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Fiabe per un mondo libero dagli stereotipi di genere
Scritto da:
Redazione BookToBook
15 Lug 2021
Un mondo libero dagli stereotipi di genere esiste, è accogliente, paritario e inclusivo ed è abitato dal Bello e la Bestia, da Cenerentolo e dal principe sul pisello, dal bello addormentato nel bosco e dalla gatta con gli stivali. Questo mondo è raccontato in Fiabe d’altro genere e per vederlo, basta cambiare il nostro punto di vista per cambiare le storie che ci hanno raccontato sin da piccoli, liberando noi stessi e gli altri dai lacci mentali e comportamentali, morali e sociali che seminano fastidiosi preconcetti, discriminazioni più o meno velate, intolleranza, bullismo e violenza verso chi è diverso da noi o non corrisponde ai nostri canoni.
Fiabe d’altro genere – Un algoritmo per cambiare il punto di vista
In questo fantasmagorico mondo migliore pure i famigerati algoritmi accusati d’influenzare subdolamente le nostre idee agiscono alla luce del sole per mostrarci, con la loro supertecnologica meccanica celeste, nuovi orizzonti mentali e culturali a cui tendere per rimodulare il nostro rapporto con gli altri e contribuire a una società più civile e più giusta.
«Mi sono chiesto se era possibile creare un algoritmo per computer che scambiasse tutti i termini riferiti a uno o all’altro genere, trasformando “lui” in “lei”, “Signore” in “Signora” e “figlie” in “figli” e dopo alcune lunghe e sorprendenti battaglie con le stranezze della nostra lingua, sono riuscito a creare un programma di semplice utilizzo che poteva cambiare i generi in qualunque testo inserito nel computer.»
A parlare è Jonathan Plackett, creativo esperto di tecnologia che insieme alla moglie Karrie Fransman, artista e autrice di fumetti, ha cambiato il punto di vista per cambiare la storia in Fiabe d’altro genere. Storie di patrigni malvagi, lupe cattive e belli addormentati, sorprendente raccolta illustrata di fiabe riscritte i cui celeberrimi protagonisti si ripresentano a noi in una veste del tutto nuova.
«Quando Jonathan mi ha mostrato l’algoritmo ne sono rimasta affascinata e ci siamo domandati come potevamo usarlo nel mondo reale. Io ho proposto di applicarlo alle fiabe. Ci piaceva molto l’idea di mescolare testi classici e tecnologia moderna, aggiornando le storie per un lettore di oggi», spiega Karrie Fransman, autrice di due graphic novel, The House That Groaned e Death of the Artist (libro vincitore di premi), di un fumetto su un giovane rifugiato, The British Red Cross e di molte stories pubblicate, tra gli altri, dal “Guardian”, dal “Times”, dalla BBC, da “Time Out” e dal “Telegraph”. Spiega Karrie:
«Le fiabe sono i libri ideali per il rovesciamento dei generi. Sono le prime storie che incontriamo da bambini e formano gli elementi costitutivi della narrativa. Ci permettono di vivere avventure fantastiche, impersonare ruoli e sconfiggere mostri. Cosa più importante, ci insegnano la differenza fra bene e male e fra i codici morali che governano la nostra società: che mentre i ragazzi devono scalare audacemente gigantesche piante di fagioli per rivendicare ciò che appartiene loro, le bambine devono guardarsi dal parlare agli sconosciuti in un bosco tenebroso. E, d’altronde, questi racconti contengono tutta la magia e le possibilità della polvere di fata. Se possiamo immaginare un mondo in cui le arpe cantano e i ratti si trasformano in cocchieri, perché non immaginare, con il piccolo aiuto di un algoritmo che inverte i generi, un mondo in cui i re vogliono avere dei bambini e le streghe non sono vecchie ma vecchi.»
Così sono nate le Fiabe d’altro genere, dove patrigni malvagi scagliano incantesimi contro neonati principini, il lupo cattivo è femmina e le principesse superano una sfida dopo l’altra per andare a salvare bei principi addormentati.
«Abbiamo una figlia, e vogliamo che cresca in un mondo in cui le bambine possono essere forti e i bambini possono esprimere la loro vulnerabilità senza rabbia», dichiara ancora Jonathan nella nota introduttiva al libro, da pochi giorni in libreria con Rizzoli. «Una delle motivazioni iniziali nel creare l’algoritmo era guardare il mondo da una prospettiva diversa dalla mia. E mentre alcuni dei cambiamenti erano prevedibili, altri rivelavano collegamenti impercettibili che non avevo mai notato, come il fatto che in questo modo i personaggi femminili venivano messi davanti: “sorelle e fratelli”, “Gretel e Hansel”. Ma, soprattutto, ora le donne si trovavano ad avere ruoli più vari e determinanti, mentre ai maschi era concesso essere sensibili, bisognosi di protezione e premiati per la loro bontà».
Un podcast per raccontare le Fiabe d’altro genere
Come cambia la storia, allora, e cosa cambia in noi nel rileggere le fiabe che ci hanno fatto sognare d’amore e tremare di paura, nello scoprire che ora Raperonzolo scioglie non una lunga treccia dorata bensì una folta barba e che a mangiarsi l’ingenuo (maschio) Cappuccetto Rosso non è un lupo ma una cattivissima e nient’affatto materna lupa?
Lo abbiamo chiesto a Matteo Bordone, giornalista, conduttore radiofonico e televisivo, e a Carlo Giuseppe Gabardini, attoree autore i quali, dopo aver letto il libro, hanno deciso di raccontarlo a propria volta in Podcast d’altro genere, che fa molto ridere e pure riflettere. In un percorso a ritroso fra tradizione orale, riscritture e adattamenti celebri, Bordone e Gabardini indagano il significato dei ruoli di genere all’interno delle fiabe nel processo di formazione dei bambini futuri cittadini. Con i contributi di Giulia Blasi (che ci spiega alcune cose più avanti), Gabriella Crafa, Vera Gheno, Elena Giorgi, Eva Massari e Lisa Dalla Via, ospiti delle quattro puntate del podcast da ascoltare su Spreaker e Spotify, Bordone e Gabardini vanno a scoprire cosa succede quando si attua un meccanismo di cambio genere come quello ingegnato da Fransman e Plackett.
«La forza delle fiabe sta nel loro essere generative di continui e nuovi insegnamenti, al di là delle singole trame fatte di principi, principesse e zucche che sono state tramandate a noi nei secoli in mille versioni diverse.
L’idea di invertire il genere dei personaggi sembrerebbe quasi banale se non fosse che i due autori hanno saputo farlo senza cambiare nient’altro delle trame originali su cui hanno applicato l’algoritmo.
Hanno scelto le versioni più antiche, che stanno alla fonte del nostro immaginario collettivo e che fanno parte della nostra infanzia, applicando una sorta di parità retroattiva, andando indietro nel tempo a rimettere a posto le cose del passato nella speranza di migliorare il presente, un po’ come succede nel film Ritorno al futuro»
suggerisce Carlo Giuseppe Gabardini, tra gli autori della docufiction Sanpa. Luci e tenebre di San Patrignano. «Le fiabe sono la prima cosa che leggiamo da piccoli e il primo modo in cui si formano i pregiudizi. Per esempio, raccontare ai bambini che non bisogna parlare con gli sconosciuti è un’affermazione già pregiudiziale di per sé. Se non parlassimo con gli sconosciuti, probabilmente non avremmo la possibilità di conoscere gli altri e pure di innamorarci. Le fiabe rappresentano un terreno comune su cui s’incontrano generazioni diverse e proprio perché le conosciamo bene possono aiutarci a scardinare certi canoni ormai anacronistici, come la femmina che deve stare in casa a filare il fuso e il maschio che deve farsi il mazzo nei campi! Leggendo Fransman e Plackett ci accorgiamo subito degli stereotipi associati al genere. Nel libro una delle fiabe ribaltate è Gretel e Hansel, non Hansel e Gretel come la conosciamo col titolo originale dei fratelli Grimm. Basta questo ribaltamento nei nomi per accorgerci che davvero viene purtroppo sempre messo prima il maschio e poi la femmina; così riconosciamo lo stereotipo e siamo disposti a cambiare idea, ad accettare che pure un maschio può piangere o aver bisogno di essere rassicurato e che una femmina è capace di ammazzare un drago. Un esercizio tanto semplice che consiglierei di farlo coi titoli di giornale. Una volta lessi un titolo che suonava più o meno così: “Quest’anno il Nobel per la Letteratura potrebbe andare a Haruki Murakami o a una donna”: ma com’è che le donne non hanno nemmeno il diritto a esser citate per nome?», si chiede Gabardini.
«Abbattere gli stereotipi è importante ma lo è ancor prima riconoscerli», ci dice Giulia Blasi, scrittrice e docente universitaria, autrice di diversi libri tra cui Manuale per ragazze rivoluzionarie e Rivoluzione Z. «Alcuni sono riconoscibili altri meno, come nel caso delle pubblicità di prodotti per la casa dove protagoniste sono sempre le donne. Che cos’è a ingabbiarci qui?
Non sono le donne che si occupano della casa a essere sbagliate, lo è lo stereotipo che diventa modello di comportamento per la società intera. Il rovesciamento delle fiabe attuato da Fransman e Plackett è una specie di vandalismo artistico, l’equivalente del ditone di Maurizio Cattelan pitturato di rosa»
nota Giulia, ricordando l’azione dello street artist Ivan Tresoldi che lo scorso marzo, in occasione della Giornata internazionale della donna, ha infranto un tabù ridipingendo la scultura di piazza Affari a Milano come segno di protesta e solidarietà nei confronti delle donne. «Così come colorare di rosa l’unghia trasforma l’opera di Cattelan in un’altra cosa, il cambio attuato nelle Fiabe d’altro genere modifica il significato della narrazione con un effetto spiazzante, surreale e straordinariamente interessante.
