Quella di Stefano Cucchi è una vicenda ormai tristemente nota ai più.
Ci sono voluti dodici anni per scoprire la verità sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009 mentre era in stato di arresto per detenzione di stupefacenti.
Il suo decesso fu comunicato alla madre con inqualificabile insensibilità chiedendole di firmare l’autorizzazione all’autopsia.
Da quel momento, alla famiglia disperata che esigeva una spiegazione furono date risposte inaccettabili: una caduta dalle scale, la conseguenza di un precedente stato di malattia…
La sorella Ilaria non si è mai rassegnata a queste versioni di comodo e, sempre affiancata dall’avvocato Fabio Anselmo, ha intrapreso una battaglia giudiziaria che è già Storia d’Italia. Il 4 aprile del 2022 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva a dodici anni di carcere per omicidio preterintenzionale i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Nei prossimi giorni, invece, ci sarà un nuovo processo di appello per i due carabinieri accusati di falso nell’ambito della morte di Stefano Cucchi.
Una vicenda che si è insinuata sotto la pelle degli italiani, tornata alla ribalta nel 2018 con il film evento di Netflix “Sulla mia pelle” (quattro David di Donatelloe un Ciack d’oro) e, in seguito, il 16 aprile 2019 per la confessione da parte del carabiniere Tedesco dell’orrendo e insensato pestaggio di quella notte di dieci anni fa.
La verità su Stefano Cucchi
Il testo che segue è stato scritto dall’avvocato Fabio Anselmo
16 aprile 2019 – ore 9.30
Prendo posto di fianco al pm Giovanni Musarò. Lo occupo dall’inizio del processo. Mi fa particolarmente piacere.
Nei banchi dietro di noi ci sono gli altri avvocati di parte civile. C’è Stefano Maccioni per Cittadinanza attiva, Enrico Maggiore per il comune di Roma, ma ci sono anche Diego Perugini, Massimo Mauro e Corrado Oliviero per gli agenti di polizia penitenziaria.
Questi ultimi, Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, sono qui ad assistere, al nostro fianco, contro i carabinieri imputati.
I reati loro contestati sono cambiati. Ora, per i tre militari accusati del pestaggio, Alessio Di Bernardo, Raffaele D’alessandro e Francesco Tedesco, non c’è più l’accusa di lesioni lievi ma quella di omicidio preterintenzionale.
Per l’ultimo dei tre, anche il falso e la calunnia. Il maresciallo Roberto Mandolini deve rispondere di falso in atto pubblico e calunnia ai danni dei tre agenti della penitenziaria accusati e processati ingiustamente perché innocenti. Anche Vincenzo Nicolardi, per questo, deve rispondere del reato di calunnia.
I difensori degli imputati occupano le file dei banchi alla nostra destra, dall’altra parte dell’aula, separati da un corridoio.
Ne abbiamo fatta di strada. Il processo, quello vero, è iniziato l’11 gennaio 2018. Finalmente, dopo quasi nove anni.
Francesco Tedesco inizia a parlare. Confessa tutto. Descrive i colpi tremendi inferti a Stefano Cucchi, durante il fotosegnalamento alla Casilina, dai colleghi Di Bernardo e D’alessandro. Schiaffoni, calci e una tremenda caduta con il rumore della testa che sbatte sul pavimento. Loro non ci sono. Non si sono mai fatti vedere al processo.
C’è però Roberto Mandolini, il suo superiore di allora.
Francesco Tedesco non ha timore. Risponde a tutte le domande. Spiega il calvario del silenzio di tutti questi anni. Parla della «linea dell’arma» che proprio mandolini gli aveva imposto di seguire.
Chiede scusa alla famiglia di Stefano Cucchi. Gli fanno descrivere il pestaggio più e più volte.
Prendo la mano di Ilaria e la stringo.
Poi mi volto a guardare, più indietro, in fondo all’aula, i volti della sofferenza di Giovanni e Rita.
Ora sanno chi e come ha ridotto il loro figlio nelle condizioni in cui lo hanno visto all’obitorio.
Non sanno il perché. Non esiste un “perché” a tanta violenza. Non potranno mai saperlo.
L’aula è stracolma di giornalisti e telecamere.
Non vola una mosca.
Tedesco ha finito. Non ci sono più domande da fargli.
Viene liberato dal presidente della Corte Vincenzo Gaetano Capozza.
Si alza dal banco dei testimoni e non si avvia subito all’uscita dell’aula.
Viene, invece, verso di noi.
Va da Ilaria, che nel frattempo si è alzata in piedi.
Le porge la mano.
Ilaria ha una breve incertezza, poi accetta quella stretta.
La storica sentenza Cucchi: i carabinieri sono colpevoli
Il 14 novembre 2019, dopo più di 8 ore di camera di consiglio, la sentenza di primo grado sulla morte di Stefano Cucchi è arrivata.
I carabinieri sono colpevoli di omicidio preterintenzionale: condannati a 12 anni.
Gli agenti Di Bernardo e D’Alessandro sono stati anche interdetti in perpetuo dai pubblici uffici.
La dura sentenza è un tassello importantissimo di tutta la vicenda non solo perché conferma i pestaggi che Stefano Cucchi subì dopo l’arresto ma ne identifica anche i colpevoli, dopo che un primo processo era finito nel 2013 con l’assoluzione di tre agenti di polizia penitenziaria.
Francesco Tedesco, testimone fondamentale dell’intera vicenda, è stato assolto dall’accusa di omicidio e condannato a 2 anni e 6 mesi di carcere per quella di falso: era accusato infatti di aver manipolato il verbale di arresto di Stefano Cucchi.
Insieme a lui, e per la stessa ragione, il maresciallo Roberto Mandolini è stato condannato a 3 anni e 8 mesi di carcere.
Gli avvocati di Di Bernardo, D’Alessandro, Tedesco e Mandolini hanno detto che attendono le motivazioni della sentenza, che saranno diffuse prossimamente, e che faranno ricorso in appello.