La straordinaria (e ribelle) vita di Madonna
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Redazione BookToBook
21 Nov 2023
Certe vite straordinarie non smetteranno mai di affascinare e quella di Madonna è senz’altro fra queste.
A 65 anni d’età compiuti lo scorso agosto, quaranta dei quali trascorsi sui palcoscenici di tutto il mondo, la regina del pop è ancora sotto i riflettori in un tour non a caso denominato “Celebration”, che si è aperto a Londra a ottobre e che la porterà a Milano il 23 e il 25 novembre, due date attesissime, inutile dirlo, anche dai fan italiani.
Considerarla soltanto un’icona pop sarebbe ovviamente riduttivo, come ben sanno i suoi follower che la seguono da quando, nel 1982, uscì il suo primo singolo, “Everybody”, e come ben sa Mary Gabriel. Editor della Reuters per quasi vent’anni e autrice di diversi saggi culturali e biografie dedicate a figure femminili rivoluzionarie con i quali è stata finalista del Premio Pulitzer, del National Book Award e del National Book Critics Circle Award, Mary Gabriel ha da poco consegnato alle stampe Madonna. Una vita ribelle, una monumentale biografia edita in Italia da Rizzoli Lizard frutto di oltre cinque anni di lavoro.
Madonna ha cambiato la storia culturale e sociale
«Non si tratta soltanto di un’icona dell’entertainment, ma di un’artista che ha cambiato la storia della cultura e della società a livello globale», spiega Mary Gabriel nelle prime pagine della biografia di Madonna. «Per raccontare la sua storia, ho dovuto raccontare anche la nostra a cavallo tra due secoli, durante i quali lei ha influenzato il mondo che la circonda venendone a sua volta influenzata». E difatti Madonna. Una vita ribelle, oltre mille pagine suddivise in sei decenni – dal 1958, anno di nascita di Madonna Louise Ciccone, fino al 2020 – è un viaggio a ritroso dal di dentro della scena artistica mondiale, musicale e culturale, avvincente e coinvolgente come un romanzo per come è raccontata la vita della protagonista, «the eternally relevant pop star», l’ha definita il “New York Times”, che consiglia Madonna. Una vita ribelle tra i libri da leggere a novembre.
Tanto amata e venerata per la sua autodeterminazione nell’affermarsi come donna e come artista in un ambiente ancora fortemente maschilista quale era quello del suo esordio negli anni Ottanta, per il coraggio e per la sfrontatezza nel rompere gli schemi di genere e nel dettare nuove mode rivendicando una libertà d’espressione invisa ai benpensanti e ai bigotti, quanto appunto denigrata e contestata per l’anticonformismo con cui ha infranto tabù sessuali e convenzioni sociali e contestato fondamentalismi religiosi d’ogni sorta, Madonna, l’artista di sesso femminile di maggior successo di tutti i tempi, in tutti questi anni ha detto e fatto ciò che uomini e donne di ogni etnia e di ogni orientamento sessuale non avevano mai osato prima. Ha dimostrato di essere riuscita a «sfidare la gravità del pop», e non solo in termini commerciali o sotto il profilo artistico, avendo fin dall’inizio, come scrive Mary Gabriel, «trasformato il tradizionale concerto pop-rock in una esperienza teatrale su vasta scala, innalzato il video musicale dal rango di mero strumento di vendita a forma d’arte e messo una donna – lei stessa – nella posizione di poter controllare la propria musica, dalla creazione allo sviluppo e alla distribuzione».
Nel prologo, Mary Gabriel racconta un fatto che offre subito la misura della forza di Madonna e dell’impatto delle sue scelte sul mondo. Siamo a Londra, è il 28 novembre 2000 e Madonna sta per esibirsi alla Brixton Academy, una sala troppo piccola per accogliere la folla di fan assiepati all’esterno. Madonna contatta il network britannico di Microsoft, MSN.co.uk, proponendogli «un’idea innovativa», racconta Gabriel: «organizzare un webcast del suo concerto. La risposta fu affermativa e, poco dopo, la società lanciò quella che sarebbe stata la sua prima performance dal vivo diffusa gratuitamente online. Lo show di Brixton di Madonna venne trasmesso in streaming su enormi schermi all’aperto in sei diverse città, tra cui New York e Parigi, oltre che su nove milioni di computer domestici, permettendo a gente di trentatré Paesi diversi di unirsi alla festa». MSN lo considerò il più ambizioso evento web della storia, e nel 2018 il Guinness World Record lo definì il più grande concerto pop su internet di tutti i tempi.
Madonna, l’icona anticonformista che ha sfidato il sistema
Le sue più grandi conquiste, secondo Gabriel, sono state sociali.
