Marie Curie, colei che ha rivoluzionato il mondo della fisica e della chimica

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Redazione BookToBook
05 Feb 2025

«Due volte premio Nobel». Basterebbero queste quattro parole a sintetizzare la straordinarietà della vita di Marie Curie, la scienziata che, prima donna a ricevere un Premio Nobel e unica persona a vincerne due in campi scientifici distinti, ha rivoluzionato il mondo della fisica e della chimica, lasciando un’impronta indelebile nella storia della scienza. La sua scoperta del radio e del polonio ha aperto nuove frontiere nella ricerca scientifica e ha ispirato generazioni di scienziate e di scienziati. Naturalmente, quelle quattro parole racchiudono in sé molto più della fama di una delle figure più incisive del ventesimo secolo, ed è per questo che Dava Sobel, giornalista americana specializzata in divulgazione scientifica, già autrice di libri di successo come Longitudine e La figlia di Galileo, le ha dedicato il suo nuovo saggio, Nel laboratorio di Marie Curie. Come la scoperta del radio ha illuminato la strada alle donne nella scienza, appena pubblicato in Italia da Rizzoli.

Nel laboratorio di Marie Curie

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Dava Sobel racconta un’icona: Marie Curie

Nella prefazione, dal suggestivo titolo “La formula per un’icona: Marie Curie (1867-1934)”, Sobel ci sprona subito ad andare a fondo, a scoprire perché, a quasi un secolo dalla sua morte, Marie Curie rimanga «l’unica scienziata donna che la maggior parte delle persone sa nominare». La giornalista ci presenta Curie come un’icona, appunto, che ha dovuto superare parecchi ostacoli prima di diventare una figura di riferimento nella scienza, e così il libro ci accompagna dettagliatamente lungo il suo percorso per nulla scontato dalla nativa Varsavia alla Sorbona di Parigi, unica via narrativa per comprendere appieno come sia arrivata a vincere due Premi Nobel. A partire dal primo duro ostacolo: nella Varsavia dove Marie Curie nacque nel 1867, «le donne erano escluse dagli studi universitari, per non parlare della carriera nella ricerca. Eppure», sottolinea Sobel, «lei è riuscita a incarnare pienamente quel ruolo. E lo fa tuttora».

Nell’intervista di Simona Siri per “La Stampa”, la giornalista americana, in Italia nei giorni scorsi, ha spiegato il motivo che l’ha spinta a scrivere questo libro su Marie Curie. Ospite a Milano al Civico Planetario e poi a Torino al Circolo dei lettori e all’Accademia delle Scienze, dove ha aperto con una sua lectio il ciclo di 16 conferenze pubbliche di astrofisiche e astrofisici di fama internazionale che si terranno nei prossimi mesi, Sobel spiega dalle colonne della “Stampa”:

«Il mio interesse per lei è nato quando ho saputo che nel suo laboratorio aveva assunto o fatto da mentore ad almeno 45 giovani donne, un numero che dice come sia stata un modello di ispirazione allora e come continui a esserlo ancora adesso. Incontro spesso giovani donne che dicono di guardare a Curie come a un modello e penso sia dovuto alla sua personalità, al fatto che non era vanagloriosa, ma anzi era grata di poter lavorare come scienziata, la considerava una fortuna da condividere».

Marie Curie ispirò moltissime giovani ricercatrici

E difatti Nel laboratorio di Marie Curie permette di allargare lo sguardo e di comprendere appieno l’impatto duraturo di Curie sia sulla comunità scientifica sia sulle giovani ricercatrici ispirate e motivate dal suo esempio, sebbene «sarebbe passato un secolo», scrive l’autrice nel libro, «prima che il termine “soffitto di vetro” si affermasse come metafora delle barriere invisibili che ostacolano l’avanzamento delle donne». In queste pagine, corredate di otto tavole di fotografie dell’epoca, testimoni del fatto che per decenni quello di Marie Curie è stato il solo volto femminile a comparire nei più importanti convegni scientifici internazionali, Dava Sobel non si limita a ripercorrere la biografia singola della scienziata; ne traccia un ritratto esaustivo e inedito inserendolo in una cornice più ampia, attraverso il racconto, che è poi il focus del saggio edito da Rizzoli, delle giovani donne scienziate che si formarono nel suo laboratorio, dedicando a ognuna di essa un capitolo.

Il premio Nobel per la Fisica, condiviso con il marito Pierre nel 1903, e il premio Nobel per la Chimica, assegnato a lei nel 1911, scrive Dava Sobel, «hanno sicuramente contribuito a rendere il suo nome immortale», ma c’è molto altro da sapere, perché anche quella delle ricercatrici che parteciparono ai progetti di ricerca di Marie Curie è una storia straordinaria ma sconosciuta ai più. Il punto è che Marie Curie non soltanto ha rivoluzionato la scienza con le sue scoperte, ma ha avuto un impatto significativo sulla vita delle donne che hanno lavorato con lei. Sobel racconta come Curie abbia formato e ispirato giovani scienziate di talento provenienti da tutta Europa e oltre, insegnando loro a credere nelle proprie capacità e a dedicarsi con determinazione alla carriera scientifica.

«Venivano da tutta la Francia e anche dall’estero, come lei stessa aveva fatto quando aveva lasciato il suo Paese per studiare alla Sorbona. Tra loro c’erano aspiranti chimiche e fisiche provenienti dall’Europa Orientale, dalla Scandinavia, dalla Russia, dalla Gran Bretagna e dal Canada. Mentre formava le sue allieve in laboratorio, mise in piedi anche una cooperativa di insegnamento per i figli e le figlie dei suoi amici, dove ogni settimana teneva una lezione di fisica con attività pratiche.»

