Dal 1999, anno in cui è stata istituita la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, per combattere quella che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite definì “una violazione dei diritti umani”, sono stati molti i libri che hanno contribuito a denunciare un fenomeno a tutt’oggi inarrestabile. Persino in questi mesi straordinari di pandemia globale da coronavirus, le cronache quotidiane del lockdown hanno dovuto fare i conti, ancora una volta, con l’aumento dei casi di violenza sulle donne tra le mura domestiche.
Qui di seguito vi proponiamo una selezione di titoli che, seppur non esaustiva di un tema tanto delicato quanto complesso, può offrire attraverso le suggestioni di un romanzo o l’intensità di un memoir, la testimonianza di un’autobiografia o l’incisività di un graphic novel, un momento di riflessione quale merita la giornata del 25 novembre.
Una selezione di libri per offrire un momento di riflessione sulla giornata mondiale contro la violenza sulle donne
Nel 2012, nello stesso anno in cui vinse il premio Campiello alla carriera, Dacia Maraini, tra le più grandi scrittrici italiane che ha dedicato molta parte della sua opera letteraria alle figure femminili – tra gli ultimi suoi titoli, Corpo felice. Storia di donne, rivoluzioni e un figlio che se va e Trio. Storia di due amiche, un uomo e la peste a Messina – scrisse L’amore rubato. Il primo capitolo s’intitola “Marina è caduta per le scale”. Marina è la prima di otto donne protagoniste di un mondo diviso fra chi conosce il rispetto e chi considera l’altro un oggetto. Marina che cade per le scale, Letizia che vive una tragica maternità, Giorgia che viene apostrofata come “mitomane” dal poliziotto a cui denuncia di essere stata violentata, la piccola Francesca vittima del branco il cui padre dirà: «Sarà vanitosetta la mia Franci, sarà che va in giro vestita in modo provocante come dicono, ma ridurla in quello stato è da animali, signor giudice». E poi Ale, lo stupro subìto e il bambino mai nato; l’astuto patrigno violento, il «pianista dalle mani farfalline» che riesce a trasformare la piccola Giusi in una complice; Angela e Gesuino, «che era così affettuoso che ormai mi fidavo completamente di lui»; infine «la mia piccola Anna», narra il padre, di cui il Moro «avrebbe fatto scempio».
E se le vittime potessero parlare? È l’interrogativo che risuona in copertina di Ferite a morte, libro uscito nel 2013 nel quale Serena Dandini, con la collaborazione di Maura Misiti, racconta attraverso monologhi immaginati le vittime di femminicidio, come se potessero parlare in prima persona.
«Come ha sempre sottolineato Dacia Maraini, che da anni si occupa con ostinazione di questo dramma», scrive la Dandini, «il femminicidio in Italia è solo la punta di un iceberg che nasconde una montagna di soprusi e dolore che si chiama violenza domestica».
Dedicato a Carmela Petrucci, la studentessa palermitana di 17 anni morta il 19 ottobre del 2012 nel tentativo di difendere la sorella Lucia dall’ex fidanzato, Ferite a morte è un coro di voci femminili: quelle di
«mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai patti, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società e questa disubbidienza è stata fatale».
Leila è la prostituta trovata cadavere di fronte a un campo di calcio, dentro un bidone dell’immondizia, che Elif Shafak, scrittrice e intellettuale tra le più dirompenti, autrice bestseller de La bastarda di Istanbul, fa parlare nel romanzo del 2019 dedicato a tutte le donne della città turca. I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo è il tempo in cui il cuore di Leila smette di battere ma la sua mente è in piena coscienza. Leila sta morendo ma la sua anima lavora, implorando di essere salvata mentre abbandona il corpo.
«In questo libro molte cose sono vere e tutto è finzione», scrive nella nota al romanzo Elif Shafak. «L’articolo 438 del Codice penale turco, che permetteva di ridurre di un terzo la pena per la violenza carnale se il colpevole era in grado di provare che la vittima fosse una prostituta, è rimasto in vigore fino al 1990; il legislatore ha sempre difeso la norma in questione con l’argomento che “lo stupro non può compromettere la salute fisica e mentale di una prostituta”. Quell’anno però, di fronte al crescente numero di aggressioni perpetrate ai danni di prostitute, in molte zone del Paese si diede vita a proteste assai vigorose, e questa forte reazione da parte della società civile portò all’abrogazione dell’articolo suddetto. Ciò malgrado, poche o nulle sono state da allora le riforme legislative nel Paese; sia rispetto all’uguaglianza di genere nel suo complesso, sia allo specifico riguardo delle condizioni di vita di chi esercita la prostituzione».