Nei primi anni Ottanta, quando Madonna si impose sulla scena musicale internazionale, «nelle case discografiche, nelle stazioni radio e sui palcoscenici il panorama pop e rock era dominato da uomini bianchi che», scrive l’autrice, «puntavano a una sola fascia demografica: uomini e ragazzi bianchi. L’industria era concepita per soddisfare i loro bisogni. Il rock celebrava l’amore eterosessuale e, di solito, dal punto di vista maschile. Nel business musicale ci si aspettava che le donne fossero sexy, ma non che esprimessero appieno la loro sessualità e la loro natura femminile, allo scopo di titillare un pubblico che era stato abituato a guardarle, ma non ad ascoltarle. Se volevano, le donne potevano giocare a fare le rocker, ma nel farlo dovevano ancheggiare un po’ a beneficio dei ragazzi, e magari anche ingraziarsi i boss delle case discografiche facendo loro qualche favore privato». Tant’è vero che, molti anni più tardi, Madonna rivelò le violenze e i tentativi di abuso sessuale subiti, come riporta Gabriel nei capitoli dedicati ai primi anni vissuti a New York, dove Madonna sbarcò nel 1978, a diciannove anni, quando «tutto ciò che desideravo era incidere una canzone che venisse suonata alla radio». Sono pagine, queste, tra le più esplicative del libro nel comprendere la figura di Madonna.
«Ero l’artista a inizio carriera che supplicava aiuto. Andavo da chi gestiva le etichette e dai dj più influenti chiedendo: “Potete darmi una mano? Potete dare un ascolto a questa canzone? Potete scritturarmi nella vostra casa discografica?”. Molti rispondevano: “Certo, se farai questo”, e di solito si trattava di favori sessuali». Faceva parte del gioco. «Tutti hanno sentito parlare del “divano del produttore” in campo cinematografico», racconta un dirigente discografico, «ma la gente probabilmente non ha idea del fatto che nel music business le molestie sessuali sono cinque volte peggio.»
Madonna ha sfidato il sistema e i fan sanno che la sua storia rimbomba come la favola di una ragazza della classe media americana senza agganci e conoscenze che a New York si mette a lavorare duramente per realizzare il proprio sogno di donna libera e di artista formata e determinata ad avere successo. Diventa amica di Andy Warhol, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat, frequenta locali e ambienti dove la discriminazione non ha luogo e le diversità di genere, razza e sesso sono accolte, difese e celebrate. Fu tra le prime star a prendere posizione quando scoppiò l’emergenza Aids, «usò il megafono messole a disposizione dalla sua celebrità e dalle ricchezze personali per cercare di rimuovere il marchio di infamia e la paura che circondavano la malattia, e che coinvolgevano non solo chi ne era stato contagiato, ma tutti i maschi omosessuali».
Si è scagliata contro i talebani, il regime di Putin e il Vaticano, contro il sessismo, la misoginia, il razzismo, l’omofobia. Nel 1994, Norman Mailer, «il leone della scuola maschilista del nuovo giornalismo», scrive Mary Gabriel, intervistò Madonna «dopo che aveva affrontato un periodo particolarmente difficile in seguito a una disastrosa apparizione al Late Show with David Letterman e arrivò a due conclusioni. La prima, non pubblicata, descriveva Madonna con ammirazione, come una ‘minuscola cafoncella italiana il cui cuore è costruito con le palle di ghisa ereditate da un centinaio di antenati contadini’. La sua dichiarazione pubblica apparve poco dopo su “Esquire”. Lì, Mailer la definì ‘la nostra più grande artista vivente di sesso femminile’».
Le origini di Madonna
Proprio quelle origini da “cafoncella italiana” saranno la linfa, l’humus, il substrato in cui Madonna Louise diverrà la donna che è.
Il quartiere di Herrington Hills, a Pontiac, dove abitava la famiglia, racconta Gabriel nei primi coinvolgenti capitoli, era popolato da «uomini e donne indaffarati a ricostruire la società dopo la Seconda guerra mondiale. I loro valori erano quelli del sogno americano: fede, famiglia, patria. Ciò che rendeva unica Pontiac era il fatto che i suoi abitanti appartenevano a razze ed etnie diverse, tutti reclutati nei decenni precedenti e convinti a trasferirsi a Nord, nel Michigan, per lavorare nell’industria automobilistica che stava allora esplodendo. Afroamericani, messicani, europei dell’Est, italiani, irlandesi: ciascuno in arrivo da qualunque parte degli Stati Uniti o dall’estero e desideroso di un lavoro sindacalizzato e di un futuro stabile».
Fra chi arrivò a Pontiac nel 1955 c’erano anche Silvio “Tony” Ciccone, il più giovane di sei ragazzi nati da immigrati italiani provenienti dall’Abruzzo, e sua moglie Madonna Fortin, ventidue anni, proveniente da una famiglia di otto figli di ceppo franco-canadese. A ventotto anni, incinta del suo sesto figlio, scoprì di avere un tumore al seno. Nel 1962, dopo avere dato alla luce un’altra figlia, Madonna Fortin muore lasciando il marito trentaduenne con sei bambini di età inferiore agli otto anni, l’ultima ancora in fasce. «È stata malata a lungo», ha ricordato Madonna anni dopo, «e non si è mai concessa alcuna forma di autocommiserazione. Credo che non si sia mai permessa di crogiolarsi nella tragedia della sua situazione. Da questo punto di vista, penso mi abbia dato una lezione straordinaria».
