Lo schiaccianoci e le illustrazioni finlandesi di Sanna Annukka

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Redazione BookToBook
19 Dic 2018

Lo schiaccianoci e il re dei topi è il celeberrimo racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann pubblicato nel 1816 ed entrato a far parte, successivamente, della raccolta I confratelli di Serapione.

Alexandre Dumas padre realizzò una sua versione del racconto (Histoire d’un casse-noisette) e da questa il coreografo Marius Petipa trasse ispirazione per il balletto Lo Schiaccianoci, coreografato dal suo assistente Lev Ivanovič Ivanov e musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij. La prima rappresentazione, che ebbe luogo il 18 dicembre 1892 presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, fu diretta interamente dal compositore italiano Riccardo Drigo e coreografata dal ballerino russo Lev Ivanov.

Lo schiaccianoci è stato ripreso più volte dal cinema, dal teatro e dallo sport.

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Quella che raccontiamo qui è la pregiata edizione BUR deluxe impreziosita dalle originali, caleidoscopiche e coloratissime illustrazioni dell’artista e designer Sanna Annukka, che accompagnano il lettore tra animate battaglie e meravigliose peripezie.


Lo schiaccianoci – La vigilia di Natale


Per tutta la giornata del 24 dicembre, i figli dell’ufficiale sanitario dottor Stahlbaum avevano il divieto assoluto di entrare in soggiorno e meno che mai nel salone adiacente. Fritz e Marie se ne stavano in disparte in un angolino dello studiolo sul retro, stupiti e un po’ inquieti per il fatto che, nonostante stesse cominciando a imbrunire, nessuno fosse ancora venuto a portare un lume, come era consuetudine a quell’ora di sera.

Fritz rivelò a bassa voce alla sorellina (aveva da poco compiuto sette anni) di aver udito fin dal primo mattino strani fruscii, colpetti e rumori metallici provenire dal ripostiglio chiuso a chiave. E poco dopo aveva visto la sagoma scura di un omino sgattaiolare furtiva lungo il corridoio con una grossa cassa di legno sottobraccio. Ma lui aveva capito subito chi era: era il padrino Drosselmeier!

Marie batté felice le mani e gridò: «Chissà che belle cose ci avrà fatto stavolta!».

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Il consigliere d’Alta Corte di Giustizia Drosselmeier non si poteva definire certo un bell’uomo, piccolo e segaligno come era, con tutte quelle rughe che gli solcavano il viso, la benda nera sull’occhio destro e la testa pelata nascosta sotto una splendida parrucca di vetro filato; quella sì, un vero capolavoro.

E di capolavori, il padrino Drosselmeier, se ne intendeva parecchio. Lui stesso era un artista, un uomo di fervido ingegno e grande esperto di orologi, che spesso si dilettava perfino a costruire.

Così, quando uno dei preziosi orologi di casa Stahlbaum si ammalava e smetteva di cantare, arrivava subito il padrino Drosselmeier a curarlo; si toglieva la parrucca, la marsina gialla, si legava in vita un grembiule blu e cominciava a punzecchiare l’interno dell’orologio con i suoi strumenti appuntiti.

Questa cosa faceva molto impressione a Marie, ma l’orologio non sentiva alcun dolore e, anzi, dopo un po’ riprendeva a ticchettare, a battere le ore e a cantare più vispo e allegro di prima per la felicità di tutti quanti.

Ogni volta che veniva a far visita alla famiglia, il padrino Drosselmeier portava un piccolo regalo ai bambini. Dalla sua borsa poteva uscire un buffo pupazzetto che roteava gli occhi e faceva la riverenza, un minuscolo scrigno da cui saltava fuori un uccellino o un altro dei suoi meravigliosi marchingegni.

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Ma i doni che preparava per Natale, quelli erano vere opere d’arte, stupefacenti meccanismi che gli costavano lunghi mesi di lavoro e che, per questo motivo, una volta ammirati, venivano immediatamente presi in custodia dai genitori.

