Uscito il 4 aprile, Il cane d’oro è il secondo romanzo di Sara Segantin, già autrice di Non siamo eroi. Sara Segantin è scrittrice naturalista e alpinista. Lavora come inviata e realizza approfondimenti inerenti clima e ambiente per Geo, storico programma di Rai3. Come comunicatrice scientifica ed esperta di climate literacy, collabora con Radio3Scienza e interviene regolarmente a conferenze, eventi, corsi di formazione e percorsi didattici. È, inoltre, una delle fondatrici di Fridays For Future in Italia e ambasciatrice della Mediterranean Sea Foundation e della Filicudi Wildlife Conservation.
Il cane d’oro è una storia che affronta con ironia e umanità i temi più caldi del nostro presente, riportandoci faccia a faccia con il selvatico, con cui da troppo tempo abbiamo rinunciato a confrontarci. Un romanzo di scienza e sentimento, dove il canto della natura fa da sfondo alle scorribande di quattro ragazzi e al loro viaggio sulle orme dello sciacallo dorato, alla ricerca di un rapporto più autentico ed equilibrato con il mondo che li circonda.
“Più della metà degli esseri umani oggi vive nelle città, dove ha eretto muri di cemento, cancellato l’avvicendarsi delle stagioni e perfino spento il cielo stellato, e la maggioranza delle persone non è consapevole di cosa significhi questo distacco profondo dai cicli naturali della vita. Noi siamo natura ma ce ne siamo dimenticati. Lo sciacallo dorato è il selvatico che ritorna, che si avvicina, e che ci costringe a misurarci con quello che siamo diventati; attraverso di lui, Il cane d’oro svela i diversi aspetti della relazione uomo e natura, costruendo un mosaico della complessità, che fotografa il nostro tempo e che riesce finalmente a riportarci lì, dove eravamo un tempo, faccia a faccia con il selvatico, con la nostra origine, e da dove dobbiamo ripartire per costruire un mondo migliore.” – Sveva Sagramola
In questo pezzo, Sara Segantin ci racconta com’è nato Il cane d’oro e le tematiche trattate all’ interno del romanzo.
L’esigenza di parlare del Canis aureus
Avventura e natura, scienza ed emozione. Ho ancora nelle narici l’odore acre di selvatico, quando in Alaska un orso si accampò di fianco alla nostra tenda per metà della notte. Il battito forte del mio cuore alla vista delle impronte di un branco di lupi, fresche sulla neve e poi, lontano, un ululato che ancora mi risuona nelle orecchie. E quella mattina di mare mosso, quando l’Oceano Indiano rimestava acqua, sabbia, brandelli di alghe e di organismi, sbattendo ripetitivo le onde sulla barriera corallina.
Tutto era nebbia e mi trovai faccia a faccia con uno squalo che anche lui, un poco intontito dalla scarsa visibilità, non mi aveva vista: ci fu un istante di sorpresa, di sguardi incrociati, poi fuggimmo in direzioni opposte, lui più veloce di me. Ma davanti a tutti loro c’è l’immagine di un animale di casa, dallo sguardo sornione e le orecchie ritte, che sa giocare di squadra e che, silenzioso e misterioso, si muove fra i nostri boschi. Sciacallo dorato si chiama, e non è un nome facile da portare.
È attraverso le pupille notturne di Sybil, femmina di sciacallo, che Il cane d’oro segue la storia vera e cruda di un mondo dimenticato, osservato da pupille notturne, dalla fame canina e cantata dalle corse sulle colline e dai lunghi ululati verso il cielo.
Non è uomo, donna, bambino: è sciacallo e solo con la sua voce straniata di sciacallo può davvero narrare sé stesso. A fianco a lei, nel presente umano, sociale, che la circonda e minaccia continuamente di fagocitarla, ci sono le storie di Camilla, Tom, Elisa, Max e tanti altri personaggi: chi l’ha incontrato, chi l’ha studiato, chi l’ha curato, chi vuole difenderlo, chi vuole ucciderlo. Sono i loro occhi, dal ricercatore al cacciatore, dall’ambientalista allo studente, dal giornalista al contadino, che raccontano la difficile convivenza tra l’umanità iper urbanizzata di oggi e la necessaria sinergia con quell’odore acre di selvatico che aleggia ancora fra i nostri boschi.
Biodiversità, ecosistemi, clima, scienza, umanità: il Cane d’oro ondeggia carico di parole, avventure e sensazioni, alla ricerca di nuove domande, che ci interroghino sulla possibilità di costruire un rapporto più armonico ed equilibrato fra di noi e il mondo che ci circonda.