Nel libro il fratello maggiore Martin racconta che Madonna «assunse una specie di ruolo materno per i fratelli più giovani a mano a mano che crescevano, nutrendoli, vestendoli, preparandoli per andare a scuola. Prendeva sul serio quel compito al fine di compiacere Tony, perché era terrorizzata dalla possibilità di perdere anche lui». Un padre che, racconta l’altro fratello, Christopher, a Mary Gabriel, che lo ha intervistato a lungo aiutandola «a comprendere meglio i primi quattro decenni della sua vita», fu risoluto nel «far conoscere ai figli culture diverse dalla loro affinché non avessero pregiudizi o non si sentissero infastiditi da gente diversa», ricorda Christopher.
«Mio padre non mi ha mai cresciuta con l’intenzione di farmi sposare e di avere dei figli», ha detto Madonna, che ha sei figli, due biologici e quattro adottati dal Malawi. «Piuttosto, mi ha allevata in modo che avessi degli obiettivi, perché diventassi un avvocato o un medico e pensassi a studiare, a studiare, a studiare». Già dalle prime pagine di questa voluminosa biografia ti convinci di una cosa: il successo, quello vero e duraturo, di artisti a tutto tondo come Madonna – interprete, autrice di canzoni, produttrice, attrice, regista, autrice di libri per bambini – non arriva mai da solo, e mai per caso.
La scrittrice Soniah Kamal ha raccontato di aver conosciuto la musica di Madonna da bambina, quando viveva a Jeddah, in Arabia Saudita. Per lei Madonna rappresentava non soltanto una incontaminata e cruda liberazione sessuale, ma anche la speranza che le ragazze sexy non morissero necessariamente male, la speranza che potessero governare il mondo. «E lo fanno».
Movimenti come le femministe della terza ondata o come le riot grrrls, nate sul finire degli anni Sessanta, sono cresciute nel mondo creato da Madonna.
«Molte di loro avevano assistito ai suoi concerti», scrive Mary Gabriel, «avevano visto i suoi video, avevano comprato i suoi dischi e avevano assorbito le sue lezioni di vita. Anche se la contestavano o nutrivano dei sospetti verso di lei perché riscuoteva un grande successo commerciale, l’avevano vista e ascoltata ed erano diventate grandi sapendo che essere una ragazza, essere in una band ed essere una pop star non impediva di esprimere opinioni politiche anche radicali».
Nel 2008, a venticinque anni dal suo album di debutto, Madonna venne inclusa nella Rock & Roll Hall of Fame. Negli stessi mesi, sui giornali cominciarono a trapelare notizie sulla crisi del suo matrimonio con il regista Guy Ritchie. Più che altro, riporta Mary Gabriel, «si mormorava che Ritchie si fosse stancato dell’enorme popolarità della moglie, del suo concentrarsi sulla carriera e della presenza di consiglieri che, diceva, “si prostravano davanti all’altare di Madonna”. Si era anche stufato di sostenere le sue cause umanitarie. “All’inizio ho assecondato tutte quelle sue sciocchezze sul ‘volere guarire il mondo’», avrebbe dichiarato all’epoca. «Gli uomini fanno di tutto per compiacere le loro signore. Ma quando ha cominciato a prendersi un po’ troppo sul serio io ho iniziato a prenderla per il culo». Era Madonna l’artista, Madonna la provocatrice che gli impediva di essere felice. «Per quanto volesse compiacerlo, non c’era proprio possibilità che potesse diventare la persona di cui Guy aveva bisogno. Che smettesse di lavorare e di creare». Uno dei classici argomenti di discussione tra di loro, e chissà tra quante altre coppie nel mondo.
«Spesso mi chiedeva: “Perché lo devi rifare un’altra volta? Perché devi fare un altro disco? Perché devi andare in tour? Perché devi fare un film?”. Al che io rispondevo», ha detto Madonna in un’intervista dell’epoca: «Perché devo spiegare chi sono? Mi sembra un’osservazione molto sessista… Qualcuno chiede a Steven Spielberg perché fa ancora dei film? Non ha avuto abbastanza successo? Non ha fatto abbastanza soldi? Qualcuno è mai andato da Pablo Picasso a dirgli: “Ok, hai ottant’anni. Non hai dipinto abbastanza?”. No, sono stanca di quella domanda. Non la capisco. Smetterò di fare tutte le cose che faccio quando sarò io a non volerle più fare. Quando avrò esaurito le idee. Quando mi avrete ucciso. Chiaro?».