Come ha scritto Demi Moore nel memoir intimo e crudo Inside Out. La mia storia, in libreria dalla scorsa primavera per Fabbri Editori, «gli episodi di violenza si misurano in ore o minuti, ma il loro impatto dura tutta una vita».
«Per decenni, non lo considerai nemmeno uno stupro. Mi sembrava qualcosa che avevo causato io, qualcosa che mi ero sentita obbligata a fare perché quell’uomo se l’aspettava da me; perché avevo lasciato che se l’aspettasse da me.»
scrive la star di Hollywood nel capitolo in cui svela di essere stata violentata a quindici anni da un amico della madre.
«Negli ultimi anni ho ammirato le molte donne che si sono fatte avanti per raccontare le loro storie di violenza sessuale; mi hanno stupita sia il loro grande coraggio, sia gli attacchi che hanno dovuto subire.»
«Eppure c’è ancora chi si chiede come mai una donna possa aspettare anni, o decine di anni, prima di raccontare agli altri ciò che le è successo», è la riflessione dell’attrice. «Quando vieni violentata, in una cultura che ti ripete costantemente che ammettere il tuo essere vittima rende teuna sospettata, rende te una bugiarda e una puttana che si merita che la sua vita venga esaminata al microscopio e spiattellata al mondo intero… indovinate che cosa succede? Che mantieni il segreto. E come per qualsiasi altro trauma, la negazione è un normale meccanismo di difesa. La mente rimuove le cose che non riesci a gestire, quelle troppo spaventose e destabilizzanti, finché non sarai in grado di affrontarle».
In Io ci sono. La mia storia di non amore, scritto con la giornalista del “Corriere della Sera” Giusi Fasano, Lucia Annibali, avvocatessa di Pesaro che il 16 aprile 2013 troverà ad attenderla a casa un uomo incappucciato e assoldato dall’ex fidanzato per sfigurarla con l’acido, ripercorre la sua storia con quell’uomo, dal corteggiamento al processo; racconta l’acido che scioglieva il suo viso e i mesi bui e dolorosissimi, segnati anche dal rischio di rimanere cieca. Per la sua tenacia, la sua determinazione e il coraggio di mostrarsi, oggi Lucia è diventata un’icona, punto di riferimento per tutte le altre donne.
«Non erano segnali indecifrabili, certo. Visti con il senno di poi sembrano cartelloni enormi che avvertono del pericolo: “Attenzione, quest’uomo ti farà soffrire”. Ma all’epoca non avevo occhi per leggere cose del genere. Volevo soltanto lui, vedevo soltanto lui.»
«Per il coraggio dell’autrice nel denunciare la violenza sessuale attraverso un romanzo grafico che è al tempo stesso pura cronaca e delirio visionario»: nella motivazione del Gran Guinigi 2019, che Lucca Comics & Games ha attribuito a Bezimena. Anatomia di uno stupro come miglior graphic novel, sta tutta la rilevanza dell’opera di Nina Bunjevac.
Acclamata disegnatrice canadese di origini jugoslave, un mese fa ha dato alle stampe per Rizzoli Lizard Senza cuore. Amore, famiglia e altre prigioni, un libro illuminante sulla condizione della donna e sul prezzo della libertà. Selma, Nora, Zorka e le altre donne che popolano questo libro somigliano all’autrice, commettono gli stessi errori e soffrono delle sue stesse ansie: amori sbagliati, genitori difficili, un passato segnato dalla violenza e un presente dominato dalla sensazione di non sentirsi mai a casa.
Bezimena. Anatomia di uno stupro è un libro
«dedicato a tutte le persone, dimenticate e senza nome, che hanno subìto una violenza sessuale»
scrive l’autrice, che attorno all’aggressione di cui fu vittima da ragazzina ha disegnato una parabola moderna per illustrare senza ipocrisie la brutalità della violenza sessuale. Un’opera che ritrae la spaventosa normalità di chi giustifica l’orrore delle proprie azioni.
«A volte ho provato a parlarne con alcune persone scelte con cura», si legge nella nota dell’autrice al volume, «ma sono stata scoraggiata dal cambiamento nel loro atteggiamento, dallo sguardo stanco nei loro occhi o dal semplice disgusto che provavano. Non stupisce che così tante vittime di stupro decidano di tenere segreto il proprio dolore».