«Nel 1979 c’è stata una rivoluzione che poi hanno chiamato “la rivoluzione islamica”. Poi venne il 1980: il primo anno in cui nelle scuole il foulard diventò obbligatorio. Ma a noi non piaceva molto portare il foulard, soprattutto perché non ne capivamo il motivo.»
Sono le parole che si leggono nelle prime pagine di Persepolis, la graphic novel che fece conoscere al mondo Marjane Satrapi e la sua testimonianza di bambina cresciuta in Iran. Nata a Rasht nel 1969 e vissuta a Teheran, a quattordici anni Marjane Satrapi fugge dal paese e dal regime dittatoriale degli ayatollah. Si trasferisce prima in Austria e poi, dal 1994, in Francia, dove inizia a lavorare come autrice e illustratrice e dove nel 2000 pubblica le prime strisce di Persepolis, portato in Italia da Rizzoli Lizard. È un fumetto in bianco e nero, un romanzo grafico autobiografico, un memoir toccante e illuminante in cui Satrapi racconta la sua storia di bambina e di donna cresciuta negli anni della rivoluzione islamica. Il “Guardian” lo ha inserito tra i cento migliori libri del Ventunesimo secolo.
In Iran, nel paese da cui fuggì Marjane Satrapi quarant’anni fa, il 16 settembre scorso ha perso la vita la 22enne Mahsa Amini, dopo essere stata arrestata dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente il velo, quel “foulard” disegnato vent’anni prima da Satrapi in Persepolis, quel chador che Oriana Fallaci ebbe il coraggio di togliersi di fronte a Ruhollah Khomeini quando, prima giornalista al mondo, lo intervistò nel 1979.
«Davvero non immagini quel che può succedere per via d’un chador. A me successe tutto per via del chador che dovevo indossare dinanzi al diabolico vecchio», scrive Oriana Fallaci nel leggendario reportage dall’Iran che, insieme a Persepolis, si legge e si rilegge ancora oggi. Lo scrive nel 1979, di ritorno dal suo viaggio in Iran dove, unica giornalista al mondo, ottiene di intervistare Ruhollah Khomeini, “il diabolico vecchio” che mai prima di allora aveva concesso un’intervista a una donna. «L’Imam non s’era mai lasciato interrogar da una donna», si legge nel reportage della Fallaci (ripubblicato da Rizzoli in L’intervista con il Potere), «che tale eccezione aveva il valore di avvenimento e guai a commettere errori». L’intervista verrà pubblicata dal “Corriere della Sera” e oggi compone alcune delle strisce più suggestive di un’altra graphic novel, la prima dedicata alla giornalista, Oriana. Una donna libera, appena arrivata in libreria con Rizzoli. Gli autori, Giuseppe Galeani e Paola Cannatella, coppia anche nella vita, spiegano a Chiara Severgnini nell’intervista pubblicata sulla “Lettura” che, per creare i testi e le immagini del fumetto, si sono lasciati ispirare unicamente dagli scritti della Fallaci: «Sono stati la nostra guida, perché Fallaci è i suoi scritti. Soprattutto i libri, che per lei erano come figli: fatti con la sua carne e il suo sangue».
Il 16 settembre scorso la giornalista iraniana Nilofaar Hamedi raggiunge l’ospedale dove Masha Amini, ancora detenuta dalla polizia di Teheran, viene ricoverata in ospedale per un “attacco di cuore”, secondo quanto dichiarato dalle autorità iraniane. Hamedi scatta una fotografia ai genitori della ragazza mentre si abbracciano disperati nel corridoio dell’ospedale e, all’annuncio della morte di Masha, la pubblica su Twitter. La foto fa il giro del mondo. Nelle stesse ore, migliaia di iraniani scendono in piazza a protestare e l’account Twitter di Hamedi viene bloccato. Il 22 settembre la giornalista viene arrestata.
Dal 16 settembre scorso in Iran, dopo la morte di Masha Amini, migliaia di iraniani, di giovani e di studenti stanno scendendo in piazza e nelle strade, a manifestare, a dar voce al dolore e alla libertà, rischiando la propria vita in nome dei diritti delle donne. Le proteste non si sono ancora fermate, non si sono fermate le cariche della polizia sui manifestanti, né gli arresti né i decessi. Il 20 novembre sono state arrestate due celebri attrici iraniane, Hengameh Ghaziani e Katayoun Riahi, dopo che, per protesta, sono apparse sui social e in video-interviste senza indossare il velo.
Il 21 novembre scorso, ai Mondiali di calcio in Qatar, prima dell’inizio della partita contro l’Inghilterra, gli undici giocatori della squadra iraniana si sono rifiutati di cantare l’inno nazionale; dall’altro lato del campo, i giocatori inglesi si sono inginocchiati, in segno di solidarietà.
È in questo clima, di fronte a quest’ondata di civile impegno, d’indignazione e di ribellione, che il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne istituita nel 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, assume un significato più forte e necessario che mai.
«E la battaglia continua… continua sul corpo delle donne», ha scritto Roberto Saviano su “7” del “Corriere della Sera” il 23 settembre scorso. «Quello che stiamo vedendo in questi giorni, in queste ore, ce lo ha raccontato Marjane Satrapi in Persepolis. Satrapi è nata nel 1969, al tempo della rivoluzione islamica, quando l’Iran da monarchia divenne una repubblica islamica sciita, aveva pressappoco dieci anni. In Persepolis, il suo graphic novel autobiografico, pubblicato per la prima volta in lingua francese tra il 2000 e il 2003, Satrapi raccontò tutto ciò che ricordava di quel passaggio, violenza, morte, arbitrio e sofferenza». Un libro, Persepolis, e il successivo omonimo film d’animazione che Roberto Saviano consiglia «a tutti, soprattutto alle giovanissime che vogliono capire dove inizia ciò che sta accadendo oggi in Iran, che vogliono capire le radici storiche del conflitto».
Marjane Satrapi e Oriana Fallaci, oggi più che mai, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, sono la voce delle donne, delle migliaia di vittime degli abusi, della violazione dei diritti umani ogni giorno in tutto il mondo, nelle piazze, tra le mura di casa, sui luoghi di lavoro.
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«La prego, Imam. Ho ancora molte cose da domandarle. Su questo chador, per esempio, che lei impone alle donne e che mi hanno messo addosso per venire a Qom. Perché le costringe a nascondersi sotto un indumento così scomodo e assurdo, sotto un lenzuolo con cui non si può muoversi, neanche soffiarsi il naso? Ho saputo che anche per fare il bagno quelle poverette devono portare il chador. Ma come si fa a nuotare con il chador?», chiede Oriana Fallaci a Khomeini. «Tutto questo non la riguarda», le risponde l’Imam. «I nostri costumi non riguardano voi occidentali. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene». Credeva d’aver capito male, Oriana, ma aveva capito benissimo. «Ho detto: se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene», ribadisce Khomeini. «Grazie, signor Khomeini», è la risposta di Oriana che passerà alla storia. «“Lei è molto educato, un vero gentiluomo. La accontento sui due piedi. Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da medioevo”. E con una spallata lasciai andare il chador che si afflosciò sul pavimento in una macchia oscena di nero».