Le migliori frasi da “La scuola cattolica” di Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega 2016
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Redazione BookToBook
14 Lug 2016
«M’ero preparato il discorsetto come all’Oscar — ha detto Edoardo Albinati dal palco — ma mi considero solo il redattore di questo libro, ringrazio chi mi ha dato l’idea di scriverlo, chi l’ha riletto e l’editore Rizzoli che ha deciso di pubblicarlo quando pensavo di smettere. Da tre giorni a questa parte — ha aggiunto commosso — penso che tutta questa gioia e questa fatica vada dedicata a Valentino Zeichen, una persona cara e nobile». Corriere della Sera
È grande l’emozione di Edoardo Albinati nel ricevere il Premio Strega 2016: con 143 voti si è aggiudicato la settantesima edizione. «Quanti anni ha lavorato al libro», gli chiedono su Repubblica. «Più di nove anni», risponde Albinati, «Nove anni per chiedermi: come faccio a venire a capo di un male che mi appartiene?». Dice anche: «Mi sembra che il modello maschile sia oggi in crisi più che mai. Se è infatti vero che abbiamo superato il prototipo di virilità del passato, è anche vero che non è stato sostituito da nulla. Mentre il modello femminile si è aggiornato. Gli uomini hanno un bisogno di tenerezza profondissimo, ma non possono esprimerlo liberamente. Hanno paura che venga scambiato per omosessualità. Ma proprio quel desiderio frustrato alla fine si rivolge in modo brutale contro le donne ».
La scuola cattolica è un romanzo per «lettori estremi», come dice lo stesso autore. Ma stai certo che le 1300 pagine (per la precisione 1296) non ti basteranno. Per questo trovi a tua disposizione la versione integrale dell’Ultimo quaderno di Cosmo, che costituisce la Parte Nona del romanzo. È da questa che abbiamo selezionato alcune delle frasi più belle: pronto a cominciare la lettura?
Le frasi più belle dell’Ultimo quaderno di Cosmo, da La scuola cattolica, di Edoardo Albinati
Può esservi una rigenerazione che non passi attraverso la violenza? Come può rinascere qualcosa che non sia prima disgregato? Si può passare da un ordine a un altro senza che vi sia un intervallo di caos? Chi indica la salvezza la intravede oltre una barriera di fiamme. Più alte si levano, prima bruceremo, prima saremo risanati. Occorre che il campo bruci perché sia fertilizzato. L’unica salvezza dal disastro è un disastro ancora più grande.
Laddove c’è giustizia c’è lotta, laddove c’è lotta c’è speranza di giustizia. Ma questa speranza si fonda sulla possibilità di distruggere ciò che è ingiusto, colui che è ingiusto. La giustizia dunque non è altro che contrapposizione e lotta.
Nell’estremismo convivono tipi umani molto diversi: il fiammeggiante e l’analitico, il retorico appassionato e il taciturno. Intendiamoci, tutti questi tipi al momento giusto sanno scatenare il grado di violenza necessario, eppure i più spietati risultano senz’altro quelli che in apparenza erano pacati, dotati di spirito razionale, come se l’uso della logica non impedisse anzi incoraggiasse l’incamminarsi sui sentieri tetri della disumanità.
La figura narrativa ideale per intrecciare i fili di storie diverse e contraddittorie, unificandole, è il rinnegato.
Due modalità canoniche degli intellettuali italiani di rapportarsi al potere: omaggio o oltraggio, talvolta le due cose insieme, poiché l’oltraggio a una fazione politica funziona da omaggio a un’altra.
Ahi, questa fissa tutta letteraria della “meglio gioventù”, quel nucleo di speranze incontaminate e innocenza: tutti convinti che sia naturalmente la loro, la meglio, la più luminosa e coraggiosa – gli ideali alati, la “passione stupenda”…
Caratteristica dell’eroe non è certo la purezza, semmai l’impurità, connessa alla violenza che egli esercita e da cui è contaminato. Possono esistere cavalieri senza paura ma nessuno, proprio nessuno, senza macchia.
Ci sono storie deliranti nel raccontare le quali più uno esagera, più si avvicina alla verità. Normalmente meglio diffidare dell’enfasi. Chi ha da dire molto mente molto. Ma solo col delirio si può arrivare a comprendere il delirio, ad abbracciarlo, fosse anche per respingerlo da sé.
L’eroe è connesso alla morte, al mondo dei morti, letteralmente l’eroe è già un ricordo, una memoria, un sepolcro, un monumento. Senza morte, data o subita, non può esservi eroismo.
I giovani commettono violenza in strada, i non più giovani al chiuso, nei luoghi appartati, dove tramano, prevaricano, danno ordini che conducono alla vendetta. La violenza segreta non è meno perniciosa di quella plateale.