suo il film La forma dell’acqua, premio Oscar per miglior film e miglior regia e Leone d’oro alla 74esima Mostra internazionale d’are cinematografica di Venezia) reinterpreta le avventure del “bambino di legno con l’anima in prestito” in una pellicola che, senz’altro, si differenzierà dalle innumerevoli reinterpretazioni dell’opera di Collodi che costellano da più di un secolo la storia dell’arte, della letteratura e della cinematografia, e che ha già destato infinita curiosità anche solo per il fatto di essere stata realizzata con la tecnica d’animazione in stop motion. Del Toro è stato difatti affiancato alla regia da Mark Gustafson, animatore noto per aver collaborato al film Fantastic Mr. Fox, ispirato al romanzo di Roart Dahal Furbo, il signor Volpe , prima pellicola d’animazione diretta dal regista Wes Anderson. A ispirare le figure in stop motion messe in scena dal regista messicano sono stati invece i disegni dell’artista americano Gris Gimly, noto illustratore dallo humour a tinte macabre, autore di numerosi libri per bambini e ragazzi tra cui appunto Pinocchio all’inizio degli anni Duemila.
Con la colonna sonora del pluripremiato compositore francese Alexandre Desplat e un doppiaggio che, nella versione originale, vanta un cast di voci stellare tra le quali, per citarne soltanto alcune, quelle di Tidla Swinton, Cate Blanchett, Ewan McGregor, Gregory mann, John Turturro, Christoph Waltz, David Bradley, del Toro sceglie il grillo parlante come voce narrante del suo Pinocchio alla ricerca di un posto nel mondo, che viene catapultato all’epoca del fascismo in Italia.
«Mi hanno sempre intrigato le connessioni tra Pinocchio e Frankenstein», ha detto Guillermo del Toro ad Anthony Breznican, che lo ha intervistato per Vanity Fair. «Entrambi hanno a che fare con un bambino che viene gettato nel mondo. Entrambi sono messi al mondo da un padre che poi pretende dal figlio che sappia capire da solo che cosa sono il bene e il male, l’etica, la morale, l’amore e le cose che contano nella vita. Per me, così è stata la mia infanzia.»
Come spiega al giornalista, del Toro ha concepito questo come un film per le famiglie. «Viviamo un tempo in cui ai bambini viene imposto un livello di complessità tremendo. Molto più scoraggiante, credo, di quando ero piccolo io. I bambini hanno bisogno di risposte e di rassicurazioni», fa notare il regista, che rimarca come il film sia rivolto sia ai bambini sia agli adulti, spiegando che «affronta temi molto profondi su ciò che ci rende umani».
Ambientato in Italia tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, durante l’ascesa del fascismo, il Pinocchio di del Toro si muove «in un ambiente in cui i cittadini si comportano con obbedienza, fedeli quasi quanto un burattino». Non è un caso perché, a proposito dell’opera di Carlo Collodi, Guillermo del Toro non nasconde le perplessità nella sua rilettura critica del testo originale: «Più di una volta ho avuto l’impressione che il racconto fosse a favore dell’obbedienza e dell’addomesticamento dell’anima» ma, aggiunge, «l’obbedienza cieca non è una virtù. La virtù di Pinocchio è quella di disobbedire. In un tempo in cui tutti gli altri si comportano come burattini, lui non lo fa. Questo è ciò che io trovo interessante. Non voglio raccontare la stessa storia. Voglio raccontarla a modo mio e nel modo in cui io vedo il mondo».