«Quando qualcosa non vi torna datemi torto, dibattetene, coltivate il dubbio per sognare orizzonti anche più ambiziosi di quelli che riesco a immaginare io. La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino».
Pensare, dubitare, interrogarsi, dibattere, argomentare e confrontarsi, fare casino nella propria mente e in quella altrui per comprendere la complessità del presente, per studiare il passato ed evolversi nel futuro, per essere liberi di pensare e agire, per non arrendersi al pensiero statico e immobile, per immaginare altre possibilità, abbracciare altre umanità, alimentare l’anima, per disegnare un mondo migliore. Fare casino per sognare orizzonti più ambiziosi è il segno, la traccia, l’eredità dell’infinitezza del pensiero di Michela Murgia, intellettuale, attivista e scrittrice che ci ha lasciato il 10 agosto del 2023 dopo aver scritto queste sue parole che ci accolgono, ci commuovono, ci spronano e ci provocano dalle pagine di Dare la vita, l’ultimo suo libro, la sua eredità spirituale, in libreria per Rizzoli dal 9 gennaio.
Curato da Alessandro Giammei, Assistant Professor of Italian Studies alla Yale University e figlio d’anima di Michela Murgia, Dare la vita è esistenza che, giunta al proprio termine, si fa pensiero scritto al fine di donare, di consegnare a chi rimane la propria esperienza e le proprie domande. Ultimo e definitivo immenso gesto di speranza nel potere delle parole.
Nata a Cabras il 3 giugno del 1972, Michela Murgia è stata tradotta in oltre venticinque paesi e in tre continenti, ha ricevuto il Cavalierato delle Arti e delle Lettere del ministero della cultura francese e riconoscimenti per i suoi romanzi, tra cui il Campiello e il Super Mondello per Accabadora.
Un libro che raccoglie l’eredità spirituale di Michela Murgia
A questo suo ultimo libro, Dare la vita, ha affidato alcuni dei temi a lei più cari, cui ha dedicato anni di studio e di vita, a partire dai concetti di maternità e gravidanza per arrivare a concepire e a esperire, in prima persona, la queerness, la possibilità di creare una famiglia senza vincoli di sangue, a mostrare col proprio esempio come i legami d’anima possano sommarsi ai legami di sangue senza per forza dover scegliere tra gli uni e gli altri ma, anzi, operando la libertà di pensare, di scegliere, di agire e di accogliere.
Negli ultimi mesi di vita, Michela Murgia ha dunque raccolto i suoi scritti, le sue idee, le sue ultime riflessioni in questo pamphlet conciso, poco più di un centinaio di pagine, prezioso per quanti vorranno coglierne il valore. Sono pagine in cui Michela Murgia ci racconta l’esperienza personale che negli anni l’ha portata a creare la sua famiglia queer, per spiegarci dal suo punto di vista, dal suo orizzonte ambizioso, che un altro modello di maternità è possibile, che è possibile dare la vita senza generare biologicamente.
Ci sono persone che hanno continuato a lasciare commenti e messaggi d’affetto sulla pagina Instagram di Michela Murgia dopo la sua morte. Aveva commosso l’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo il maggio scorso sulle colonne del “Corriere della Sera”, quando Michela Murgia aveva rivelato di essere malata di cancro a uno stadio terminale. Aveva suscitato un certo scalpore a luglio il matrimonio contratto in articulo mortis con Lorenzo Terenzis, «per avere diritti che non c’era altro modo di ottenere rapidamente», come spiegò lei stessa.
La queerness familiare è ormai una realtà
Ora, da queste pagine, Michela Murgia ci permette di riflettere più approfonditamente sulla sua visione della vita, ci invita a ragionare sul perché la queerness familiare è ormai una realtà, e dunque affrontarla diventa una necessità politica; su come si può essere madri di figlie e figli che si scelgono, e che a loro volta ci hanno scelte, e su come si può e si debba portare avanti un dialogo lucido e aperto sulla gestazione per altrə.
«Quel che dico contro la logica biologica del patriarcato eteronormativo di Stato – che identifica la maternità con la gravidanza e la famiglia col sangue – lo dico da madre d’anima, da membro di una famiglia fatta di legami altri», scrive Michela Murgia nelle pagine introduttive di Dare la vita. «Le uniche certezze che ho hanno a che fare con la mia esperienza personale e per il resto ho solamente domande. Ma sono domande che sento la responsabilità di porre in questo preciso punto della storia, mia e della comunità in cui mi riconosco».
Essere madre, «scegliermi dei figli che mi hanno scelta – e che poi sono diventati fratelli, mentori, allievi, complici, in certi casi addirittura paterni nei miei confronti, destabilizzando persino la mia idea iniziale di filiazione d’anima», scrive Michela Murgia, l’ha aiutata a «capire alcune cose, o almeno interrogarle fecondamente». Due le questioni interconnesse che ispirano e alimentano Dare la vita: «Una è quella delle famiglie che, come la mia, si definiscono (o meglio, lanciano una sfida alle definizioni) adottando il termine queer, che complica ma chiarisce i legami familiari fuori dal familismo e aiuta a dare un senso mai definitivo alle identità individuali e collettive», spiega. L’altra è, appunto, quella della cosiddetta gestazione per altrə, «che evoca problemi politici, religiosi, economici e morali alla radice di ciò che significa essere donne osando immaginarsi fuori dalla maternità biologica», e che Michela Murgia analizza, esamina, mette alla prova in questo pamphlet che parla a chi vuole ascoltare, a quanti sono disposti ad aprirsi agli altri e a mettere in dubbio le proprie convinzioni. Entrambe le questioni «rivelano i limiti del concetto di normalità e offrono spunti per immaginarci, come società, in modi nuovi, che credo saranno più abitabili per chiunque avrà il coraggio di sfidare lo stato statico dello Stato».
«Forse la mia vocazione a essere me consiste proprio nel domandarmi, con tutti i mezzi condivisi di cui ho il privilegio di disporre, chi sia una madre e mai di chi sia; nel non rassegnarmi all’idea di famiglia a cui mi avrebbero destinata la mera biologia e le leggi dello Stato», ci dice Michela Murgia. «Ci sono insomma due parti in questo discorso sui parti (o sulla loro assenza). Perdonatemi se non ho il tempo di unirle più omogeneamente nascondendo i segni della soglia che le collega. Nata sotto il segno dei Gemelli, figlia di almeno due madri io stessa, non ho dato alla luce mai nulla e nessuno che non fosse fratto. Se tra le due lingue che parlo meglio una è madre, non è quella in cui vi scrivo, e dunque vi chiedo di portare pazienza. Quando qualcosa non vi torna datemi torto, dibattetene, coltivate il dubbio per sognare orizzonti anche più ambiziosi di quelli che riesco a immaginare io. La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino».