Come evitare di soccombere alla gioia di essere mamma
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Redazione BookToBook
25 Giu 2019
Cara mamma,
non giriamoci intorno: lo storytelling sulle gioie della mternità ha rotto le palle.
Il che non significa che i figli non siano un gioia, la cosa più bella del mondo e tante altre belle metafore che mandi a memoria da quando avevi più o meno 6 anni e mezzo.
Lo sa bene Gill Sims che non ha potuto esimersi dal cercare di dar vita al rimedio perfetto contro la massacrante routine di ogni genitore con Un gin tonic per la mamma e il sequel Quando la mamma si incazza.
Di cosa parla?
Di Ellen, che oggi compie trentanove anni. I buoni propositi per il suo immediato futuro comprendono “lezioni di yoga avanzato”, educati “club del libro” in cui è di rigore fermarsi al primo bicchiere di vino, e scambi di moine ai giardinetti sulle “ultime fantastiche vacanze estive”.
Ellen ha due bambini di sei e otto anni, Peter lo scoreggione e Jane la fustigatrice, e la sua ambizione è quella di diventare una scintillante mammina modello.
Ma l’obiettivo continua a sfuggirle, assomiglia di più a una “mission impossible” che deraglia al primo ostacolo.
Perché si sa, la vita in famiglia non è tutta rose e fiori, soprattutto quando ci si mettono anche il marito e i parenti a romperti le palle: Simon, che ha conosciuto all’università e poi sposato, ora è diventato un uomo noioso fissato con la sobrietà economica; la sua favolosa sorellina super intelligente Jessica è sempre lì a ricordarle quale madre-moglie-donna scombinata sia; la suocera snob la squadra schifata dall’alto in basso perché lavora e “oltretutto” con i computer.
Per fortuna ci sono gli amici: Hannah e Sam, una più depressa dell’altro dopo che entrambi i loro matrimoni sono tragicamente finiti.
E Charlie, spuntato fuori dal passato, che forse potrebbe regalare a Ellen quella ventata di freschezza di cui sembrerebbe proprio aver bisogno… Tra frustrazioni, sbronze scomposte e colossali figuracce, Un gin tonic per la mamma e Quando la mamma si incazza è la storia divertentissima della rocambolesca vita di una madre che non ha intenzione di soccombere alla maternità.
La routine della mamma: buoni propositi vs realtà
Ore 6: mi sveglio, faccio la doccia, indosso un outfit elegante e stiloso scelto la sera prima dal mio guardaroba capsule minimalista. Applico un trucco leggero ma sofisticato (come suggerisce Pinterest) completo di eyeliner con codina chic. Mi asciugo i capelli e li raccolgo in un “semplicissimo” chignon (sempre secondo i dettami di Pinterest), per un look moderno ma classico, con un tocco personale. Ora che sono perfetta do una rassettata alla casa per avere un ambiente piacevole pronto ad accoglierci a fine giornata.
Ore 5: mi sveglio per il fracasso di uno dei miei figli che galoppa giù per le scale. Lo inseguo barcollando e lo trovo ingobbito sul divano con la faccia incollata all’iPad. Intimo con un ringhio all’orribile mostriciattolo di tornare subito a letto.
Torno a letto strisciando e schiumando di rabbia.
Alla fine riesco a riaddormentarmi appena prima che suoni la sveglia.
Ore 6: pospongo di dieci minuti.
Ore 6.10: pospongo di altri dieci minuti.
Ore 7: sveglia dei miei adorabili pupetti e colazione fatta in casa, sana e nutriente. Acconsento entusiasta alla loro richiesta di preparare i pancake/waffle/uova strapazzate insieme a me e sorrido con amore materno di fronte ai loro faccini concentrati mentre creano i loro deliziosi pastrocchi. Nel frattempo avvio la slow cooker e il manicaretto per la cena è sistemato.
Ore 7.10: mi sveglio in preda al panico. Salto nella doccia. M’infilo i primi vestiti che mi capitano a tiro. Leggera crisi di nervi perché il mio culo è diventato gigantesco e le mutande non mi salgono oltre le ginocchia. Realizzo che nella fretta stavo cercando di entrare nelle mutande di Jane finite per sbaglio nel mio cassetto. Sospiro di sollievo: non avrò il sedere più
sodo o piccolo del mondo, ma sfido qualsiasi donna adulta a entrare in un paio di slip taglia otto anni. Mi metto a testa in giù e asciugo i capelli con il phon alla massima potenza.
Esamino sbigottita la risultante capigliatura stile scienziato pazzo e mi faccio la coda con un elastico di Hello Kitty.
Assumo l’aria di chi aveva tutta l’intenzione di mettersi un elastico di Hello Kitty come espressione della propria individualità: fallisco miseramente.
Ore 7.30: scendo al piano di sotto e urlo ai tesorucci di sganciarsi dagli infernali marchingegni elettronici e venire a fare colazione.
Ore 7.37: strappo di mano ai bambini gli infernali marchingegni elettronici, ululo che sono confiscati in eterno e strillo una volta di più che vengano a fare colazione. I bambini alzano lo sguardo, sorpresi: dei miei sette minuti in versione arpia pazzoide non hanno registrato nulla.
Ore 7.45: mando i miei due preziosi angioletti a lavarsi e vestirsi, attività ovviamente semplice e veloce da sbrigare, dato che ho preparato le uniformi già la sera prima.
Intanto ne approfitto per mettere rapidamente in lavastoviglie i piatti della colazione e togliere dal frigo i bento con i pranzi appetitosi e bilanciati per la scuola: tramezzini a forma di personaggi simpatici e un assortimento di frutta fresca di stagione tagliata in forme buffe.
Ore 7.40: lancio i Coco Pops ai bambini. Li separo quando si azzuffano per lo stupido giochino di plastica in regalo.
Rispondo a millemila domande insulse tipo «Chi vince tra uno scoiattolo vampiro del Borneo e un puma delle colline?», «I facoceri sono commestibili?». Grido «Non lo so, non lo so, dopo lo googlo, smettetela di giocare con il cibo e mangiate, per favore, su, datevi una mossa, quanto ci vuole a finire una scodella di Coco Pops?, no, per favore no, così si rovescia, ecco, appunto, complimenti, ve l’avevo detto che si rovesciava, no, LASCIATE STARE, pulisco io, su, SBRIGATEVI!».
Ore 8: spazzolo i capelli di Jane e le faccio una treccia alla francese, pettino Peter e nei dieci minuti rimasti leggo loro una bella favola. Cinque minuti di riordino finale. Scarpe, giacche e via.
Ore 8: mando i bambini a lavarsi e vestirsi. Ho preparato le uniformi la sera prima, ma li sento lamentarsi che non le trovano e non ci sono. Salgo le scale pestando i piedi e le indico, appoggiate sulle sedie sotto il loro naso, esattamente dove stanno ogni cavolo di mattina. Intanto cerco di preparare i pranzi al sacco e di sbattere nella slow cooker qualcosa che si spera mangeranno (spaghetti al ragù). Do da mangiare
al cane. Guardo il cane che si ingozza fino a strozzarsi, poi vomita. Pulisco il vomito del cane.
Ore 8.20: cerco di sbrogliare il nodo gordiano dei capelli di Jane. Spiego di nuovo che NON SO FARE LA TRECCIA ALLA FRANCESE e le faccio i codini. Ascolto Jane dirmi che sono una mamma da schifo, tutte le altre sanno fare le trecce alla francese e persino il papà di Tilly Barker le sa fare. Sopporto una lunga diatriba di Jane sulla sua vita rovinata e sulla completa inutilità della sua esistenza priva di trecce alla francese mentre inseguo Peter per tutta la casa nel tentativo di domare gli strani ciuffi che gli sono cresciuti in testa durante la notte; lui fugge urlando, neanche stessi cercando di usarlo come puntaspilli.
Ore 8.25: andiamo a scuola a piedi, magari canticchiando per darci la carica, con deviazione per il parco in modo che il cane possa farsi una bella corsa. Osservo i cari pargoletti che corrono e si rotolano tra le foglie autunnali insieme al mio adorabile cane. Un minuto di autocompiacimento: l’aria aperta e il movimento prima di scuola stimolano i loro teneri cervellini, preparandoli ad assorbire nozioni
come spugne.
Ore 8.35: comincio a urlare ai bambini di mettersi scarpe e giacca e prendere subito gli zainetti subito, subito, SUBITO!
Cerco di non schiumare quando mi guardano con espressione assente e negano l’esistenza di scarpe, giacche o zainetti. Un figlio mi informa di un modulo molto importante da compilare e riconsegnare oggi. Rovisto invano tra diversi mucchi di carta, lo trovo, cerco di ripescare da dietro il divano le cinque sterline da allegare al modulo firmato (nel portafoglio ho solo una banconota da venti).
Ore 8.47: usciamo finalmente di casa, mi fiondo a scuola coi bambini trascinandomi dietro il cane che cerca di pisciare su ogni lampione.
Ore 8.50: lascio i miei incantevoli figli nel cortile della scuola salutandoli con grandi effusioni, quindi marcio spedita verso casa con il cane. Lo sistemo nella cuccia ad attendere tranquillo la dogsitter che lo farà uscire a mezzogiorno e salto in auto, appena lavata e lucidata, diretta al lavoro.
Ore 8.57: mollo i bambini nel cortile della scuola, faccio un sorriso stentato alla preside-cerbero che se ne sta appostata davanti al cancello per giudicare i genitori fingendo di accoglierli. Blocco il cane che ha già alzato la zampa per pisciarle sui collant color carne. Mi precipito a casa borbottando delle scuse al povero cane, che non ha fatto una passeggiata decente.
Ore 9.07: lascio un biglietto per la dogsitter, chiedendole se le rimane tempo di tenerlo fuori cinque minuti in più, mi catapulto in macchina, mi domando cos’è questa puzza e mi dirigo al lavoro mentre cerco di truccarmi e contemporaneamente di convincermi che mettere il lucidalabbra mentre guido non è affatto pericoloso né illegale. Mi sforzo di non pensare alla casa che mi aspetta al rientro: una zona di guerra infernale.