Attraverso il ribaltamento di genere, il libro mostra in che modo alle bambine attribuiamo alcune caratteristiche mentre ai bambini altre: la versione ribaltata del Bello e la Bestia, per esempio, fa riflettere sul fatto che nelle fiabe tradizionali la bellezza non viene mai attribuita ai maschi, che appaiono invece forti e coraggiosi mentre grazia, bellezza e bontà sono doti attribuite alle femmine.
È pur vero che, se per noi adulti il ribaltamento di genere può essere straniante, lo è meno per i bambini di oggi, che tuttavia sono ancora circondati da adulti che dicono ai maschi di essere coraggiosi e alle femmine di essere brave. Alcuni anni fa scoppiò una polemica sulle Barbie e sull’immagine stereotipata del corpo che comunicherebbero alle bambine. Io ne ho possedute in gran quantità da piccola, ma mi era chiarissimo che quei corpi non potevano essere veri; piuttosto, erano i messaggi che mi arrivavano dal mondo circostante a minare la mia sicurezza», testimonia Giulia Blasi, che per Rizzoli sta scrivendo un nuovo libro incentrato proprio sul tema del corpo femminile e dell’immagine che abbiamo di noi stesse. «È un libro molto politico e molto femminista», ci anticipa Giulia. «Come al solito, affronto l’argomento un po’ col lanciafiamme un po’ con l’ironia, perché far ridere è un buon modo per farti ascoltare dagli altri. Peccato che le cose che fanno ridere me spesso e volentieri non fanno ridere i maschi».
«Credo che l’ironia e la comicità siano tra gli strumenti migliori per capire la realtà», ci dice Matteo Bordone, voce notissima di Radio 2 Rai. «Anche se le nostre vite possono avere risvolti drammatici, trovare lati buffi ci permette di avere uno sguardo più lieve e più leggero sul mondo, come ci suggerisce il libro di Frasman e Plackett, che riesce a trattare anche argomenti molto seri. Siamo abituati a raccontarci tantissime storie diverse, che si incrociano e si mescolano in un processo naturale lungo il quale ce le portiamo dietro per secoli, modificandole e adattandole. L’adattamento attuato in Fiabe d’altro genere è così matematico da produrre un effetto molto buffo, un divertimento sincero. Prendiamo La bella addormentata nel bosco: è inevitabile chiedersi “ma questo qua, il principino, cos’ha fatto per tutto quel tempo? Niente, perché han fatto tutto le donne!”. Il meccanismo del ribaltamento di genere funziona come quando sposti dei mobili in casa e ti rendi conto dei volumi reali. Cambiando un solo elemento, il genere, emergono in superficie tutte le strutture che stanno sotto la narrazione, come quando nelle crime fiction gli investigatori accendono la luce ultravioletta sulla scena dell’assassinio», nota Bordone, laureato in storia del cinema con una tesi sulla Rko. «Nel mondo premoderno in cui sono ambientate le fiabe c’erano le guerre, le morti per parto, gli antibiotici non erano ancora stati inventati e gli elementi naturali opprimevano le nostre esistenze.
Oggi siamo decisamente più liberi, i bambini imparano i ruoli di genere da storie più contemporanee dove compaiono, per esempio, la scuola e le città, che non esistono nelle fiabe tradizionali, che però vanno ancora tenute in vita e il modo giusto per farlo è usarle come plastilina narrativa. Se le lasciamo immobili, appassiscono.
Sono schemi narrativi che abbiamo sottopelle, riferimenti culturali sempre comprensibili anche se cambiamo loro qualcosa. Se invece facessimo la stessa operazione con Mulan, raccontando la storia di un guerriero dell’esercito cinese transgender, tutto il resto della trama andrebbe ricordato, perché la storia è nella memoria soltanto delle generazioni più giovani.
Il vantaggio delle fiabe antiche è che sono note a tutti e che, pur vivendo uno spazio antiquato, anche linguisticamente, un po’ museo delle cere, mettono comunque noi ascoltatori e lettori nelle condizioni di poterlo maneggiare e trasformare, per continuare a crescere e a capire l’universo.»
Un universo parallelo come quello immaginato da Karrie Fransman e Jonathan Plackett in Fiabe d’altro genere, che potremmo gioiosamente abitare cambiando il punto di vista per cambiare la storia e vivere felici e contenti:
«Alcune delle parole classificate secondo un genere sono state facili da invertire, ad esempio scambiare uomo con donna o lei con lui. Poi c’erano i termini che noi associamo culturalmente agli uomini o alle donne, come i nomi propri, i titoli e gli abiti. Abbiamo deciso di scambiare anche quelli sostituendo in questo caso Jack con Jacqueline, Sire con Signora, e “abito” con “giacca”. Sarebbe stato bello lasciare a chiunque, a qualunque genere appartiene, la possibilità di farsi chiamare come preferisce e indossare ciò che lo fa sentire meglio, ma avrebbe creato confusione. Perciò abbiamo deciso semplicemente di ribaltare il mondo delle fiabe così come lo abbiamo trovato, con tutte le sue idee binarie su cosa significa essere uomo o donna, piuttosto che creare un universo utopistico dove nessuna di queste etichette ha senso. Vogliamo che questo libro sembri provenire da un universo parallelo, dove le donne hanno il potere e l’hanno sempre avuto.»