Una natura contaminata e distrutta
Ho visto la natura profonda, l’ho vissuta, l’ho temuta, ho imparato a conoscerla e a riconoscere il suo diritto di presidiare quei pochi luoghi dove può ancora trovare rifugio. Da qualche anno a questa parte sto assistendo, quasi spettatrice, al ritorno in Italia di animali che da tempo ormai erano rimasti soltanto personaggi di storie, leggende, o di terre lontane. Il lupo, la lince, l’orso, che per anni abbiamo tutti desiderato di veder tornare fra i boschi d’Italia, adesso ci fanno discutere, ci mettono all’erta, ci spaventano.
E l’annientamento degli habitat naturali, mangiati dalle case, tagliati dalle autostrade, sommersi dallo sciamare del turismo, fa sì che il selvatico sia costretto a fare i conti sempre più con i centri urbani, venendo a bussare alle nostre porte. Noi non ricordiamo più che con un orso non si deve mai correre, o disturbare i suoi piccoli, che per i lupi i cani da pastore e i recinti sono necessari per tener sicure le greggi. Non ricordiamo e quindi ci barrichiamo. Ancora una volta ci rifugiamo nella paura e quel poco di natura che sopravvive nel nostro Paese, uno dei più densamente popolati al mondo, lo combattiamo e siamo disposti anche a eliminarlo, pur di non ricominciare ad apprendere, comprendere e impegnarsi per ricreare un’armonia con la vita.
Fra tutte le storie, quella del Canis aureus, o sciacallo dorato, è forse una delle più complesse, intrecciate, dibattute. Nel 1984 scese dai Balcani e arrivò in Italia, dove ormai si trova in dieci regioni, dalla Valle d’Aosta alle Marche, dal Friuli Venezia-Giulia al Lazio. Un animale a metà, né lupo, né cane. Non è grande e maestoso come il primo, non è docile e innocuo come il secondo. E quel muso di volpe, poi, ci mette in guardia: è furbo, chissà cosa può combinare? Si tratta di una creatura misteriosa, di cui poco sappiamo se non che mangia frutta e carcasse e che, nel gergo popolare, si chiama sciacallo. È giunto qui, silenzioso, in cerca di un’altra patria e senza una storia alle spalle che potesse definirlo.
Il canis aureus c’è, nei fatti, ma non esiste ancora nelle nostre storie, nel nostro pensiero. Non c’è da stupirsi, dunque, se le persone hanno iniziato a colmare questo vuoto narrativo, ognuno a suo modo, costruendo attorno al nuovo venuto racconti e immagini diversi e spesso contrastanti. C’è chi, curioso e affascinato, lo osserva, lo attende per ore per rubare un istante allo scintillio del suo pelo dorato. Molti lo temono, perché è ladro, perché è invasore e immigrato. Certi lo idolatrano, nascondendone ogni difetto, certi lo detestano dal profondo e lo accusano d’ogni possibile colpa: sono accecati gli uni dall’amore, gli altri dall’odio. Che dire di coloro che ne approfittano per costruire un’immagine che venda e faccia scalpore, senza curarsi della verità? Infine ci sono i tanti, i troppi che ancora non sanno, che sentono voci distanti e confuse, da riempire con i loro paradigmi, dipingendo il Canis aureus di tonalità strane, diverse, dettate dalla soggettività dell’immaginazione.
Si può convivere con gli animali selvatici?
Qual è la giusta risposta? Capire le dinamiche che regolano la nostra convivenza con gli animali selvatici è estremamente difficile. Ore di interviste, molteplici incontri, giorni e notti passate fra i boschi del Carso italiano e sloveno mi hanno permesso di raccogliere dati, idee ed emozioni. Tutto si intreccia tra le pagine di questo romanzo, dal primo incontro della protagonista, Camilla, con un misterioso cane d’oro alle sue scorribande con l’amico Tom, alla ricerca di informazioni, foto e altri avvistamenti. L’incontro con Elisa, ricercatrice schiva, ma profonda, e con Max, giovane cacciatore, costringono Camilla a mettere in discussione tutte le sue certezze e a cercare nuove prospettive, nuovi modi di guardare la realtà. E mentre tra indagini rocambolesche e incursioni notturne, uno spregiudicato bracconiere minaccia di uccidere una cucciolata rimasta senza madre, la consapevolezza della complessità colpisce, amara e spietata, scaldata soltanto dalla forza dell’amicizia.
La verità non è mai semplice come sembra e le parole possono lasciare cicatrici profonde come colpi di fucile, ma non c’è niente come un obiettivo condiviso per sentirsi uniti nonostante le differenze. All’ombra dei boschi e sotto le notti stellate si può essere sé stessi e mettersi in gioco, costruendo legami indissolubili.
Il cane d’oro è un romanzo di scienza e sentimento, dove il canto della natura fa da sfondo alle scorribande di quattro ragazzi e alla loro ricerca di un rapporto più autentico ed equilibrato con il mondo che li circonda.