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Myss Keta: una donna di spettacolo, uno spettacolo di donna

Perché Myss Keta indossa la maschera?

Cosa c’entra Myss Keta a Sanremo?

Niente, infatti presenta L’Altro Festival insieme a Nicola Savino.

E tutto, perché ieri sera la Myss ha portato un pizzico di paprika anche sul palco dell’Ariston insieme all’amica Elettra Lamborghini sulle note di Non succederà più di Claudia Mori, appositamente rivisitata.

«Io ed Elettra ci siamo viste la prima volta a un concerto a Riccione, c’era anche Elodie. Abbiamo fatto serata insieme ed è scattata la scintilla. Siamo artiste diverse, ma ci uniscono alcune cose: la voglia di far festa e di usare il corpo come ci pare. Non ci piacciono i sentieri battuti. Facciamo sempre quello che vogliamo».

Achille Lauro non è il solo controverso artista di Sanremo: il dirompente estro creativo di Myss Keta si è fatto notare sin dalla prima serata de L’Altro Festival dove la guru degli anni ’10 ha messo in scena un tributo alla musica italiana anni ’50 e ’60 riscrivendo la sua hit UNA DONNA CHE CONTA (una donna che 1, 2): un esercizio di sottile e imperdibile citazionismo alla maniera della M¥SS.

Ma chi è davvero Myss Keta?

Sul suo conto circola qualsiasi tipo di voce per cui, se vuoi conoscere la verità, la sua verità, il modo migliore è leggere le parole che ha vergato di suo pugno in un prezioso documento per i posteri.

Solo Myss Keta può raccontare chi è davvero Myss Keta

Il testo che segue è tratto da Una donna che conta

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Ci hanno provato in molti a raccontare chi sono, da dove vengo o quale sia stato esattamente il momento in cui si è iniziato a parlare di me. La verità è che il periodo in cui sono salita alla ribalta con i miei primi successi musicali ha rappresentato soltanto l’apice di un mio momento milanese che era iniziato molti anni prima. Milano allora era una passerella a cielo aperto, le discussioni d’affari avvenivano esclusivamente all’aperitivo e la barella non ti portava in ospedale ma sulle nuvole. Parlo degli anni in cui ventiquattr’ore non erano abbastanza per imbarcarsi in tutti gli impegni lavorativi e le peccaminose esperienze che la metropoli offriva, gli anni in cui il verbo dormire era stato drasticamente eliminato dal vocabolario.

Erano gli anni Ottanta.

Il tempo era poco, ma la bamba era tanta.

Ero tornata da poco a Milano dopo essere stata oltreoceano

alcuni anni per un viaggio di formazione professionale in Colombia, a spese di un leggendario marchio di salumi. Ero entrata in azienda con un semplice contratto da stagista, ma dal mio soggiorno colombiano tornai con l’incarico di amministratrice delegata, merito del mio talento fuori dal normale e del mio grande fiuto per gli affari. A Bogotá mi ero anche sposata con uno splendido ragazzo caraibico dalla pelle bruna. Mi ci vollero tre mesi per scoprire che in realtà era napoletano, di Posillipo. Ma questa è un’altra storia e riguarda solo uno dei tre ingredienti che danno il titolo a questa prima parte.

Fiera della mia nuova posizione di prestigio in un’azienda che stava cavalcando il boom economico, mi sentivo pronta a tuffarmi in quel mare di spumeggiante dolce vita che stava diventando la mia amata capitale meneghina. A lavoro tutto procedeva a gonfie vele, il fatturato cresceva a dismisura e nei corridoi cominciavano a chiamarmi “la tigre della sala riunioni”.

I più invidiosi provavano a screditarmi in tutti i modi, soprattutto inventando storielle sul mio largo uso di stupefacenti durante gli orari d’ufficio, ma le loro chiacchiere non avevano peso: quando mi sedevo alla scrivania, non ne sbagliavo una. Geniali mosse di marketing come la pioggia di prosciutto in Duomo o la campagna “PRO-VITA? NO, PRO-SCIUTTO!” mi avevano resa indispensabile.

Ma in quegli anni i miei successi non si limitavano all’azienda: iniziavo a farmi strada nel nuovo scintillante mondo della televisione, un mondo in grado di regalare desideri e speranze a migliaia di ragazze e ragazzi pieni di talento come me.

[…]

Sono una donna che ha saputo districarsi con nonchalance tra mille amori ed esperienze al confine con la realtà.

Ho vissuto in pieno gli anni in cui la politica non si faceva tra i banchi in parlamento, ma tra le lenzuola degli alberghi di lusso.

Ho vissuto i tempi in cui la televisione era diventata, giustamente, la nuova religione di Stato.

Ho voluto raccontarvi tutto questo con le mie parole, prima che venissero storpiate dalla suadente voce di qualche presentatrice del palinsesto pomeridiano. Forse vi state chiedendo quanto di vero ci sia in tutto ciò che avete letto. Poco, tutto, nulla.

Non ha nessuna importanza.

Dopotutto, cos’è la mia vita se non una deliziosa menzogna sussurrata all’orecchio?