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“Ora ti vorrei qui” è il nuovo romanzo strappalacrime di Kathleen Glasgow

Nel vasto mare magnum di #Booktok, oltre alle novità editoriali, è possibile ripescare titoli usciti anni fa che hanno – a maggior ragione oggi – ancora molto da dire. È il caso di E poi ci sono io di Kathleen Glasgow, pubblicato in Italia nel 2017 e tuttora presente nelle classifiche odierne tra i libri più venduti. In questo romanzo Glasgow racconta la storia di Charlotte Davis, ragazza autolesionista che è stata appena dimessa da un ospedale psichiatrico. Non sapendo dove andare, la protagonista decide di partire per un viaggio in Arizona per conoscersi più a fondo e tornare a respirare.

E poi ci sono io, con una scrittura toccante, è un inno alla vita, un balsamo per chi si sente spezzato e forse sta proprio qui la bravura dell’autrice che, trattando di tematiche forti, riesce a far breccia nel cuore di lettori e lettrici facendo sia ridere che piangere e facendo appassionare ai suoi personaggi poliedrici, sfaccettati, realistici, in una sola parola: umani.

Tra i romanzi Rizzoli più attesi e desiderati del 2023 faceva capolino un nuovo libro di Glasgow, Ora ti vorrei qui (You’d Be Home Now, in originale e tradotto in italiano da Aurelia Di Meo), una storia che parla di dipendenza, ma anche di primi amori, consenso, rapporti familiari e amicali, e scontri generazionali.

Di cosa parla Ora ti vorrei qui

Anche in questo romanzo troviamo una protagonista adolescente, Emory, terzogenita della benestante famiglia Ward. Il padre è un medico e la madre è un’avvocatessa che proviene da un’importante e storica famiglia del luogo. Emory è una ragazza ubbidiente e premurosa che si è sempre sentita eclissata dai fratelli maggiori: Maddie, la primogenita che studia al college, è sempre stata bellissima, energica e vitale tanto da attirare gli sguardi di tutti su di sé mentre Joey, il secondogenito, è un ragazzo problematico e, infatti, i genitori pensano sempre e solo a lui.

La pioggia sferza l’auto mentre voliamo nel blu quasi nero della notte. Gli alberi diventano mani, diventano dita, diventano denti pronti a morderci.

Il romanzo comincia in medias res e la voce narrante, Emory, racconta l’incidente d’auto in cui sono stati coinvolti lei, Joey, Luther (un amico di Joey) e Candy. Un evento tragico in cui Candy – una conoscente di Emory – ha perso la vita. Dalle analisi del sangue effettuate dopo il ricovero in ospedale emerge che nel sangue di Joey, quella sera, circolasse droga pesante e così i genitori decidono di mandare Joey in un centro di recupero per tossicodipendenti.

La scuola non è ancora iniziata, Emory – che a causa dell’incidente si è rotta una gamba – è costretta a fare fisioterapia e a sorreggere il fragile equilibrio che aleggia in casa. Anche se Joey è stato mandato in rehab, Emory vede i genitori distrutti e, inoltre, si sente in colpa per Candy (le aveva offerto un passaggio perché la ragazza aveva mal di testa e voleva andar via da una festa) e teme il rientro a scuola. Sa già che tutti la riterranno colpevole e non riserveranno parole gentili per suo fratello.

Mi tolgo la sua mano dalla spalla e mi alzo, incerta sulla gamba debole. Il ginocchio ha ricominciato a farmi male, più di quanto abbia confessato al medico, e dovrò chiedere una compressa a Maddie e mia madre si domanderà perché ne abbia bisogno e mio fratello è un tossico e ora non ho più le poche amiche che pensavo di avere e vorrei soltanto scomparire.

Quando la scuola comincia, è proprio tutto come Emory si aspettava. Le persone sparlano, sussurrano fra i corridoi, non la considerano, o peggio, le rivolgono delle scenate ritenendola colpevole tanto quanto il fratello. Tuttavia Emory non è la sola a ricevere frecciatine, anche Jeremy, il fratello di Luther che guidava l’auto quella notte, viene preso di mira e questo fa sì che i due ragazzi diventino in qualche modo complici, facendosi forza a vicenda.

In più, i due hanno le spalle coperte da Liza Hernandez, un’ex amica di Emory. Ex amica perché i genitori di Liza sono tossicodipendenti e anni prima, la madre di Emory – dopo avere scoperto i problemi di droga dei suoi genitori – aveva chiesto a Liza di non avere più rapporti con Emory che per questo non ha mai perdonato sua madre. A questo trio si aggiunge anche Daniel, un ragazzo che l’anno prima ha avuto un tumore, e che fin dall’inizio supporta Emory.

Il ritorno di Joey

Nel marasma scolastico e familiare, Emory riesce a districarsi grazie a poche cose: il corso di letteratura (in cui gli studenti sono insorti contro il professore convincendolo a modificare la lista dei libri da leggere), il corso di teatro (a cui Emory è stata obbligata a iscriversi per ricevere crediti extrascolastici) e Gage, il suo bellissimo vicino di casa con cui si incontra clandestinamente. Gage, che proviene da una famiglia rispettabile, è lo stereotipo della mascolinità tossica. Fissato soltanto con il baseball, non vuole relazioni stabili e serie, ma allo stesso tempo, riesce ad abbindolare Emory dedicandole dolci parole e tante attenzioni solo quando sono da soli, nascosti nella casetta adiacente alla piscina dei Ward.

Emory vorrebbe qualcosa di più da Gage, eppure non domanda, preoccupata che lui possa stancarsi di lei, ed esegue qualunque cosa lui le chieda di fare, tra cui alcune cose che vanno oltre il consenso e la privacy perché si sa, basta poco per far dire alla gente “Te la sei cercata”.