«Chissà cosa ci avrà regalato il padrino Drosselmeier!» non faceva che ripetere Marie.

Fritz non aveva alcun dubbio che questa volta dovesse trattarsi per forza di un castello, una roccaforte piena di soldati che marciavano avanti e indietro mentre facevano le esercitazioni. Poi c’erano anche quegli altri soldati, quelli che partivano all’assalto del castello ma venivano investiti dalle scariche di moschetto dei valorosi difensori, mentre i cannoni tuonavano e tutto era uno schianto e un boato e un fragore assordante…

«No, no! Niente affatto» lo interruppe Marie. «Il padrino Drosselmeier mi ha raccontato di un parco bellissimo e di un grande lago dove nuotano cigni meravigliosi con collari tutti d’oro. E mentre i cigni cantano melodie dolcissime, arriva una bambina che li chiama a riva e offre loro tanti bocconcini di marzapane.»

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«I cigni non mangiano il marzapane» tagliò corto Fritz. «E un parco intero non può farlo, il padrino Drosselmeier. Ma tanto, poi, con le sue cose non possiamo giocare. Ce le portano subito via. Molto meglio i regali di mamma e papà: quelli, almeno, possiamo tenerli e giocarci come ci pare e piace.» I bambini cominciarono allora a fare mille congetture su cosa avrebbero ricevuto dai loro genitori. Marie disse che la Signorina Trutchen (la sua bambola grande) era molto cambiata negli ultimi tempi: era sempre più maldestra e non faceva altro che cadere in avanti, cosa che le procurava bruttissime ammaccature sul viso. Per non parlare poi del vestito! Un disastro! E sgridarla… era solo fiato sprecato.

La mamma si era lasciata sfuggire un sorriso quando Marie aveva annunciato che le sarebbe piaciuto tanto un ombrellino da sole per Gertrude.

Fritz, invece, si era assicurato che il babbo avesse capito bene che alle sue scuderie reali mancava un sauro ardimentoso. I bambini sapevano perfettamente che, in quel preciso momento, i loro genitori stavano sistemando in salotto tutti i bei regali che avevano acquistato. Ma sapevano anche che il buon Gesù aveva illuminato quei doni con il suo sguardo limpido e giocoso di fanciullo, così che recassero una gioia unica a chi li riceveva, come fossero stati accarezzati da una mano benevola. Era stata Luise, la sorella maggiore, a suggerire questa cosa, mentre loro continuavano a parlottare fitto fitto, chiedendosi se mai avrebbero ricevuto i regali che tanto desideravano.

Luise aveva poi aggiunto che era Gesù stesso a scegliere i giocattoli – anche se erano i genitori a regalarli – perché lui sapeva bene cosa poteva rendere felice un bambino; lo sapeva meglio dei bambini stessi e dunque – loro – dovevano smetterla di star lì a sperare ed esprimere tutti quei desideri invece di aspettare zitti e buoni di vedere cosa sarebbe arrivato. La piccola Marie si fece seria e pensosa, ma Fritz non si arrese. «A me, però, un sauro e qualche ussaro servirebbero davvero.»

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Ormai si era fatto buio e Fritz e Marie, vicini l’uno all’altra, non osavano più proferire parola. Avevano la sensazione di essere avvolti dal fruscio leggero di ali invisibili, mentre da lontano sembrava giungere una musica celestiale. Quando un raggio di luce lambì la parete della stanza, non ebbero più dubbi: era Gesù Bambino che su una nuvola sfavillante andava a far visita ad altri piccoli fortunati. In quel preciso istante si udì il suono argentino di una campanella dlin dlin dlin e la porta del salone si spalancò.

La luce che inondò la stanza era così forte, che i bambini non riuscirono a trattenere un grido – «Oh! Oh!» – e rimasero immobili sulla soglia, come storditi. «Venite! Venite piccoli cari!» dissero la mamma e il papà prendendoli per mano. «Guardate che bei doni vi ha portato il buon Gesù!»

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