Tra queste donne ci sono figure come Ellen Gleditsch, una delle prime donne a studiare la radioattività; Marguerite Perey, che nel 1939 scoprì l’elemento francio e che nel 1962, divenuta direttrice del laboratorio di chimica nucleare dell’Università di Strasburgo, ruppe la «tradizione immutabile» diventando la prima donna ammessa all’Académie des Sciences. «Un’onorificenza negata sia a Marie sia a Irène Curie apparteneva ora solo a lei», scrive Dava Sobel. E ovviamente Irène, la figlia maggiore di Marie e Pierre, vincitrice del premio Nobel per la Chimica nel 1935.

Nel laboratorio di Marie Curie è una storia di passioni

Il libro è anche una storia di passioni, a partire dal fecondo ambiente familiare in cui crebbe la piccola Marie e dalla grande storia d’amore di Marie per il marito Pierre, così come per il proprio lavoro e per il destino dell’umanità, che la vide impegnata al fronte durante la Prima guerra mondiale.

 

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Maria Salomea Sklodowska, conosciuta in tutto il mondo come Madame Curie, nacque il 7 novembre 1867. Era la più giovane di cinque figli e in famiglia veniva chiamata con vari nomignoli affettuosi come Mania, Manyusya e Anciupecio. Fin da piccola, mostrò una precoce intelligenza, imparando a leggere a soli quattro anni, tanto che i suoi fratelli maggiori si divertivano a inventare modi per distrarla.

Il suo interesse per la scienza fu stimolato dal padre, Wladislaw Sklodowski, uomo illuminato che insegnava matematica e fisica in un liceo maschile di Varsavia. In casa, Wladislaw teneva un barometro e altre apparecchiature scientifiche, trasmettendo ogni giorno ai suoi figli l’entusiasmo per la scienza. Inoltre, aveva una grande considerazione per la lingua e la letteratura, leggendo spesso ad alta voce libri in inglese, francese e tedesco, lingue che i bambini parlavano fluentemente. «Quando leggeva ad alta voce il sabato sera», racconta Sobel, «spesso sceglieva un libro in inglese, come David Copperfield di Charles Dickens, traducendo all’impronta il testo in polacco. Se la scelta ricadeva su un romanzo in francese o in tedesco, non era necessario che facesse da interprete, poiché i bambini parlavano diverse lingue straniere».

La vita di Marie Curie è stata segnata da numerosi successi e sfide. E non mancarono neppure gli scandali. Dopo la morte prematura del marito Pierre in un incidente stradale nel 1906, Marie prese il suo posto come docente di Fisica alla Sorbona e come direttrice del laboratorio Curie. Crebbe da sola due figlie brillanti, strinse un’amicizia speciale con Albert Einstein e altri luminari della fisica del Ventesimo secolo, e durante la Prima guerra mondiale andò al fronte come radiologa, pattugliando i campi di battaglia a bordo di vetture speciali dotate di apparecchiature a raggi X, soprannominate petites Curie.

«All’epoca del suo secondo Nobel, non solo era celebre ma aveva acquisito una pessima fama a causa di una scandalosa storia d’amore. Ci volle la Grande Guerra, che la vide partire per il fronte con un’unità radiologica mobile da lei progettata, per ristabilire la sua reputazione di eroina.»

Dopo che la Germania dichiarò guerra alla Francia nell’agosto del 1914, Marie Curie pensò che avrebbe potuto essere d’aiuto nella cura dei feriti. Le unità radiologiche mobili sarebbero state, secondo lei, la soluzione più ovvia. La sua prima auto da radiologia, una Renault, le fu regalata dalle donne della Croce rossa francese, l’Union des Femmes de France.

«Per la prima volta nella storia della guerra, sarebbe stato possibile vedere l’interno di un corpo ferito con i raggi X, per individuare i proiettili di piombo e i frammenti di bombe che vi si erano conficcati. I raggi X, entrati nella diagnosi medica quasi subito dopo la loro scoperta da parte del fisico Wilhelm Röntgen nel 1895, erano ora impiegati nella maggior parte dei principali ospedali e anche in alcune cliniche private. Ma per soddisfare la domanda incombente sarebbero state necessarie molte più macchine a raggi X, insieme a professionisti qualificati per farle funzionare.»

Un libro imperdibile, dunque, per chiunque sia appassionato di scienza così come di storia. Negli anni Venti del Novecento Marie Curie fece due visite trionfali in America e «ben prima della sua morte, avvenuta nel 1934», ci racconta Sobel, «preparò la figlia maggiore a succederle come direttrice del laboratorio».

Nel laboratorio di Marie Curie è un libro che non solo celebra la vita e le scoperte di una delle più grandi scienziate della storia ma, attraverso il racconto del suo ruolo di mentore, ribadisce la forza di un modello ancora oggi valido e d’esempio per le future generazioni. «Attratte, come la stessa Marie, dal mistero della radioattività e incuranti dei suoi pericoli, si unirono alle scoperte, testarono il potere delle radiazioni per curare le malattie ed esplorarono il mondo inaspettato all’interno dell’atomo come fonte di energia illimitata. In diverse tornarono nei loro Paesi d’origine per diventare le prime professoresse o le prime docenti universitarie a insegnare la nuova scienza della radioattività». Con questo spirito, ci suggerisce Dava Sobel nelle ultime pagine di questo libro a suo modo avventuroso, Marie Curie continua a svolgere un ruolo ancora oggi, simbolo e icona di una vita vissuta senza mai smettere di credere nel valore della ricerca scientifica, nella propria e nell’altrui vocazione.

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