Giovanni Falcone non ha certo bisogno di presentazioni.
Così come non ne hanno bisogno Luigi Garlando e il suo Per questo mi chiamo Giovanni, un successo lungo quindici anni e arrivato oggi alla sua venticinquesima edizione.
In occasione dell’anniversario della morte di Giovanni Falcone, Luigi Garlando ha mandato una lettera a tutte le scuole italiane intitolate al magistrato (108 in tutto tra elementari e medie).
Ecco cosa c’è scritto.
«Parlo di Giovanni Falcone almeno un paio di volte al mese» parola di Luigi Garlando
Cari dirigenti, insegnanti e studenti,
parlo di Giovanni Falcone ai ragazzi almeno un paio di volte al mese.
La prima volta è stato nel 2004 a Calimera, piccolo paese della Grecìa Salentina.
Presentammo il romanzo appena uscito nella terra di Antonio Montinaro, uno degli agenti della scorta morti a Capaci.
All’incontro erano presenti la mamma e la sorella di Antonio.
Calimera significa “buongiorno”. Suonava come un buon augurio a un libro che ha vissuto in effetti un’avventura sorprendente che dura ancora. Confesso: mai mi sarei aspettato che questa storia avrebbe appassionato così tanto i giovani lettori e che sarebbe arrivata tanto lontano.
«Gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini», ha insegnato Giovanni Falcone.
I ragazzi, che per costituzione hanno gambe forti, hanno portato il mio libro e, di conseguenza, le idee del magistrato palermitano, fino a qui, più fresche e moderne che mai.
Non mi stanco mai di parlare di Per questo mi chiamo Giovanni, anche se gli argomenti inevitabilmente si ripetono, e mi emoziono sempre a guidare i ragazzi verso la solita domanda che, per me, è la polpa della storia, è la parte più intima e profonda del libro.
Racconto loro come il magistrato fosse costretto a vivere blindato, scortato, per ragioni di sicurezza; a nuotare all’alba nel mare di Mandello per limitare i rischi di attentati; a rinunciare addirittura alla gioia della paternità per non lasciare figli 0rfani.
Poi faccio la domanda: «Perché allora, in tutte le foto che abbiamo di Giovanni Falcone e del suo amico Paolo Borsellino, sorridono? Che cosa ci sarà da sorridere in una vita così sacrificata e rischiosa?».
A questo punto, dopo qualche secondo di silenzio, infilo nelle tasche dei ragazzi il sospetto:
«Sorridono perché sono felici. Forse la felicità, quella vera, non c’entra con le cose da fare o da avere; forse la felicità vera arriva da un grande ideale che dà senso profondo a tutta la tua vita e che ti trasmette ogni mattina la gioia di una giornata nuova. Per Falcone e Borsellino quell’ideale era la legalità, la giustizia, la lotta generosa per liberare la Sicilia dalla mafia. Forse, per essere veramente felici, anche noi dovremmo trovare un ideale del genere».
È il motivo per cui invio a voi una copia di questo libro: un invito a conoscere la vita di un grande uomo e insieme la speranza che il suo esempio insegni a tutti noi a lottare per i valori più alti, con coraggio e determinazione.