E a quel punto una specie di onda mi travolge. Nessuno può vedermi, il topolino silenzioso, la ragazza invisibile, la ragazza che era in macchina con Candy, la sorella di Joey, la ragazza che non apre quasi mai la bocca e affronta la vita lasciandosi trasportare dalla corrente.
Nessuno sa che questa ragazza, proprio lei, ha baciato il ragazzo più popolare della scuola, e più di una volta. Che questa ragazza è stata di fronte a quel ragazzo, separata da lui solo da due finestre, si è sollevata la maglietta e ha lasciato che lui la fotografasse, e si è sentita fuori controllo, meravigliosa e forte quando le ha scritto Perfetta.

Quando, dopo più di un mese di riabilitazione, Joey ritorna a casa, Emory è sia spaventata che felice. Teme, infatti, che suo fratello possa avere delle ricadute ma allo stesso tempo è felice che sia tornato perché gli vuole bene e per lui farebbe di tutto. Il ritorno di Joey, però, porta in casa un clima di tensione costante. I genitori hanno già stilato una lista di tutte le cose che il figlio può o non può fare, pretendendo da lui voti alti e un lavoro part-time.

Joey è un personaggio fragile, complesso e, nonostante sia volenteroso di seguire alla perfezione le regole imposte dai genitori, porta su di sé diversi pesi: non solo la morte di Candy, ma anche la consapevolezza di aver fatto rischiare la vita a Emory per una sua debolezza. A Joey è vietato uscire, vedere gli amici di sempre, perfino avere una porta in camera e in bagno.

Ça va sans dire, sembra più un carcerato che un adolescente problematico appena uscito da un centro di riabilitazione. Il padre evita di incontrarlo perché non vuole avere un vero confronto con il figlio, mentre la madre, presa com’è dal lavoro, pensa che sia bastevole creare una routine su misura affinché Joey non esca dai confini. Per fortuna c’è Emory che lo appoggia e lo sostiene, ma la dipendenza da droghe è un problema troppo grande anche per una persona premurosa come Emory e l’inevitabile accade.

Joey ha una ricaduta e scappa di casa lasciando la famiglia attonita. Ma forse sta proprio in quella fuga il senso di riflessione che Glasgow vuole innescare non solo nei suoi lettori ma anche nei suoi personaggi che, ritrovandosi soli a fronteggiare la ricerca di un ragazzo quasi maggiorenne e dipendente dalla droga, dovranno riflettere su di sé, analizzare i loro comportamenti e capire quali siano (stati) i loro errori.

D’altronde, come dice Emory alla madre: «Joey però non è un problema per cui trovare una soluzione» dico con dolcezza. «È una persona.»

Chi è dipendente dalla droga non è un problema, ma una persona

«Meno male. Mi sta simpatico ed ero preoccupata. Lo sapevi che quasi ventuno milioni di americani soffrono di dipendenze?

Ryleigh, la sorellina di Gage, un pomeriggio rivolge a Emory questa domanda e come scrive Glasgow nella postfazione è proprio così, «ogni anno negli Stati Uniti oltre venti milioni di persone lottano contro l’abuso di sostanze. Se pensate che si tratti solo di adulti, vi sbagliate: queste statistiche comprendono le persone dai dodici anni in su. Dodici. E parliamo soltanto dei dati comprovati. Considerato che l’abuso di sostanze non è tracciato del tutto dal sistema sanitario americano, il numero di ragazzi e di adulti che attualmente affronta il problema è con ogni probabilità molto, molto più alto».

L’abuso di sostanze è un tema molto serio e articolato eppure Kathleen Glasgow lo tratta con una sensibilità e una competenza rara, in maniera completamente realistica e d’impatto. La narrazione dal punto di vista di Emory, spettatrice inerme di fronte ai comportamenti del fratello maggiore, evidenzia l’impotenza di fronte al problema e permette di empatizzare con lei (versando anche un bel po’ di lacrime…) e affezionarsi a questa ragazza che ha sempre pensato prima gli altri che a se stessa.

Ma ho perso l’unica cosa che non avrei mai voluto perdere
Ho perso mio fratello
E voi dite che è la storia
Di un tossico, di un fattone, di un fallito
E chiudete il libro della mia vita e della sua.
L’avete letto come volevate
E poi ci avete rimessi sullo scaffale
Ma per me quella storia non è ancora finita
Camminerei nuda lungo Main Street
Davanti a mille persone
Pur di riportare mio fratello a casa
Vi lascerei gridare assassina e puttana e troietta e stronza ricca
Fino a farmi sanguinare gli occhi e scoppiare i timpani
Se servisse a riportarlo a casa da me
Farei tutto questo
Ogni giorno della mia vita
Con tutto il cuore
Perché sarebbe importante
Farò tutto questo
Perché non sono pronta a mettere la parola Fine

Davanti a tutta la scuola, ai genitori dei suoi compagni e ai suoi, Emory recita questi versi cercando di arrivare dritto al cuore degli adulti, per far comprendere che le persone vanno aiutate. Non isolate, bistrattate, relegate ai margini della città sotto ai ponti, additate e guardate male. Perché chiudere con la droga non può essere solo la voce di una lista da spuntare, è un percorso lungo e faticoso e chi lo comincia ha bisogno di essere aiutato e supportato non solo da chi di competenza, ma anche da amici e familiari.

Con questo romanzo, potente e disarmante, Kathleen Glasgow conferma la sua bravura al parlare agli adolescenti (e non solo) con limpidezza e sincerità. Perché è di questo che gli adolescenti hanno bisogno oggi, scrittori e scrittrici che chiamino le cose con il loro nome, proprio come fa Glasgow, senza intimorire né giudicare.